Capitolo V

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«Ho un amico» spiegò Anatole. «È un uomo di scienza, la sua passione. Vive in un villaggio sperduto in mezzo al niente, a mezza giornata di cammino verso est. Si trova vicino a Huez. Il nome, adesso che ci penso, non lo conosco. C'è gente tranquilla là. Se andremo a vivere in quel posto ci rifaremo una vita nuova. Considerata la posizione, il servizio postale non è sicuramente dei migliori; arriveranno solo poche notizie importanti e riguardanti semplici ladri, evasi lontano da loro, di certo no. Perciò non ci riconosceranno e prima o poi tutti si dimenticheranno di noi e saremo salvi.»

«Va bene. Non abbiamo alternative. Quanto è lontano?» chiese Pierrick.

«Non saprei dirti con precisione, probabilmente a più di una ventina di chilometri da qui. Dobbiamo muoverci subito. Su, gambe in spalla, andiamo!» ordinò Anatole facendo un gesto con la mano per indicare di seguirlo e incamminarsi.

«Ma come faremo? È già pomeriggio inoltrato, tra poco sarà buio» replicò il ragazzo raggiungendolo.

«Sempre meglio che passare qui la notte con quell'essere!» rispose perentorio l'altro.

Pierrick sbuffò, ma non potendo fare altro continuò a seguirlo con passo lento e svogliato. Anatole sembrava sapere la direzione da prendere, il problema era prevalentemente un altro: dovevano oltrepassare il crepaccio. Così ridiscesero il sentiero che portava al castello più velocemente possibile per paura sia dei lupi sia di possibili incontri con dei gendarmi, giungendo così alla radura dove c'era la piccola cappella ex-voto.

Per accorciare il tragitto percorsero la via che Victor aveva spiegato loro di aver trovato per precederli in quel posto, scendendo quindi fino a valle del crepaccio per poi procedere verso est.

«Anatole, dobbiamo accamparci. Il tramonto è imminente» disse Pierrick.

«Hai ragione» concordò l'altro. «Raccolgo della legna e foglie secche, tu cerca delle pietre per delimitare il fuoco.»

Prepararono così un fuoco d'accampamento e decisero di alternarsi al turno di guardia. Non che servisse a qualcosa se fosse arrivato un branco di lupi, ma così erano un poco rassicurati. Tra ululati in lontananza e qualche strano rumore, superarono la nottata senza problemi.

Di buon mattino si incamminarono e passate alcune ore giunsero in una zona dove il terreno era molto roccioso e frastagliato, con enormi spuntoni che si innalzavano per vari metri. Passarono poi per una sorta di galleria naturale formata da degli speroni di roccia molto vicini tra loro. Più avanti il paesaggio divenne più morbido, senza alberi ma solo distese d'erba alla vista.

«Guarda Anatole... che strana conformazione rocciosa laggiù» fece notare Pierrick all'amico.

In lontananza si scorgeva infatti una sorta di struttura molto alta e Anatole spiegò a Pierrick che quella roccia, probabilmente a causa di un antico terremoto, si era innalzata formando una cinta naturale.

«Riconosco il posto dalle descrizioni che mi scrisse una volta Bernard, il mio amico di cui ti ho parlato» concluse Anatole.

Camminarono per quasi un'altra ora prima di raggiungere la meta. Davanti a loro la vista di un grande portone che chiudeva un passaggio scavato nella viva roccia.

«Lascia fare a me» disse Anatole bussando.

«Chi è o chi siete, che intenzioni hai o avete?» chiese una voce possente dietro il portone, recitando la frase quasi come un verso in rima.

«Conosco Bernard» rispose con fare sicuro. «Mi chiamo Anatole Deluxe.»

Il portone si aprì.

"Benvenuto, monsieur. Ho sentito parlare di lei da Bernard, entri pure. Sono certo che non ha cattive intenzioni» disse l'uomo.

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