|29| Confessioni disarmanti

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"Io sono un guerriero
Veglio quando è notte
Ti difenderò da incubi e tristezze
Ti riparerò da inganni e maldicenze
E ti abbraccerò per darti forza sempre
Ti darò certezze contro le paure
Per vedere il mondo oltre quelle alture
Non temere nulla io sarò al tuo fianco
Con il mantello asciugherò il tuo pianto"

CARTER
"È venuta qui Carter. Ha pianto tra le mie braccia ed in quelle del tuo migliore amico." Possiede un tono accusatorio, quasi a sottolineare che la colpa di tutto questo è mia.
"Stai dando la colpa a me?!"
Alzo il tono della voce. Non posso accettare questo. Non posso accettare il fatto che mi consideri il colpevole della sofferenza di Jessica. Sono una delle cause principali, ma lo è anche lei.
Mi risponde, triste, dicendomi che sta soffrendo.
"Non avremmo mai dovuto baciarci quella mattina maledetta in quel maledettissimo letto d'ospedale!"
Quelle parole mi lacerano. È come se il mio cuore si fosse trasformato in tanti pezzi di vetro, appartenenti ad un bicchiere di cristallo che lei rendeva così pregiato. Parti taglienti, che mi feriscono.

"Te ne sei pentita?" Domando, cercando non sembrare coinvolto dalla frase che ha appena pronunciato a gran voce.
Non risponde. Leggo dell'incertezza nei suoi occhi. Se solo fosse sincera con se stessa. Dico tra me e me, quando faccio dei passi verso di lei.
"Guardami negli occhi e dimmi che te ne sei pentita."
Gli occhi sono la fonte di qualsiasi verità. Si può dire qualsiasi cosa con le parole, muovendo semplicemente le labbra, ma essi sono la rivelazione delle opinioni del cuore, che tutti, soprattutto Chanel Taylor, tendiamo a nascondere.

Mi osserva in difficoltà. Non leggo pentimento nelle sue iridi perché io so che tutto ciò che c'è stato tra noi, lei lo ha voluto, desiderato e bramato. E continua a volerlo.

"Perché l'hai lasciata, Carter?" Una domanda che le costa tanto. Lo vedo dalla difficoltà che ha nel pormela. È tesa.
"Perché era la cosa giusta da fare." Mi limito a dire.
Lo era. Non potevo continuare a fingere con Jess, non se lo merita. Chanel sbotta.
"Basta! Non era la cosa giusta da fare! Lei sta soffrendo!"

"Chanel ERA la scelta più adeguata! Lo capisci?
Cosa avrei dovuto fare? Continuare a stare con
lei?!" Grido anche io. Siamo due vulcani dai quali fuoriesce lava incandescente.
"No!"
"E allora cosa vuoi?! Vuoi tornare indietro?
Cancellare tutto?" So che non lo vuole. Nasce in me un senso di sfida, desideroso di tirarle fuori i suoi reali sentimenti, gli stessi che sta opprimendo.
"Dimmi perché l'hai lasciata!" Urla. Tira fuori tutto quello che ha dentro: la stanchezza, la tristezza, la delusione e i sensi di colpa. Sono al limite.
A questo punto, decido che se lei ha paura di rivelare a me, ma prima di tutto a se stessa ciò che prova per me, lo farò io per entrambi.
"Perché mi sono innamorato di te!" Un'affermazione, una conferma che detta ad alta voce pare una liberazione. Non potevo più tenerlo nascosto, non potevo lasciarlo morire dentro di me, come se non contasse niente.
Non mi ero mai sentito così prima. Mai.

Attendo una sua risposta con ansia, pur sapendo
che potrebbe darmi la possibilità di toccare il cielo con entrambe le mani e non con un dito solo, ma potrebbe anche farmi ricadere giù e sbattermi contro il suolo, provocandomi dolore.
Nei suoi occhi leggo quella felicità genuina, abbattuta dalla circostanza in cui ci troviamo.
Ti prego parla.
Penso. E poi lo fa. Controvoglia. Non vuole pronunciare quelle parole. La conosco.
"Non possiamo stare insieme." Conclude.

Non riesco a dire nulla. Ho bisogno di stare da solo.
Cammino verso la porta e me la chiudo alle spalle, sperando, dentro di me, che mi chiami e mi dica di tornare da lei. Ma non lo fa.

"Mia sorella ti farà impazzire." Dylan ed io siamo seduti in un bar sulla spiaggia. Dopo essermene andato da casa loro, ho pensato di chiamarlo. Avevo bisogno di parlare con qualcuno di ciò che sta accadendo e chi avrebbe potuto aiutarmi se non il mio migliore amico, nonché fratello di Chanel?
"Lo ha già fatto." Rispondo, sconfitto. Sorride, scatenando la risata di entrambi. In effetti è una situazione strana: sono seduto in un bar della ragazza di cui mi sono innamorato, con suo fratello.
È questo una delle caratteristiche più speciali della nostra amicizia: possiamo parlare di qualsiasi cosa, senza giudicarci.
"E lei che ti ha detto?"
"Che non possiamo stare insieme." Sbuffa.
"Tu ci tieni davvero a lei?"
Sì.
"Sì, Dylan. Sono così innamorato di lei che vorrei portarla via di qui per un po' per vedere i suoi occhi sereni, il suo sorriso puro."
Mi fermo un attimo e lo scruto, sperando che le mie parole gli siano ben chiare.
Poi proseguo.
"L'ho vista piangere, avere paura. L'ho vista essere felice, arrabbiata. Ci sono stato per lei in qualsiasi momento perché desideravo farlo."
Annuisce. Mi pare di intravedere un barlume
di speranza sul suo volto, che trasmette anche a me.
"Proverò a parlarci. Sai com'è. Non pensa mai a se stessa."
"Già. Gliel'ho detto proprio prima di andare via."

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