Per buona parte del cammino restammo in silenzio. L'elfo camminava più avanti, ma sempre attento a me e all'elfa. Ogni sua sguardo verso di me era colmo di disgusto mentre l'elfa restava indifferente a tutto. Non avevo coraggio di chiedere nulla e poi avevo la mente impegnata: c'era qualcosa di così familiare in quell'elfa e in più la spensieratezza nel giudicarmi puro di cuore mi lasciò perplesso. L'ondeggiare dei sui capelli durante la camminata era così leggero, ma la sua posa emanava sicurezza e diplomazia. Per quanto riguarda l'elfo, lui non si fidava affatto di me e anzi mi tenne alla larga il più possibile da loro.
Verso mezzogiorno raggiungemmo il confine della foresta e, prima di continuare lungo la pianura, ci fermammo per rifornirci di provviste. Ero molto sorpreso dal silenzio tra i due e dall'intesa che si creava attraverso i loro sguardi. A fianco di questa sicurezza io non ero che una specie di vagabondo vestito di nero. L'elfa rimase con me ad affilare la lama della sua spada e a controllarmi mentre l'elfo, dopo averle chiesto più volte se era sicura di voler rimanere da sola, tornò nel fitto della foresta a cercare rifornimenti. Perciò colsi l'occasione per fare qualche domanda all'elfa: "Quindi il tuo nome è Iminyë?". Lei non mi degnò nemmeno di uno sguardo. Di sottofondo c'era solo il rumore della pietra che affilava la lama e il canto di alcuni uccellini. Provai con un'altra domanda: "Posso almeno sapere dove stiamo andando?". Ancora una volta nessuna risposta. Mentre stavo per porgerle un'ulteriore domanda lei smise di affilare la lama, piantò la spada nel terreno e mi guardò. Il suo misterioso sguardo violaceo mi catturò completamente l'attenzione. Mi persi nei suoi occhi color ametista e dentro essi vidi quella piccola bambina che correva per i corridoi di un castello e giocava con le puntine delle mappe. Indubbiamente era lei: i capelli bianco neve, la pelle chiara e gli occhi ametista. Non avevo più dubbi. Ma come ho fatto a non riconoscerla? Ammetto di esser stato parecchio stupido.
Lei distolse lo sguardo quasi come fosse rimasta spiazzata da qualcosa e intravidi sulle sue labbra un vago sorriso. Molto vago direi. Dopo ciò iniziò a parlare senza che io dovessi chiederle qualcosa: "Sono Iminyë, la principessa del Regno degli Elfi. Io e Círdan, mio fedele compagno e futuro marito, siamo in fuga. Dobbiamo nasconderci dai draghi che attaccano il nostro Regno siccome vogliono uccidermi". Fantastico! Quindi oltre ad essere il terzo incomodo, ero anche con degli elfi talmente importanti da rischiare la morte a vista. Altro che essere al sicuro! Le mie riflessioni disperate furono interrotte da Iminyë stessa che si alzò. Ovviamente stavo per chiederle perché se ne stesse andando lasciandomi solo, ma lei mi anticipò spigandomi: "Non ho detto a Círdan di procurarsi anche il cibo per te". Perciò rimasi solo per un po'.
Fino ad allora non avevo visto elfi bianchi perciò Iminyë era un nuovo tipo di elfo. Círdan invece era uguale alle guardie. Avevo così tante domande in testa: che cosa rappresentavano i colori di pelle degli elfi? Dove eravamo diretti? Perché potevo stare al sole? E così via. . . Círdan e Iminyë ci misero qualche ora a tornare perché si imbatterono in un Cervo del Legno, lo stesso che il giorno prima attaccò me e l'elfa dalla pelle azzurra. Tutto ciò me lo raccontò Círdan vantandosi del modo in cui poteva ucciderlo se non fosse stato per Iminyë. Lei si giustificò dicendo: "I Cervi del Legno sono creature molto rare e sacre. Nel Regno delle Fate sono spesso i guardiani degli alberi abitati dalle stesse. Perciò dobbiamo proteggerli per permettere loro di migrare in sicurezza nel loro Regno d'appartenenza". "Come al solito m'lady tu ragioni troppo e reagisci poco", replicò Círdan pavoneggiandosi.
Io invece rimasi colpito dalla passione con cui Iminyë parlò dei Cervi del Legno. Se non fosse stato per le sue parole probabilmente li avrei uccisi a vista dopo lo spavento che uno di loro mi ha fatto prendere. Sin da quella sera notai la cura e la delicatezza che Iminyë usava nei confronti della natura. Qualsiasi pianta lei toccasse sembrava rivivere e gioire per il suo tocco. Al suo passaggio gli uccellini danzavano sopra di noi e cantavano allegri melodie più intricate e piacevoli.
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I Sette Regni
FantasyIacob era un orfano che viveva in una piccola cittadina della Transilvania, in Romania. I cambiamenti arrivarono con l'evoluzione del suo corpo e no, non si tratta dell'adolescenza. Perciò è costretto a partire in un'avventura surreale e a viaggiare...