|52| Una Famiglia

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CHANEL
La serata di gala è andata meglio di quanto pensassi. Per qualche ora, abbiamo staccato la spina da tutte le sorgenti di energia negativa ed è stato davvero meraviglioso. Persino mia madre sembrava serena rispetto a qualche ora prima, ma quando abbiamo varcato la soglia della porta di casa, i problemi ci hanno inondati e la realtà ci ha assaliti.

Sono due giorni che non parlo con mio fratello. Da quando ha scoperto della gravidanza, l'atmosfera tra noi si è caricata di tensione, impedendoci di rivolgerci la parola.
Mentre lo guardo chiudersi la porta della sua camera alle spalle, decido di raggiungerlo per parlargli. Ho bisogno di lui come mai prima d'ora. In questo momento, più che mai, necessito di percepire la sua presenza accanto a me.

Quando ero una bambina e questo mondo mi stava stretto, correvo da lui. Muovevo le mie piccole ed esili gambe verso il mio unico porto sicuro in quella vita fatta di cambiamenti e zero punti di riferimento. Lui, se pur più grande di me di un solo anno, diventava un adulto e mi cullava tra le sue braccia. Poi, con una dolcezza infinita mi chiedeva: "È tornato il sole sul viso della piccola Chanel?"
Probabilmente, il più delle volte c'erano ancora le nuvole, ma lui, come una folata di vento, le spazzava via con quella semplice e pura domanda.

Così, busso alla sua porta ed entro dopo qualche istante, munendo me stessa di tutto il coraggio che posso.
Lo trovo seduto sul letto, con il papillon che pende dal colletto della sua camicia ed i suoi gomiti appoggiati sulle ginocchia. Guarda dritto davanti a sé, pensieroso.
Mi accomodo accanto a lui e resto in silenzio per un po'.
"Cosa sei venuta a fare?" Domanda ad un tratto, continuando a guardare il muro bianco difronte a noi.
"Ho bisogno del mio fratellone." Era così che gli dicevo sempre, quando eravamo piccoli. Erano queste le parole che usavo come allarme.
Sbuffa, quasi indeciso sul da farsi. Ma poi, solleva un braccio e mi tira verso di lui, permettendomi di stringerlo forte a me.

Non so se per sollievo, o per la felicità di poter di nuovo avere la certezza di poter contare su di lui oppure per quello che mi tengo dentro da un po', ma scoppio in lacrime. Piango e piccole gocce cadono dritte sulle mie guance e poi sul pavimento.
"Ci sono io, sorellina." Lo stringo ancora più forte.
"Mamma e papà... li hai sentiti?" Cerco di dire, mentre tento di tenere basso il volume della voce, affinché nessuno mi senta.
"Sí, ma tu ignorali. Ciò che è importante ora, siete tu, Carter ed il bambino. Va bene?"
Io, Carter ed il bambino. É un po' come dire, io, Carter ed il mondo.
L'unica cosa che conta, siamo noi.
Ripeto dentro di me ed imprimo quelle parole
nella mia mente, perché so che più di una volta, saranno l'ancora alla quale aggrapparmi.
"Hai ragione."
"È tornato il sole sul viso della piccola Chanel?"
Mi sollevo per guardarlo, impressionata.
"Te lo ricordi?" Domando esterrefatta.
"Certo che me lo ricordo."
"Sí, il sole é tornato."
E, questa volta, è tornato sul serio.

***
"Com'è possibile?" Heidi si passa una mano tra i capelli, al quanto sorpresa.
"È stata sicuramente una doccia fredda." Confermo io, bevendo un po' del succo di frutta che ho ordinato dalla caffetteria in cui siamo seduti da circa venti minuti.
"Lo è stata, sicuramente. Ma dovete restare sereni. Non vi lasceremo soli." Evan ci guarda con uno sguardo dolce e colmo di tenerezza. Ho sempre pensato che fosse un ragazzo dal cuore buono. A volte, mi capita di ripensare a quella volta in cui andò contro le idee approfittatici del suo migliore amico, pur di evitare un mio malessere, un'azione sbagliata.
Si è allontanato da lui, perché aveva capito dove potesse arrivare. Ed un ragazzo buono come lui, non poteva sopportarlo.

"Lo sappiamo, amico. Grazie davvero." Fa Carter. Mi prende la mano sotto al tavolo come a volermi dire "Hai visto? Non siamo soli" ed io annuisco, guardandolo negli occhi e perdendomici dentro. Come sempre da mesi a questa parte.
"E Dylan? Come l'ha presa?" Domanda Heidi tesa, percependo già la negatività della risposta.
"Male. Come è giusto che sia. Abbiamo avuto una discussione terribile..." Spiega il mio fidanzato.
"Non ci parliamo da settimane e temo che sarà così per sempre. Temo che non mi perdonerà mai."
Restiamo tutti in silenzio, indecisi sulle parole da usare. Infondo, nessuno di noi può mai sapere come si evolverà la situazione. Nessuno di noi può sapere se mio fratello, mosso da un bene troppo grande nei confronti del suo migliore amico, torni ad essere quello che era una volta con lui. Io ci spero, davvero tanto. La loro è una delle amicizie più vere ed oneste che abbia mai osservato. Hanno un legame forte e ne ho avuto la prova mediante i loro occhi lucidi di quel giorno.
"Vedrai che tornerete ad essere come una volta." Afferma Heidi sporgendosi verso di lui per accarezzargli il palmo della mano.
"È normale che provi rabbia nei tuoi confronti. Sappiamo quanto Dylan tenga a Chanel, come è giusto che sia. Ma tiene anche a te e vedrai che, nonostante tutto, avrete modo di parlare e risolvere i vostri problemi." Evan si ferma un attimo e sorseggia le ultime gocce di caffè rimanenti nella sua tazza.
"Lo farà perché ora più che mai, siamo una famiglia. E nei momenti di smarrimento, ci aiuteremo a ritrovare la strada giusta." Heidi poggia la testa sulla spalla di Evan, presa dalla dolcezza delle sue parole ed io faccio lo stesso con Carter. Guardo questa scena, come se fossi un esterno e non faccio altro che pensare a quanto sia fortunata ad avere queste persone nella mia vita. Candice, Dylan, Evan, Heidi e Carter sono così importanti per me... ed io sono infinitamente grata di averli nella mia vita ora e sempre.
"Una famiglia." Ripeto a bassa voce, più a me che a loro.
"Sì, una famiglia." Carter mi dà un bacio sulla fronte e sorride. Riesco a vedere più serenità nei suoi occhi e questo mi rassicura.
"Pretendo di essere chiamato Zio Evan dal bambino." Ride il nostro amico, cercando di riportare un po' di serenità nei nostri animi.
"O dalla bambina." Specifica Heidi.
"Comunque anche io pretendo di essere chiamata Zia Heidi!"
"State tranquilli, zio e zia. Sarà così." Afferma Carter e poi si gira a guardarmi con degli occhi fatti di amore e facendo qualcosa che mi scalda il cuore e crea una danza di farfalle nel mio stomaco: mette la mano sulla mia pancia, all'altezza del bambino.
Io poso la mia mano sulla sua e ricambio il suo sguardo, inevitabilmente. I nostri occhi si incontrano e mi sento come se lo stessero facendo per la prima volta.
Ora più che mai penso che ce la faremo. Perché ci amiamo. E chi si ama è dotato di forza. Ed io, sapendo che sono amata - non da una persona qualsiasi, ma da lui, da Carter - sento di poter affrontare qualsiasi cosa alla quale andiamo incontro.
Per me, per lui e per il nostro bambino.

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