Tredici giorni.
Trecentododici ore.
Diciottomilasettecentoventi secondi.
Sono diciottomilasettecentoventi secondi che Jason è in coma.
Trecentododici ore che non apre gli occhi.
Tredici giorni che non sento la sua voce.
Oggi è un giorno come gli altri: mi sveglio, rimango a fissare il soffitto per venti minuti ancora avviluppato nel lenzuolo, mi alzo, faccio colazione, vado a lavoro, finisco il turno, faccio visita a Jason, torno a casa, ceno e mi metto a dormire per ricominciare da capo questa sequenza il giorno dopo.
Ho fatto così per tredici giorni.
Oggi non è diverso.
L'unica cosa che cambia, oggi, è che trovo Thalia fuori dalla stanza di Jason. Sta parlando con l'equipe di medici che ha seguito l'intervento e il coma di Jas, hanno delle facce quasi tristi, dietro il muro di apatia che li accompagna, che caratterizza il loro lavoro.
Mi avvicino, tento di non farmi notare ma è inutile: appena Thalia scorge la mia figura, intenta a prendere una bottiglia d'acqua dal distributore, mi raggiunge in fretta, le lacrime agli occhi pronte ad uscire.
Mi guarda, mi guarda come se non mi vedesse realmente, quasi come fossi un fantasma. Le passo una mano davanti alla faccia, la sua sola vista mi fa innervosire.
In questi giorni lo è venuto a trovare a orari diversi dai miei, proprio per non vedermi e non dovermi parlare di conseguenza. Non so perché sia qui a quest'ora, né di cosa stiano parlando i medici, so solo che la sua faccia mi da i brividi e mi fa ribrezzo la sua sola vista.
La odio, la odio con tutto il mio cuore.
Non per qualcosa di personale, non perché ha fatto qualcosa a me.
Ma perché non è stata qui quando Jason ha avuto bisogno d'aiuto, quando era in un baratro senza fine lei era a Washington con la sua ragazza (che ho scoperto chiamarsi Reyna, non che mi interessasse) a fare la bella vita, lontano da sua madre e dai problemi che spandeva nel mondo.
Quindi, di conseguenza, abbandonando suo fratello.
Non so come si possa compiere un'azione del genere, come puoi lasciare un ragazzino di undici anni con una tossica alcolizzata piuttosto che portartelo dietro.
Se solo immagino di lasciare Nico per andarmene mi viene la nausea, ma d'altronde io sono l'ultimo che può parlare. Infondo ho tradito la mia ragazza per sei anni per poi scoprire che era malata di cancro e ora che è morta l'unica cosa a cui riesco a pensare è la mia vita con Jason.
Al mio futuro con lui.
Futuro che se non si sveglia non avremo mai.
Ovviamente tenevo molto ad Annabeth, l'ho amata, ho pianto la sua morte, le ho voluto bene come se fosse mia sorella, non posso negarlo. Eppure...eppure...
Riporto la mia attenzione sulla donna davanti a me. Ha un'espressione seria, determinata, tutt'altro che allegra.
Reggo il suo sguardo, aspetto che parli.
Non so cosa voglia dirmi, sembra avere paura delle sue stesse parole, di quello che deve dirmi. E io non ho idea del perché.
"Percy..." mi guarda, abbassa gli occhi, le palpebre le si chiudono un istante per poi riaprirsi, le iridi più lucide di prima, più acquose, più vuote. Una lacrima le scorre sulla guancia, si ferma a metà del suo viso, la scaccia con una mano.
Le faccio segno di parlare, non ho tempo per questo, devo vedere Jason. Devo parlargli, ho bisogno di raccontargli qualcosa, quello che penso, quello che ho fatto oggi. Non posso perdere minuti preziosi con lei e nemmeno ne ho voglia.
Apre la bocca ma non ne esce alcun suono, sembra che le manchi il fiato per parlare che qualcuno glielo abbia rubato dal corpo, svuotandole i polmoni. Sbuffo, inizio a innervosirmi.
"Thalia, cosa c'è?" sbotto, tento di passare oltre la sua figura ma mi blocca, stringendomi una spalla. "Vogliono staccare le macchine, né io né tu abbiamo abbastanza soldi per tenerlo qui a lungo, in più sono certi che non si sveglierà mai, la sua ultima attività cerebrale autonoma risale al secondo giorno di coma" sussurra, quasi avesse paura della mia reazione.
Rimango immobile, cercando di metabolizzare le sue parole. Vogliono...vogliono staccare le macchine, vogliono portarmi via Jason, l'amore della mia vita, la persona con cui voglio invecchiare, il ragazzo che mi ha accompagnato per diciotto dei miei ventiquattro anni di vita.
Non possono farlo, non devono farlo, non glielo permetterò.
Non le rispondo, inizio a camminare verso la sua stanza, mi blocco poco dopo.
Jason non è solo la persona che amo. È qualcuno che ha sofferto, che è stato abbandonato, che io ho abbandonato più volte, a causa ho mentito, contro cui ho urlato, la persona che per anni ho usato. Non merita questo...non merita di morire, ma nemmeno di restare appeso a un filo per mesi, forse anni, in attesa di un risveglio che probabilmente non avverrà mai.
Thalia si avvicina ancora, mi poggia una mano sulla guancia.
"Ho chiesto ai medici di aspettare un altro po', mi hanno dato due giorni. Passa più tempo che puoi con lui, poi firmerò per far spegnere le macchine. Sai che è giusto così" passa oltre, prende la mano alla sua ragazza ed esce, lasciandomi solo in quel corridoio.
Dopo qualche minuto, trovo il coraggio di entrare nella stanza di Jason, varcando la soglia di un mondo totalmente diverso da quello fuori dall'ospedale.
È sdraiato supino, nella stessa identica posizione di tredici giorni fa. La fasciatura sulla testa gli copre la fronte, il tubo che gli permette di respirare nasconde metà del suo viso, è circondato da fili e flebo.
Per quanto io ormai sia abituato a questa visione, ancora mi impressiono nel vederlo così inerme, fragile, debole.
I suoi muscoli stanno sparendo, pian piano, a causa dell'essere immobile tutto il giorno tutti i giorni. È pallido, le guance sono scavate, le braccia scarne, eppure ai miei occhi rimane sempre bellissimo. Sempre lo stesso Jason che amo, che mi ha amato per anni in silenzio.
Mi siedo accanto a lui sulla sedia, gli bacio una mano stando attento a non staccare nessun macchinario, chiudo gli occhi e mi lascio trascinare dalle parole. Gli racconto la mia giornata, delle parole di Thalia, dei dolci che ho fatto a lavoro e di quelli a cui ho dato fuoco per sbaglio perché ero distratto e stavo pensando a lui.
Verso qualche lacrima, decisamente inutile, ma non riesco a trattenerla. So che piangere non lo riporterà indietro, che non mi permetterà di sentire ancora una volta la sua stretta confortante intorno alla mia vita, eppure...eppure non posso impedirlo.
Non posso evitare di accasciarmi con la fronte sul materasso in lacrime, due giorni dopo, mentre attendo che i medici stacchino la spina. Thalia è accanto a me, piange anche lei come se ne avesse il diritto. Come se potesse anche solo immaginare che questo sia il suo posto ora, accanto a me e agli altri, a commiserare la morte di un fratello che non ha mai considerato tale.
Quando la tortura finisce e vedo il dottore premere quel pulsante, un senso di sollievo si espande nel mio petto. In un certo senso, il lungo suono acuto della macchina che segna il decesso di Jason, mi dà un minimo di conforto.
È in pace, ora.
Dopo tutto quello che ha passato, si è spento un ventiquattrenne che di certo non lo meritava, ma almeno è in pace, ovunque e qualunque cosa sia la pace.
"Ora del decesso, 14:32"
siamo giunti alla fine di questa avventura ed è la mia prima storia in assoluto con un bad ending
non so come sia uscito, né se sia coerente con la trama, so solo che ho amato questa storia e spero che lo abbiate fatto anche voi
un abbraccio
-M
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Choose me~Jercy
FanfictionCome si faceva a diventare il segreto di qualcuno? Com'era possibile che Jason si fosse fatto sfuggire le cose di mano? !Percy Jackson AU! !I personaggi non sono miei ma di Rick Riordan! !È una storia molto (all'incirca, non è proprio il termine ada...