Luoghi

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21 anni? Non riuscii subito a capire. Fu un colpo enorme, quest'uomo mi conosceva da 21 anni. Da tutta la mia vita, probabilmente conosceva più cose di me di quante ne sapessi io. Ciò che mi piaceva, ciò che odiavo, le mie manie, i miei disturbi psicologici, il mio lato sessuale. Questo era la parte più imbarazzante.
<<Tu mi vedevi, o ero solo un codice?>>
<<Sì eri un codice, ma i nostri trasduttori riescono a mostrarci anche le immagini, come delle telecamere nella vostra coscienza. Avevi quel viso perché la tua coscienza si immaginava così, ma non è la tua vera forma come avrai ben capito dal tuo riflesso.>>
<<Mi vedevi anche quando... Quando. Cioè...>> Sorrise, capì perfettamente a cosa stessi pensando.
Non credo che arrosii, ma sicuramente la mia faccia assunse una smorfia imbarazzata. Ovviamente non lo guardai neanche un secondo in faccia dopo la mia affermazione. La mia sessualità era un tasto dolente, non crede che ve ne parlerò più d'ora in avanti, non sono intenzionata a far trasparire certe cose.
<<Non preoccuparti, Albero Vita è un'essere vivente fatto interamente di migliardi di anni di coscienze, sa cosa far vedere e cosa no. E ti posso assicurare che avendoti seguita fin da bambina mi avrebbe fatto quasi schifo vederti in certe situazioni. Grazie>> fece il gesto del no con la mano, spostò il suo corpo indietro e smise di guardarmi anche lui. Fu decisamente imbarazzato, solo per qualche secondo, si diede subito dopo un tono e riprese.
<<Vuoi sapere altro?>>
<<Perché secondo te è quanto? Chi eri quando ero piccola? Cosa sta succedendo alla Madre, o Albero Vita? Qualunque nome sia. Perché? Perché vivere così? Perché tutto questo? Che senso ha avuto studiare, laurearmi, lavorare e diventare il sogno che ho sempre voluto, se non era reale. Se fossi morta? Dove si va dopo la morte.>>
Si notava sicuramente la mia furia.
<<Chi mi seguiva per i primi anni della mia vita. Prima che subentrassi tu, dov'è adesso?>>
<<Oh, calmati. Non troppo in fretta, sei in sovvraccarico mentale. Hai bisogno di riposarti. Hai ricevuto già una bella batosta. Sono troppe domande insieme. Posso solo rispondere ad una.
Il motivo di tutto questo? Assolutamente nessuno. O forse neanche questa dimensione è la vera realtà. Non potremo vai avere coscienza dell'esistenza, oltre noi stessi. Come se volessi guardare senza gli occhi. Non potresti in nessun caso. Adesso... Chiudili.>>
E di nuovo buio. Questa Madre sembrava fosse fissata con il buio, l'irrealtá, il niente e il nessun luogo.
Luce. Quando riaprii gli occhi non mi trovai più in quel cubo, ma in una stanza enorme piena di tubi rossi e viola. Le pareti rosa sembravano parti molli di un qualche essere strano. Mancava una cosa, Larsen. Non c'era più, fui lasciata da sola a me stessa. Al centro comparve uno specchio, dritto di fronte a me. Vedevo il mio corpo nell'insieme. Ero nuda, ma non provavo più quel tipo di vergogna. Voi direte "si perché sei da sola", no no no, era diverso. Ero a mio agio nella situazione come se fosse normale, abitudine, quotidianità. Una sola differenza, il mio corpo non era completamente trasparente, ne completamente roseo. Il mio corpo era un costante sbalzo tra pelle e vetro, le sfumature cambiavano continuamente, come se si muovesse. Prima la mano era rosea, poi non lo era più, ma lo era la gamba e la pancia, e poi la schiena. Solo il mio viso era costantemente dello stesso colore. Ero bellissima. Uno spettacolo mai visto prima, mai immaginato prima. Il viso era simile al mio, ma non mi convinceva, era diverso, quasi come se fosse una sorella di me stessa. Ci avrei fatto l'abitudine.
La mia mente iniziò a farmi male. Malissimo, troppe domande, troppi pensieri. Iniziai a stare sempre peggio fino a che... Eccolo, Larsen di nuovo a soccorrermi. Come se sapesse, come se sapesse perfettamente ogni mio sentimento. Pensai dovesse essere come me, ma qualcosa mi disse che in lui c'era del diverso, non completamente della mia stessa genia.
<<Aiutami perfavore!>> caddi a terra tenendomi la testa. Fece troppo male. Avevo gli occhi stretti dal dolore, non vidi cosa, ma so che mi ignettò qualche sostanza per farmi calmare.
<<Cos'è?>> Feci un balzo.
<<Assestante. In questo luogo le troppe domande, fanno davvero male alla testa. É un sovvraccarico energetico.>>
<<Sembra più questo il computer che la vita di prima.>>
<<Solo apparenze. È una questione di abitudine. Prima era così, e ora non lo è più. Più semplice di così non può essere.>>
<<Se lo dici tu.>> Ed effettivamente la testa smise di farmi male.
<<Vedo che non sei più imbarazzata della tua nudità.>> Ed effettivamente sì, non lo ero più neanche davanti a lui, e notai che anche lui non era, ma feci caso ad una cosa di vitale importanza. Niente parti intime, ne io e ne lui. Anche il suo corpo era un volteggiare di roseo vetro.
Mi tirai su mi sedetti a terra. Era morbido.
<<Perché il nostro corpo fa così?>>
<<Perché il corpo all'interno della stasi intermediale è fatto in quel modo?>>
<<Non hai tutti i torti>> schiaccai la lingua. Aveva ragione.
L'intere genere umano è convinto che la realtà dia quella solo perché è formata da conformazioni ormai a noi convenzionali. Costellato dall'abitudine conveniente, ormai l'uomo ha smesso di porsi domande, sta bloccato davanti alla tv con la birra in mano per ruttare il prima possibile e sorridere compiaciuti. Andare a dormire, svegliarsi, lavorare, mangiare, fare pipì e tornare a guardare la tv per poi andare a dormire. E va bene così, va bene a tutti. O almeno, quasi tutti. Infatti...
<<Solo chi lrende coscienza dell'irrazionale abitudine umana riesce ad uscirò dalla stasi.>>
<<Lo avevo intuito. Grazie>> mi sentii presa per stupida.
<<Gentile>> disse sarcastico.
<<Non eri così arrogante prima>>.
<<Non sono una stupida. Ad alcune cose ci arrivo. O non sarei qui giusto?>>
<<Giusto>>.
<<Adesso che ci penso, quando abbiamo fame?>>
<<Questa è una bella domanda. Noi non abbiamo mai fame, noi non abbiamo mai sonno, noi non siamo mai stanchi. Quello era solo un costrutto sociale per tenerci buoni. Ora fai parte coscientemente della Madre. Non ci penserai più>>.
Non seppi dire se fosse una cosa bella o brutta. Non subito almeno, tempo dopo avrei avuto bene chiara la cosa.
<<Sei parte integrante del sistema. Non è magnifico? Far parte una coscienza a se, ed esserne le fondamenta per far sì che questa mantenga in vita sia se stessa che i suoi componenti. Uno senza l'altro non esisterebbe. È magnifico! Devi esserne felice>> non ne ero felice. Ho sempre pensato che la vita fosse un enorme disegno pre organizzato basato sull'alienazione del popolo. Le menti pensanti unificate tra loro per un solo scopo: lavorare, produrre, consumare, lavorare, produrre, consumare. Avevo inizialmente un'idea totalmente differente di questo posto, ma mi ricredetti subito. Ha ragione Larsen, c'è un qualcosa che non va. Ma non credo parlassimo della stessa cosa.
<<Sì. È bellissimo>> risposi con tutte le mie forze fisiche e mentali per non dare a credere che potessi pensare il contrario. Di solito nei film di Fantascienza se cerchi di divergere divieni un reitto perseguitato dal sistema. Non volli rischiare di incappare in problemi che non desideravo. E la situazione iniziava a puzzarmi di marcio. Non mi diede subito l'idea di un pezzo di puzzle ben fissato all'interno del puzzle stesso, Larsen. Mi sbagliai di grosso. Forse questa dimensione era solo una fase intermedia per poi arrivare a veramente qualcosa di più grande. O forse qualcuno mi diede una botta in testa e sto ancora sognando, pensai. Ma non qadrava. Sembrava tutto bello, utopistico e perfetto, ma iniziai a notare delle discrepanze tra il mio pensiero iniziale e quello che stavo iniziando a credere davvero. O forse fu solo un mio pregiudizio e in realtà era tutto realmente bello e perfetto. E appena mi sarei messa in una qualche relazione con questa "Madre" ne avrei subito capito il pensiero. Ricordo solo che inizialmente era come se fosse stato tutto ovvio all'interno della mia mente già nei primordi e aveva solo acquistato senso. Era tutto molto confuso o non di certo ordinario, ma decisi comunque di dare una possibilità a questa "Realtà Mediale", ma pensadoci, solo il nome provoca domande dopo questa affermazione di Larsen estremamente convenzionale. Pensai "e menomale che nello Stato Intermediale abbiamo delle convenzione".
<<Cosa fate a chi si oppone?>> mi uscì d'istinto. Ho questo brutto vizio di non farmi i cavoli miei e fare domande compromettenti che potrebbero rovinarmi la vita solo ed esclusivamente per il gusto di sapere.
<<Che domanda è scusa? Nessuno si è mai opposto alla Realtà Mediale. È automatico sentirsi in sincronia con l'Albero Vita. Si chiama così e si chiama anche Madre per un motivo no? Tutti ne facciamo parte e così sarà per sempre.>>
Era decisamente infastidito dalla mia domanda, quasi come se lo colsi impreparato. Come se non avesse mai pensato al peggio oppure come se sapesse qualcosa di cui non poteva parlare. Una persona estremamente contradditoria.
<<Okay. Non scaldarti, dicevo per dire. Vorrei consocere le varie conseguenze...>> Mi bloccò rispondendomi <<conseguenze per cosa? Nessuno ha conseguenze di nessun genere. Tutto è in armonia, tutto è perfetto>> frase ancora più sospetta delle precedenti. Ma per non rischiare nulla assecondai.
<<Una meraviglia allora. Cosa si fa adesso?>>
<<Quando le Ancelle Madri ti avranno preparata potremmo iniziare>>.
<<Chi scusa?>>
<<Le Ancelle Madri. Entità eteree che ti prepareranno al Controller.>>
<<Al che cosa?>>
<<Una stanza in cui ti verrà assegnata una bambina, o un bambino e tu dovrai monitorarla e mandarle segnali. Suvvia la stessa cosa che ho fatto io con te. Non è difficile e non mi pareva fossi dura di comprendonio. Anche perché te lo avevo già spiegato.>>
<<Non credo proprio che tu me lo avessi spiegato...>> Mi insospettì, ma probabilmente si era solo sbagliato.
<<Errore mio. Adesso vado al mio prossimo monitoraggio. Con te il mio lavoro nella Stasi è concluso, ci vediamo in pausa.>> Ah perché c'è anche una pausa? Mi chiesi, ma evitai, preferivo se ne andasse sinceramente. E questa situazione mi sembrava sempre più surreale e allienante. Son finita in Tempi Moderni di Chaplin? Quando incontrerò il mio amato e fallirò nel mio lavoro? Ormai avevo previsto tutto il possibile, sembrava davvero essere finita in un film.
Uscì di scena, a questo punto parlo come se stessi girando un film.
Entrarono nella mia stanza molle due corpi neutri e trasparenti. Non avevano sesso, erano letteralmente entità, il loro corpo non era in costante cambiamento come il nostro. Esistevano e basta. Si avvicinaro una al fianco dell'altra e iniziarono lentamente ad alzare le braccia allargando poi le dite. Niente espressioni, niente capelli, niente forma maschile o femmile. Niente di niente. Il viso non aveva connotati realistici, avevano solo qualcosa di molto strano che subito non riuscii a definire. Mi slaventavano, erano abbastanza minacciose con queste mani erette. Indietreggiai timorosa e d'un fiato mi ritrovai le loro mani ai lati della mia testa. Appogiarono i polpastrelli sulle mie tempie e dietro la nuca, e di getto ebbi diverse immagini riflesse nella mia mente. Imparai come utilizzare il controller. Prima non sapevo farlo, a quel punto sapevo farlo perfettamente. Ma non intendo spiegarvelo ora, ma a tempo debito. O non sarebbe divertente ragazzi.
Mi mancava il respiro e appena si staccarono i miei vestiti si materializzarono su di me. Come se sapessero cosa volessi indossare, non che mi importasse in una situazione simile. Presi una lunga boccata d'aria riempiendo i miei polmoni, effettivamente non esistenti, anche questa cosa alquanto sospetta e innaturale, però di fatto, cosa era reale e convenzionale e cosa no? A chi importa, facciamo passare anche questo, dissi tra me e me.
<<Controller attivabile. Stanza numero 394>> sì, proprio come quella di Harry Potter. Un caso assurdo e probabilmente irripetibile. Ma comunque la mia Saga preferita, come per molti di voi sicuramente.
<<Cosa vuol dire? Dove la trovo?>> Gli chiesi mentre uscivano dalla stanza. Nessuna risposta. Ignorata categoricamente, ci rimasi anche male, odiavo essere appesa nei discorsi. Un gesto irrispettoso che ho sempre evitato di assumere. Fai agli altri ciò che vuoi sia fatto a te. Non vorrei mai rovinare la giornata a qualcuno o solo infastidirlo per qualche minuto, non era la mia natura. A meno che questo qualcuno non se lo meritasso, allora sarebbe stato lecito.
Tornando a noi. Qualcosa di sconosciuto e impossibile da spiegare mi spinse ad uscire dalla stanza. Un corridoio lunghissimo e illuminato di verde si modellò subito appena uscita. Notai proprio il corridoio cambiare forma, si costituì una svolta a destra. La luce era soffusa, ma non faceva paura, ne metteva disagio, mi dava quasi un senso di allegria. Seguii questo pensiero interiore automaticamente dopo che si figurò nel mio cervello.
Destra. Sinistra. Destra. Sinistra. Sinistra. Sinistra ed eccola la stanza numero 394. Una grossa porta in vetro con un numero in stile orologio digitale si figurò dinanzi a me nel momento esatto in cui arrivai a destinazione. O probabilmente la destinazione è arrivata a me, in questo caso era molto probabile una cosa di questo genere.
Mi avvicinai ma non si aprì. Tornai indietro di pochi passi e riprovai. E riprovai e riprovai molteplici volte. E ogni qual volta che decidevo di avvicinarmi si illuminava di giallo.
"Attraverso la mente posso plasmare le idee" e adesso pure gli indovinelli nella testa. Cos'è? Un test? Un tipo di prova per vedere se sono idonea? E se non lo sono? Cosa mi succederebbe? Larsen dice che sarebbe impossibile, ma dopo tutto questo dico che nulla è impossibile. Dopo aver finito questo ragionamento mi si illuminò una lampadina sopra la testa, capiamoci, figurativamente, non realisticamente, spiego perché non si sa mai a questo punto.
La mente plasma le idee... La mente plasma le idee... LA MENTE PLASMA LE IDEE. E li capii cosa dovessi fare realmente per oltrepassare la soglia.
Chiusi gli occhi, presi un respiro e feci il passo. Riaprendo gli occhi capii che avevo ragione. Mi girai per guardare la porta ancora chiusa. La convenzione visiva ti porta a credere che qualcosa ci sia per forza, anche se di fatto non ne si ha piena coscienza finché non provi a toccarla. Chiudendo gli occhi ho imposto al mio cervello che ciò che era posto frontalmente a me non obbligatoriamente sarebbe dovuto essere reale. E finalmente riuscii ad oltrepassare la soglia, passando attraverso la soglia. Pensai "un filtro di percezione visivo o qualcosa del genere".
La stanza era illuminata di un blu intenso ma cullava la mente e gli occhi, non mi diede fastidio.
Il problema? Era totalmente vuota. Non capii subito cosa stesse succedendo ma poco dopo aver fatto un passo verso il centro un cerchio si illuminò attorno a me e subito dopo si spense. Dei cavi luminescenti si avvicinaro alla mia schiena come dei tentacoli di medusa che volevano ustionarmi con le loro nematocisti.
Spaventata tirai un urlo, ma provando a scappare scoprii che ero circondata da un campo di forza tenendomi racchiusa all'interno del cerchio sotto di me. Ma appena arrivati alla mia schienza, scoprii che questi tentacoli non erano per nulla dolorosi. Poi altri due alle rispettive spalle e poi gli ultimi quattro. Questi si posizionarono alle tempie, negli esatti punti in cui mi avevano toccato coi polpastrelli le Ancelle, qualche momento prima. Un'immagina ben definita arrivò al mio cervello, era come se fossi io in prima persona a vivere la vita di qualcun'altro.
Abbassai lo sguardo per vedere il mio corpo e le notai subito, molto simili a lui. Quasi identiche. Mi serviva uno specchio per capire con più precisione ma iniziando a camminare, automaticamente come se l'informazione della conoscenza di ciò che dovevo fare era già intrinseca nel mio DNA.
Iniziai a correre per cercare uno specchio. Notai una bambina uscire con un triciclo da una casetta molto carina. Mattoni rossi, tetto nero, giardino di un verde brillante appena raso. L'odore dell'erba appena tagliata era intenso.
<<Guarda mamma!>> La bambina di circa 3 anni mi notò. Ero molto più bassa di lei. La potevo guardare dal basso verso l'alto.
Corsi il più veloce possibile all'interno della casa. La madre della bambina stava correndo dalla figlia ma si bloccò alla mia vista. Ancora più veloce e per paura di essere braccata corsi verso qualcosa di riflettente, ed eccolo. Nel corridoio c'era uno specchio simile al mio. Prima di camminargli davanti feci pochi passi quindi bloccandomi aumentai il rischio di essere presa. Ma guardarmi era più importante di tutto. Presi corraggio e mi piazzai davanti allo specchio. Ed eccolo. Uguale a lui. Ero proprio identica a Larsen. Avevo ragione.
Col collo spelacchiato e un manto folto nero, ero proprio un Gatto.
E adesso? Cosa devo fare? Mi domandai, poco prima di percepire i cavi staccarsi dal mio corpo e cadere a terra prendendo un brutto colpo alla testa.
Di nuovo, per la millesima volta, buio.

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