49 - Questo è quello che sono

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GRACE 

Non sarebbe stato John se non si fosse presentato all'improvviso per fare una ramanzina e non sarebbe stato lui se dietro non si fosse portato un paio di riviste da promemoria. Voleva ricordarci che quello è solo il preludio di quello che sarà: foto, articoli, speculazioni. Esattamente come fanno con le compagne dei miei fratelli e proprio come hanno fatto con i ragazzi che ho frequentato a LA.

È arrivato a Londra forse pensando che io non ci avessi ragionato sopra? So ormai bene qual è il mondo di cui faccio parte e anche Jess, con fatica e con dolore, se n'è reso conto.

In questo momento vorrei parlare con Sammy, calmare le mie ansie con un po' dell'ironia della mia amica, ma non risponde al telefono, troppo impegnata con Kale. Il che è anche un bene, perché se dovesse tornare a casa in questo momento, sarebbero guai anche per lui.

John ha la capacità di mettere in soggezione chiunque gli si trovi di fronte, con quel tono solenne e drammatico e la fisicità imponente, degna dei migliori buttafuori degli Stati Uniti.

Con gli anni ho imparato a distinguere in quali momenti la sua rabbia andasse presa sul serio e quando, invece, mi era possibile ironizzarci sopra. E posso giurare di averlo visto anche ridere, qualche volta.

Ma l'ho visto anche arrabbiato, tante volte. Come quando sgattaiolavo via la sera per andare a qualche festa in cui volevo sentirmi soltanto una ragazza normale, o quando una sera me lo sono ritrovata fuori da un club alle quattro del mattino, con le braccia incrociate, in attesa che io e Marissa uscissimo, dopo aver bevuto sicuramente qualche shot di troppo.

Eppure, nonostante quest'alone di timore fosse sempre presente, ero riuscita a contagiare anche lui con il mio sarcasmo e la mia voglia di farlo entrare in famiglia, perché lui, in fondo, è un De Andreas e lo è sempre stato. Mi ha protetto da chiunque volesse non solo importunarmi, ma anche ferirmi.

Ha fatto quello che mio padre non ha mai voluto fare e quello che Leo, all'inizio, era troppo giovane per fare. Imporsi per la mia protezione, per farmi sentire al sicuro anche da quegli incubi remoti del mio animo.

Ed è per questo motivo che guardarlo in quella cucina, così infuriato con noi, con Jess, mi ha impaurita più del solito. Perché non ho visto nient'altro che la sua ira, nessuno spiraglio di affabilità, nessun modo per me di riuscire a farlo ragionare. Non ero riuscita neanche a dire niente, ad impormi dicendo che sarei rimasta lì, che avrei partecipato alla loro conversazione, che avrei cercato di farmi ascoltare.

«Ci parlo io» mi aveva detto Jess qualche ora fa, guardandomi negli occhi, infondendomi quel briciolo di fiducia che mi stava mancando, per la paura di aver deluso una persona che ha vissuto con me per più di dieci anni.

Nonostante avessi voluto rimanere lì, ho lasciato che i due si chiarissero da soli. Perché John è un Baker prima di essere un De Andreas. E so che Jess ci sta provando, nonostante le sue paure e le sue difficoltà ad esprimersi senza sfociare nell'irruenza.

Dentro di me spero che John ascolti suo nipote, che dopo avergli fatto una lavata di capo ci aiuti a capire come dovremmo gestire i giornali, i fotografi e tutto ciò che ne comporterà.

E se non volesse aiutarci mi si spezzerebbe il cuore, perché John è sempre stata una presenza importante nella mia vita, ma riusciremmo lo stesso a fare a meno dei suoi consigli. Ce ne occuperemo noi, anche se in modo inesperto lo faremo, insieme.

Quando sento il mio telefono vibrare faccio un balzo dal divano, sperando sia Jess. Ormai sono passate ore da quando mi hanno riaccompagnata a casa. Avrei dovuto studiare tutto il giorno, ma ci sono riuscita a mala pena un paio d'ore, nelle quali ho incluso anche una doccia fredda.

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