Un allarme risuonò nelle mie orecchie svegliandomi probabilmente poco secondi dopo. Una luce gialla lampeggiante capeggiava nella stanza 394. Mi sentii sollevare e posizionare su qualcosa di morbido. Sembravano lenzuola quelle sotto di me, o almeno al tatto mi parve così.
<<Alla camera di riassestamento. Lo aveva detto che non era pronta. Aveva ragione lui>>. Non vedevo bene ne sentivo pienamente, il suono era ovattato e un fischio assordante rieccheggiava nella mia testa. Non riuscivo a muovermi, ero paralizzita da testa a piedi.
Ad un tratto mi sentii sollevare e mi ritrovai davanti a loro in piedi, l'unica differenza? Il mio corpo era ancora steso sulla barella. Potevo vedermi da fuori, ero morta? Non ero spaventata, nessuno riuscì a vedermi. Loro correndo portando la barella trapassarono il mio corpo e guardandomi in basso notai le mie gambe completamente rosee. Ero tornata me stessa? Girandomi per seguire ciò che stava accadendo vidi il mio riflesso sul muro in acciaio, o per lo meno, sembrava acciaio. Ed eccolo di nuovo li. Ero tornata me stessa, il mio viso era di nuovo lui. Mi toccai il viso per constatare la cosa. Sembrava davvero fossi morta. Di nuovo. Mi avvicinai al muro e lo toccai in corrispondenza del mio viso. Mi cadde una lacrime. Fino a quel momento non pensai a quanto mi mancasse il mio viso.
Iniziai ad avere un forte senso di terrore, la luce del corridoio questa volta mi spaventava, non mi faceva per nulla sentire cullata. Stavo male. Provavo un'agonia assurda. Era tutto diverso dal momento in cui ero tornata in me, anche se nessuno poteva realmente vedermi o sentirmi.
Poco dopo mi sentii tirare dalla vita come se stessi venendo spazzata via da qualcosa.
Ed eccome tornata nel corpo di prima. Sì, lo sapevo, non era il mio corpo. Anche se Larsen sosteneva che il corpo della Stasi Intermediale fosse soltanto una riproduzione fittizia del mio corpo data dalla mi coscienza, come se questa si immaginasse così e il mio vero essere fosse il corpo di questa dimensione.
Svegliandomi mi ritrovai una donna al mio fianco. Aveva una tuta bianca aderente al corpo con delle sfumature grigie. Era scintillante. A sinistra, in corrispondenza del cuore, c'era uno stemma a forma di croce. Era palesemente un medico.
<<Ciao ragazza. Come ti senti? No no non fare sforzi, ci vorrà un attimo ancora>> disse a me mentre provai ad alzarmi, ed effettivamente mi sentivo molto debole, senza forze, senza fiato... Senza voce.
<<Non provare neanche a parlare. Hai il corpo tutto da riassestare bene ancora. Spesso accade. Non preoccuparti, è tutto nuovo per te. Anche per il tuo nuovo corpo. Tutta d'un pezzo ragazza.>>
<<Cosa è successo?>> Ripresi la capacità di parlare, ma con una voce molto rauca.
<<Il Controller assume da te molte energie nei primi giorni>> un attimo di pausa per schiacciare alcune tasti al suo dispositivo. Assolutamente ad un computer, ma era formato da uno schermo ologramma. Riprese <<sei forte vedo. Ti rimetterai presto>>.
Mi accoccolai al letto. <<Questo è uno stabilizzato>> e io risposi d'impulso <<di cosa?>>. Rimase pietrificata per un attimo, evidentemente neanche lei si aspettava certe domande da me.
<<Stabilizza... Il tuo corpo per prepararti al meglio al Controller no?>>. Iniettando la sostanza bianca tramite una flebo mi sentii subito al settimo cielo. Sembrava una droga che altera le percezioni facendo sembrare tutto molto più bello ed emozionante. Stavo benissimo. Mai stata meglio. Non mi importava nulla se non il soffitto sopra i miei occhi, fatto di specchi a quadri grossi, tra i quali si ergeva una luce intensa e calda. Iniziai a riflettere sulla bellezza della Madre. Un luogo magnifico in cui tutti dovrebbero arrivare, un posto in cui chiunque dovrebbe svegliarsi prima o poi. Dovevano prendere coscienza e vivere in questa dimensione magnifica che solo andandoci si sarebbe potuto capire cosa volesse dire. Mi girai di scatto vedendo la donna attraversare la porta senza doverla aprire. Questa forse è la sua stanza assegnata. Ognuno ha un compito giusto? Inizialmente pensavo che tutti sarebbero stati assegnati al controller, però effettivamente, chi si sente male, chi lo cura? Prese tutto più senso e sorriso chiudendo gli occhi, addormentandomi cullata da un suono costante di sconosciuta provenienza.
Quella notte. La prima notte in quel posto, sognai Rory che correva verso me, non ero da nessuno parte, oppure ero ovunque. Rory mi saltò in braccio e si fece fare un sacco di coccole. Mi mancava quel gatto, ma non ci pensai fino a quel punto... E mi svegliai di colpo.
Non era presente nessun essere, qualsiasi esso fosse. Mi tirai su con le braccia e staccai la flebo dal mio gomito, non volevo più stare li, volevo esplorare la Madre, conoscerla, farne parte, essere in simbiosi con lei, ne avevo bisogno. In quel momento sentii dentro di me, più forte che mai, un richiamo fisico, una necessità incontrastabile verso quell'essere che in quel posto chiunque amava follemente, proprio come un neonato con la propria madre.
Mi avvicinai alla porta, chiusi gli occhi, inspirai forte e feci il passo. Niente. Riprovai. Niente. Non riuscivo ad oltrepassare la porta, solo una luce gialla per indicare che non ne avevo l'accesso. Neanche tentando di fuorviare l'istinto di non andare a sbattere contro le porte.
Iniziai a girare per la stanza in cerca di qualcosa per uscire da li, aprii il cassetto della scrivania vicino al mio letto che notai solo in quel momento. Una penna argentata strana, degli fogli bianchi, un tablet trasparente che figurava una richiesta di password, e un taccuino. Optai per leggerlo, ero troppo curiosa, ma non pensavo di leggere ciò: Imogen Max, nata a Brighton, in Inghilterra, il 22 dicembre del 2000. Entrata nella Stasi Mediale, in data Intermediale il 17 Marzo del 2030. 30 anni, età specifica ad un adattamento quasi immediato al Controller. Iniezione di Stabilizzatori Umorali per il perfetto adattamento alla Madre. Svenimento dato dalla prima volta in vista del Controller. Stato: insoddisfacente. Destinazione in caso di ripetuto svenimento: Ancella Eterea.
Rimasi scioccata, non era possibile, io sentivo quella connessione con lei, la necessitá di sentirla in me. Non sarei mai diventata uno di quegli esseri non pensanti con un compito basilare senza altri scopi. Non sarei mai finita così, volevo solo la Madre in simbiosi col mio corpo. Devo uscire da qui e dimostrargli che ce la posso fare, pensai. L'unico problema fu il fatto che io, ora come ora, non vorrei ne uno ne l'altro. Ma prima di prendere una totale consapevolezza della situazione, passai un lungo periodo di assuefazione e felicità incontrastata.
Tornando a quel momento, sentii dei passi provenienti dal corridoio. Riposi velocemente il taccuino al suo posto nel cassetto, lo chiusi con più lentezza possibile per non far sentire il rumore. Assunsi una smorfia imbarazzante con denti stretti e occhi strizzati. Corsi nel letto e mi sedetti.
<<Eccovi tornati!>> facendo finta di nulla. Probabilmente se ne erano accorti.
<<Cosa è successo?>> mi pietrificai.
<<Perché?>> Domanda stupida, mai chiedere perché, implica che qualcosa sia stata fatta sicuramente ma si cerca di evitare la risposta e il panico. Ma questa consapevolezza mi fece solo che acquisire ulteriore panico in me.
<<Sei sveglia, seduta sul letto. E noto anche che ti sei tolta la flebo. Perché? Non hai finito la cura. Sdraiati.>> mi incitò la dottoressa.
Feci ciò che mi disse, non avevo nessuna intenzione di farmi scoprire. Non avevo idee delle conseguenze.
Spinse leggermente la mia spalla indietro per farmi capire che dovevo sdraiarmi. Intanto schiacciò dei tasti sullo schermo davanti a lei.
<<Ah no. Sei in gran forma. Qui dice che sei pronta. Strano, di solito ci si mette molto si più>> stranita tanto quanto me dopo aver letto "Destinazione: Ancelle Eteree", mi fece scendere dal letto. Cambiai abiti e accompagnò in sedia a rotelle fino al controller. Una sedie a rotelle molto futuristica però. Le parti in metallo erano parti spesse e tondeggianti bianche che stavano su 4 ruote minuscole. Lo schienale era morbido, bianco e comodo. Mi spinse fino alla stanza 394, ma questa volta, nel mio riflesso, potevo vedere lei, la nuova me. Peccato che in quel momento non mi diede fastidio tanto quanto prima, anzi, in quel momento non ricordavo proprio ciò che mi successe in quel frangente temporale. Come se non fosse mai accaduto. Ora vi starete chiedendo, perché ora lo ricordi? Ripeto ragazzi, tutto a tempo debito.
Mi lasciò davanti alla stanza, mi fece alzare in piedi e senza dire una parola se ne andò spingendo la carrozzina. Abbandonandomi di nuovo a me stessa.
Chiusi gli occhi, oltrepassai la parete e rifeci tutto da capo. Cavi connessi alla mia testa e si parte.
Ecco di nuovo me gatto. Era notte. Mi trovai in una stanza piena di bambole, pupazzi e dvd. Una bambina dormiva nel suo letto al caldo. Aveva un non se ché di familiare quella situazione. Mi sentivo a casa.
Girovagai per la stanza senza sapere esattamente cosa fare. C'erano diversi disegni per terra, uno era appallottolato, lo aprii con le massime forse, non avere il pollice opponibile non era favorevole in certi casi. Aprendolo notai il disegno di una bambina che stringeva la mano ad uomo con sopra scritto papà mi manchi. Mi chiesi a quel punto dove fosse finito, ma il mio pensiero venne interrotto dal suono del letto cigolante. Mi girai e la bambina stava guardandomi con due grossi occhi umidi e un sorriso enorme.
<<Gatto!>> Indietreggiai, ipotizzai che se potesse pensare di avermi spaventato non avrebbe urlato di nuovo. Non volevo e non dovevo essere cacciata da quella casa, ero assegnata a lei. E la paura di finire come quegli esseri informi nella mia stanza, era più forte di me. Non dovevo perdere questa battaglia, io ce la potevo fare.
<<Non avere paura>> bisbigliando, come avevo previsto, scese dal letto piano piano e mi fece del gesto che di norma si fa ai gatti. Chissà cosa pensava Larsen quando io lo facevo con lui. Mi sentii stupida ipotizzando una risposta.
Pian piano mi avvicinai a lei ma la porta cigolò anch'essa. Era una donna, probabilmente la madre, che entrava in camera della figlia. Non le guardai il viso, ero pronta a scappare e non me ne curai.
<<Mamma mamma, possiamo tenerlo? È entrato da solo. È bellissimo, è un gatto.>>
<<Lo so che è un gatto, poi vediamo. Per ora puoi tenerlo, ma domani ne parliamo bene>> si avvicinò a me per accarezzarmi e per essere accettata dovevo solo fare quello. Farmi coccolare, che schifo.
<<Oh ma sei così carino>> "carina" pensai io infastidita, non mi stava tanto simpatica, aveva lunghi capelli neri, due occhiali spessi sul naso e delle lentiggini vicino ai suoi grossi occhi azzurri. Notai che quella donna era bellissima, l'idea di madre fatta in persona. Bella quanto la figlia. Dovevo prendermene cura pensai, dovevo farmi accettare e portare alla totale coscienza quella bambina tanto indifesa e tanto dolce.
Dopo qualche carezza mi prese in braccio come un neonato, due grattini sul pancino e poi mi posò sul letto con la figlia. Lei fece la stesse cosa <<adesso dormiamo. Domani convinceremo mamma a tenerti>> mi posò sul fondo del letto, mi fece due carezze e si risdraiò. Che situazione surreale pensai. Forse il mio destino con lei era talmente segnato che sarebbe andata così in un qualsiasi caso, sarei comunque stata accettata. O era merito della mia bravura. Non volevo assolutamente diventare un'Ancella Eterea, senza essere, senza non essere, senza forma, senza pensiero, neutrale. Volevo la mia identità, la volevo trattenere più che mai.
Addormentandomi sul letto, mi risvegliai nella mia stanza. Ce l'avevo fatta. Ero riuscita a sostenere il Controller, riuscii a farne parte. Ad entrare in simbiosi con lei ed essere parte di quello schema che di norma non avrei mai e poi mai apprezzato. Ma quel giorno, forse involontariamente, o forse volontariamente, la amai con tutte le mie forze.
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Gli Specchi Hanno Gli Occhi
Science FictionUna giovane regista, si sveglia ogni giorno alle 04:04 del mattino senza un apparente motivo. Una mattina, distrutta dal suo orologio biologico, iniziò a notare cambiamenti quasi impercettibili nella sua vita che iniziano a farle dubitare dell'esist...