Capitolo quindici

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Quando succede per la quinta volta, decido che è ora di parlare con Annabeth.

Non mi sto lamentando del fatto che non mi abbiano invitato, anche io sono uscito con alcuni di loro senza invitare gli altri, non siamo costretti a uscire sempre tutti insieme.

Ma dannazione, mi stanno evitando.

Sono quasi tre settimane che mi sembra di vivere da solo, Leo e Piper niente più che un'ombra nel nostro appartamento. Hazel e Frank non mi scrivono più, nemmeno mi vengono a trovare e nelle ultime tre domeniche Frank non mi ha portato il pasticcio di patate della nonna come invece ha fatto sempre fatto da otto anni a questa parte.

Percy mi ignora, ovviamente ne capisco il motivo. Annabeth gli avrà proibito di vedermi e lo capisco totalmente, ma almeno un messaggio per chiedermi se sto bene potrebbe mandarmelo. Oppure, potrebbe semplicemente rispondere agli ultimi dodici SMS che gli ho inviato in ventuno giorni. Annabeth, ne sono quasi certo, sta cospirando per uccidermi. Probabilmente vuole avvelenarmi con la solitudine o trafiggermi con le occhiate che mi riserva quando la incontro all'università, ma in qualche modo troverà la scusa per farmi fuori.

Oh, e come se non bastasse, Thalia mi ha avvertito che è andata a recuperare la sua ragazza a Washington per presentarmela nonostante le mie proteste.

Quindi, la quinta volta che escono senza dirmi nulla e poi pubblicano delle dannate storie su Instagram, taggandosi a vicenda, esplodo.

Letteralmente.

Lancio un grido di frustrazione, il telefono fa un volo di cinque metri verso il letto e io inizio a vestirmi, mi allaccio le scarpe e schizzo fuori dall'appartamento. Parcheggio sotto casa di Annabeth e Percy alla cieca, al punto che non ho idea se abbia graffiato la macchina addosso al marciapiede o se abbia colpito l'auto dietro la mia, ma non ho tempo per preoccuparmi di questo.

Mi avvicino al portone e inizio a citofonare all'impazzata.

Mi metto davanti alla videocamera dell'ingresso e sbraito contro l'altoparlante quando Percy risponde. "Fammi entrare cazzo, o giuro su dio che apro il bagagliaio, tiro fuori la mazza da baseball e spacco il portone a forza di bastonate!" grido, una vecchietta col cane mi guarda male e passa oltre.

La squadro a mia volta e mi sbrigo a entrare quando la serratura del cancello scatta.

Percorro i pochi metri che mi separano dalla porta di casa loro.

Percy è sulla soglia, sorride compiaciuto e mi lascia entrare solo quando lo scanso di lato con una spinta.

La prima cosa che noto è che gli altri se ne sono andati, Annabeth sta gettando i piatti e i bicchieri di plastica che hanno usato questa sera. "So che sono stato un pezzo di merda, uno stronzo, e hai tutto il diritto di odiarmi, cazzo. Ma non puoi escludermi dalle serate, né isolarmi dai miei amici, chiaro?!" parto diretto, tentando di non risultare troppo aggressivo.

Fallisco miseramente.

"Non ti sto escludendo, hanno fatto tutto loro" quando mi guarda, i suoi occhi non trasmettono cattiveria, né odio, né qualsiasi altro sentimento negativo nei miei confronti.

Sono quasi...compassionevoli.

Tutte le mie certezze crollano, mi trovo a fare i conti con la realtà che avevo idealizzato in tutt'altro modo. "Che...che intendi?" chiedo, anche se la risposta la conosco già. Solo uno stupido non avrebbe capito.

E io, purtroppo, sono tutt'altro che stupido.

"Sto dicendo che sono loro che ti stanno isolando, non io, non Percy. Tutti gli altri" spiega, mi guarda con fare materno, come se le dispiacesse davvero.

So che le dispiace davvero.

In questo momento, però, non ho tempo per occuparmi anche di loro. "Quindi tu non mi odi?" balbetto, un nodo in gola che faccio fatica a sciogliere e quindi mando semplicemente giù, fin sotto i piedi, dove lo calpesto e lo faccio a brandelli.

"Capisco se trovi Percy attraente, so che ti sei innamorato di lui. Certo, sono infastidita che tu lo abbia baciato in casa mia, nel mio letto, tra le mie lenzuola, ma alla fine va bene così. Ci sono cose più gravi in questo momento e..." non finisce la frase, tossisce tre o quattro volte.

Si piega in due, si siede sul divano e si porta un fazzoletto alla bocca, lasciandolo sporco di sangue.

Percy le è subito accanto, attendendo che le passi come l'altra volta, eppure sembra solo peggiorare. Continua a sputare sangue, respira a fatica e finalmente riesco a muovermi e a chiamare un'ambulanza.

Percy non mi ferma, ma non mi da nemmeno spiegazioni.

Poco dopo, sono in macchina sulla strada per l'ospedale con Percy accanto. Non gli hanno permesso di salire in ambulanza con lei, nonostante stiano insieme. Solo i familiari possono usufruire di quel posto, e suo padre era a casa in quel momento.

Faccio domande su domande, ma Perce non mi guarda nemmeno.

È pallido, sembra preoccupato e ovviamente lo è, ma io ho bisogno di sapere cosa le succede.

"Percy, cazzo Percy, spiegami qualcosa, fammi capire cosa succede!" sbraito, fermandomi a un semaforo rosso.

Evita il mio sguardo, fissa la strada davanti a noi e sembra che nemmeno respiri, tanto è immobile. Non l'ho mai visto così, sembra una statua di sale. È veramente inquietante, conoscendolo.

Rinuncio alle mie risposte, per ora, e quando finalmente scatta il verde riparto. In reparto troviamo già il padre di Annabeth, seduto su una sedia con un ginocchio che fa su e giù per l'ansia. "L'hanno portata dentro?" chiede Percy, ed è la prima cosa che gli sento dire da quando siamo saliti in macchina.

Il padre scuote la testa. "No, è nella sua stanza. Volevano addormentarla ma ha chiesto che non lo facessero. Vuole rimanere sveglia. E vuole parlare con un certo Jason Grace" sbianco, letteralmente.

Da come il padre ne parla sembra grave, nonostante Percy abbia sminuito il problema per settimane. "Ha detto di cosa voleva parlarmi?" domando, giusto per prepararmi mentalmente a qualsiasi cosa voglia dirmi.

Il padre fa segno di no col capo, indirizzandomi verso il letto della figlia con le lacrime agli occhi. Sembra essere distrutto, nonostante non versi una lacrima.

Appena varco la soglia della stanza, il padre chiude la porta alle mie spalle. La prima cosa che noto è il silenzio, interrotto dai battiti cardiaci di Annabeth segnati sul monitor. Mi avvicino al suo letto, pare star dormendo.

È pallida, sembra così fragile fra quelle lenzuola bianche, immacolate. Mi chiedo se non sia il caso di uscire e tornare a parlare con lei più tardi, quando due iridi grigie iniziano a fissarmi. "Ehi, Jas, io e te non abbiamo finito la chiacchierata" mi indica debolmente una sedia, accanto al muro della stanza.

La prendo e mi siedo, afferro la sua mano quando lei me la porge.

Tiene gli occhi aperti a fatica, respira piano, ha un sondino nel naso che le porta ossigeno.

Nonostante tutto, ha la forza di sorridermi.

Choose me~JercyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora