La Falena

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Mi chiamo Imogen Max, ho mille storie da raccontare, ho vissuto tutto ciò che una persona normale non potrebbe vivere, ho visto cose che nessuno sarebbe in grado di immaginare, ho conosciuto persone che nessuno potrebbe incontrare, ho visitato luoghi impossibili, surreali, improbabili, ma non sono qui per questo.
Mi chiamo Imogen Max, e questa è la storia di come sono morta.

Come ogni mattina, alle 04:04 mi svegliai di soprassalto. Ormai era un mese che accadeva, ma quel giorno in particolare impazzii dalla rabbia. Non era possibile che tutti i giorni, una sensazione terribile di disagio innata mi facesse svegliare, soprattutto alla stessa ora.
Andai in bagno, madida di sudore, mi specchiai e tirai un urlo indicibile. Piansi, piansi molto, piansi fino all'assoluta resilienza portando il mio corpo a terra, distrutto dall'esasperazione che quella situazione mi portava a provare ogni mattina di quell'anno.
Con tutte le forze possibile e improbabili che ancora avevo mi tirai su. Uscii dal bagno e mi diressi in cucina, non avevo più sonno. Inizialmente ero terrificata da quella situazione, ma ormai capii che era così, così e basta, e nulla poteva cambiare ormai, soprattutto perché non aveva assolutamente l'idea di come far si che questa cosa smettesse.
Accesi la macchina del caffè. Mi sedetti sulla sedia del tavolo e aspettai. Una lacrima scese lungo il mio viso. La tolsi con le dita e mi resi conto che il caffè era pronto. Lo presi. Era freddo. Era passato del tempo, ma non sapevo quanto. Spesso mi accadeva di rimanere imbambolata per 5 secondi e TAC, passavano minuti, o forse ore. Anche questo da quando iniziai a svegliarmi alla stessa identica ora ogni giorno della mia vita. Cercai lo zucchero, ma piovve sul bagnato. Era finito. Io ero stanca e distrutta e me ne tornai in camera, lasciando il caffè in cucina dopo averlo assaggiato e fatto una faccia schifata. Odiavo il caffè amaro. Imbevibile. Neanche il latte avrebbe potuto aggiustarlo. Come se qualcosa di stupido potesse aggiustare la mia condizione ormai monotona e terribile. Vi starete chiedendo perché non ho cercato uno specialista, beh, nessuno avrebbe creduto al fatto che ogni notte di ogni giorno della mia vita, prima di svegliarmi, un'uomo mi diceva di stare in silenzio facendomi il gesto del dito sulla bocca, mentre io percepivo i miei polsi legati a qualcosa che non aveva nessuna forma, non ne percepivo neanche la forma sotto la mia pelle. Ero nuda. Tutto ciò durava all'incirca 5 secondi, e poi nulla. I miei occhi si aprivano per farmi tornare alla realtà, come se qualcosa dentro me mi dicesse "svegliati, è un sogno, non credere a nulla di ciò che vedi". Anche se tutto ciò era reale, estremamente reale, vivido.
Mi stesi nel letto, sapendo benissimo che non avrei più preso sonno, come se qualcosa in me, dal momento in cui mi svegliavo, mi dava una botta di energia assurda portandomi a non dormire per il resto del giorno, come se qualcosa in me non volesse tornare a quel sogno, se era un sogno. Ormai nulla aveva più senso.
Il suono della mia suoneria mi portò alla realtà. Erano le 08:07, e di nuovo rimasi incantata, per ore, nel vuoto della mia stanza. Anche se avevo percepito quel passare del tempo come soli 30 secondi.
<<Im, dove sei. Senza di te qui è un casino, muoviti a venire a lavoro cazzo, non è possibile che ogni giorno continui così!>>
<<Sì, scusami, non ho sentito la sveglia.>> Logicamente non era nulla vero di ciò che le avevo detto, la sveglia era nel mio cervello, e la sentivo eccome.
Lei è Louise, il mio capo, il mio produttore.
Sono una Regista, anche ben affermata, la Fantascienza è la mia vita, l'Horror psicologico, il mistero. Ormai anche la mia esistenza lo era, fin troppo e sinceramente non mi piaceva vivere in un film Horror, preferisco di gran lunga girarli certi film, non viverli.
Tornando a noi. Scelsi i vestiti del giorno, una gonna larga viola a quadri neri con dei lacci sulla vita, le calze a rete a forma di tela di ragno e il mio top preferito a collo alto con una scritta indecifrabile in stile gotico sul petto, e le mie New Rock. Amavo vestirmi così, avevo ancora gusto nel vestire, anche se la mia frustrazione era ben presente, e di solito, quando sto così non ho voglia di cercare un abbinamento perfetto, ma ormai era quella la mia vita.
Prima di uscire di casa aprii la porta per chiamare il mio gatto Rory. Era un bellissimo gatto nero con il collo spelacchiato. Esce costantemente di casa per andare chissà dove, alcune volte mi fa preoccupare abbastanza.
Eccolo. Arrivó e correndo entrò in case dirigendosi a fianco al frigo, dalla sua ciotola rossa. Rendendosi conto che era vuota mi guardò fisso negli occhi.
<<Un attimo Rory, non così in fretta>> amavo parlare col mio gatto, lo rendeva più umano ai miei occhi e a lui piaceva, dimostrandomelo sempre con buffi versi.
Presi una scatoletta, la aprii e gliela versai nella ciotola. La ciotola era verde però. Non aveva alcun senso, ma ignorai la cosa.
<<Non strafogarti testone>>.
Ad un tratto alzò in fretta lo sguardo e smise di mangiare. Corse in fretta verso la porta passando attraverso allo sportello per gatti.
Aprendo la porta non lo vidi più, era strano che non avesse finito la colazione.
Uscii per cercarlo.
Lo chiamai e lo chiamai. E continuai a chiamarlo per ore e ore. La chiamata del mio capo mi riportò alla realtà.
<<Dove sei finita?!>> le chiusi in faccia, non avevo ne la voglia ne la forza di pensare a quello, e guardando il telefono erano appunto passate ore.
Il mio telefono segnava le 20:39. Non mi meravigliai tanto del fatto che fossero passate ore, quanto del fatto che ero nella stessa posizione iniziale, nello stesso posto. Sulla soglia di casa. Non era possibile, non era scientificamente sensato che io fossi rimasta sullo stesso posto per ben 12 ore.
Rory ritornò poco dopo saltandomi in braccio. Ero sia felice di vederlo ma anche al quanto preoccupata.
Tornai in casa. Il gatto si diresse stranamente verso il bagno, facendomi passare davanti allo specchio in corridoio. Tornai indietro incuriosita, notai con la coda dell'occhio qualcosa di diverso in me.
Ero vestita esattamente allo stesso modo, nulla di diverso, se non il colore dei miei vestiti.
<<Ero convinta di essermi vestita di Viola, non di Verde>> mi toccai il corpo ma decisi di lasciar perdere, probabilmente mi ero sbagliata. Iniziai a percepire un po' di sonno, ma niente fame. In quel periodo mangiavo anche poco. Quasi mai fame, a parte qualche voglia strana, come un giorno che mi svegliai alla solita ora, spaventata e in preda ad una voglia assurda di bistecca al sangue. Ma due erano i problemi: uno è che sono vegetariana, ma non ho mai schifato la carne come sapore, e fin qui tutto bene. Ma il problema fondamentale era che io odiavo quel piatto a prescindere. Ovviamente mi limitai alla sopportazione della cosa, mangiando una cotoletta di soia, buona ma non che riuscì a togliermi quella voglia irrefrenabile. Che dopo qualche ora scomparve di colpo, facendomi tornare alla realtà. Intendiamoci, qualche ora solo perché ne presi coscienza guardando l'orologio. Non che io avessi, come di mio solito, percepito quel lasso di tempo. Per me erano i soliti 5 secondi.
Sentii un miagolio, mi girai verso Rory che era fermo a fianco a me. Girò la testa verso lo specchio e la mia gonna era di nuovo di un colore diverso. Questa volta era Rossa. Iniziai seriamente a pensare di essere impazzita. In tutto quel tempo, era la prima volta fondamentalmente che mi accadevano così tante cose strane, e soprattutto di quel genere. Mai avevo sbagliato un ricordo. Ho una memoria ferbida, se no non sarei qui a raccontarvi nulla.
Stranita presi in braccio Rory e continuando a fissare lo specchio tornai in cucina.
Tutto ad un tratto il mio gatto saltò a terra e corse, nuovamente, fuori dalla porta, aprendola però, vidi Rory fermo fissarmi, come se aspettasse qualcosa, come se cercasse di dirmi qualcosa. Quasi come se aspettasse che lo seguissi. E lo feci, lo feci davvero. Varcai la soglia di casa mia, presi in braccio il mio gatto e... Boom. Tutto si fermò. Le macchine che passavano davanti al mio cancello si fermarono. Una falena che passava davanti a me rimase immobile, come congelata in aria, come se il tempo si fosse d'un tratto fermato. Tranne me, e soprattutto, tranne il mio gatto. Toccai la falena e questa scomparve. Tutto in torno a me iniziò a scomparire piano piano. Guardai il mio gatto e questo era ancora reale, era ancora presente, lui era in movimento, esistente, come me.
E voi vi chiederete "perché voi due?"
Beh, la risposta è semplice.
Perché questa è la storia, di come io, Imogen Max, non faccio più parte della vostra realtà.

Gli Specchi Hanno Gli OcchiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora