Capitolo 11

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06/02/2022
La nostra prima domenica senza lui è stata davvero uno schifo.
A tavola il silenzio regnava. Un silenzio malinconico. Uno di quelli che ti fanno proprio male al cuore.
Ancora non abbiamo visto papà, lui è chiuso in una stanza asettica e deve essere continuamente monitorato, perché non so se lo sapete, ma quando la scossa elettrica entra nel corpo umano, purtroppo potrebbe muoversi e danneggiare della parti che erano rimaste illese. Ma papà é nelle mani dei migliori medici di Catania, quindi cerco di mantenere la calma.
"C'è papà in videochiamata, volete salutarlo?" La mamma si avvicina a me e Silvio con il telefono nelle mani. Mi preparo mentalmente alla botta nel vederlo. Non so cosa aspettarmi.

Non so che reazione io possa avere. Ma una volta passato il telefono, una volta che i miei occhi incontrano i suoi, tutte quelle fisse mentali si annullano. Ci siamo solo io e lui, senza nessun pensiero negativo.
"Ciao papà!" Lo saluto con un filo di entusiasmo di troppo.
"Ciao." Accenna un sorriso. È gonfio in faccia e abbattuto.
"Come stai?" Chiede Silvio.
Dalla sua espressione sembra come se stesse vivendo l'inferno in terra.
"Meglio, grazie." Fa lui.
"Oggi sono andato in bagno da solo, con fatica, ma da solo."
"Ma è grandioso!" Sorrido.

"No, per niente. Mi fa male tutto e non posso camminare bene." Dice lui, buttando completamente giù il mio entusiasmo. È troppo presto per dei miglioramenti, ma li avrà, ne sono sicura.
Chiudiamo la chiamata e per un attimo chiudo anche gli occhi, immaginando papà seduto nel divano mentre mangia un ghiacciolo e vede una fastidiosa partita di calcio.
Ma quando riapro gli occhi, la verità mi viene sbattuta in faccia. Lui non è qui con noi. Lui è in ospedale, da solo, a patire le peggiori pene.
Ad un tratto richiama papà. E ci sembra abbastanza strano, dato che avevamo chiuso da neanche 15 minuti.
La mamma mette il vivavoce.
"Domani in giornata mi trasferiscono in sala intensiva." Spiega lui.

Ed ecco qui che il buio si impossessa di me. Non ci vedo più. Inizio a tremare, cercando di trattenere le lacrime. Ci provo a stare calma, ci provo con tutta me stessa. Ma non riesco a controllarmi. Questo si chiama "attacco di panico" e purtroppo ne soffro da un po'.
"Ma come in sala intensiva? Perché?" Mentre parlo ho le lacrime in volto che cadono rapidamente, come se stessero facendo una gara.
Silvio e Claudio si avvicinano a me e mi stringono la mano, uno da un lato, e uno dall'altro.
"Mari stai tranquilla, sarà per monitorato meglio." Dice mia zia, cercando di tranquillizzarmi. Ma stavolta, neanche lei ci riesce. Stavolta, le parole, mancano anche a lei.
"Non sono stupida, lo so cos'è la sala intensiva!" Spiego.

"Perché vogliono portarlo li? È in condizioni critiche?"
"Secondo me lo mettono lì solo per avere un quadro generico più completo." Continua mia zia nell'intenzione di tranquillizzarmi, con scarsa riuscita, però.
"La cosa positiva è che in sala intensiva possiamo vederlo tramite il vetro." Spiega mia mamma.
Inutile dirvi che non abbiamo chiuso occhio per tutta la notte.

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