Capitolo 9

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Oltre alla calda lava che ormai invadeva ogni solco della sua pelle, Círdan iniziò ad aumentare di dimensioni come se la sua massa muscolare si stesse duplicando. In pochi secondi le sue braccia erano grandi il doppio di prima e anche il suo torace, ma le gambe non crebbero così tanto. Quando raggiunse il massimo della crescita era alto due metri e mezzo e la sua pelle non era più molto scura anzi sembrava quasi rossa per via della lava che scorreva sotto di essa.

Iniziò a dirigersi verso di me ed io indietreggiai lentamente mettendo le mani in avanti come in segno di sottomissione. Ma lui continuava ad avanzare e anche se Iminyë gli stava davanti e provava a calmarlo lui la lanciava via con un movimento del braccio. Nessuno poteva fermarlo, la rabbia era accecante ormai e aveva preso il controllo. La mia unica speranza era la mia agilità che non sapevo usare. Con le sue lunghe braccia provò a colpirmi e io saltai all'indietro schivando il colpo. Allora lui cercò di prendermi e io scappai tra gli alberi dove avevo più possibilità di seminarlo siccome lui era molto alto e sarebbe rimasto impigliato da qualche parte. Intanto Iminyë cercava di distrarlo, ma non poteva attaccarlo perché non voleva fargli del male. Círdan, però, era concentrato solo sulla mia distruzione e mi seguiva rompendo anche i rami degli alberi se era necessario. Io saltavo da una parte all'altra, da un tronco all'altro, ma sempre restando vicino all'accampamento.

Quando vidi che nulla di tutto ciò lo poteva fermare mi spostai sulla parete rocciosa della montagna. Cominciai a saltare da una roccia all'altra e ad andare in alto pensando che, per il suo peso, Círdan non sarebbe riuscito a seguirmi. Invece anche lui cominciò ad arrampicarsi sulla parete lasciando profondi solchi nella roccia che usava per salire. Provai a chiedergli di calmarsi, ma nulla è servito. Se non ascoltava nemmeno Iminyë come potevo pretendere che ascoltasse me. Tuttavia l'elfa non si immischió troppo finché Círdan non mi colpì. Mi ero fermato un attimo per parlargli e cercare di calmarlo e anche lui era fermo, ma mi ingannò e con un colpo sgretoló la roccia sotto di me. Caddi e sbattei forte la testa e la schiena. In quel momento mi sarebbe molto piaciuto saper già usare la mia abilità di pipistrello per evitare la caduta, ma non fu così.

Una volta a terra non persi i sensi perché fui risvegliato da un urlo di Iminyë e dalla terra che tremava sotto il peso di Círdan che era appena atterrato di fianco a me. Quest'ultimo alzò il pugno e, con la sua voce profonda, disse: "Facciamola finita". Mentre stava per colpire, Iminyë si buttò sopra il mio petto ansimante gridando disperatamente: "No!". Allora Círdan si fermò, rimanendo con il pugno a mezz'aria, quasi sconvolto da quel gesto. Nei suoi occhi vidi delusione, disprezzo e disgusto. Lentamente la lava che scorreva sotto la sua pelle si ritirò e lui tornò alle sue dimensioni normali. Ci diede un'ultima occhiata, soprattutto guardò Iminyë rattristato, e si allontanò nella foresta.

Iminyë non ci fece caso e subito iniziò a toccarmi la testa e il viso preoccupata. "Iacob! Rispondimi! Iacob!", ma non avevo la forza di parlare. Chiusi gli occhi per il dolore martellante alla testa e cercai di capire se avessi ancora le gambe integre perché non le sentivo più. Li riaprì e vidi Iminyë dai capelli illuminati da una luce dorata che appoggiava le sue mani sul mio cuore come se volesse farmi un massaggio cardiaco, ma fu molto meglio di così. Sotto la sua pelle rivoli di luce verdastra scorrevano come fossero sangue e i suoi capelli assomigliavano a prima quando era arrabbiata, ma questa volta splendevano di luce propria pieni di vita. Vidi che, quando Iminyë aprì gli occhi che ora erano lilla e non più di quel viola misterioso, i rivoli verdi andarono tutti verso le sue mani. Quando tutti furono lì, i suoi palmi si illuminarono sulla mia felpa nera e dopo qualche secondo si spensero e i rivoli tornarono ai loro posti.

Iminyë si sedette più comodamente accanto a me e io dopo qualche secondo mi sentì molto meglio. Non provavo più dolore ed ero pieno di voglia di vivere. Mi misi a sedere accanto a lei e mi toccai le gambe e la testa sconvolto: stavo bene. La guardai e la vidi più pallida del solito con la testa tra le mani. Le alzai il viso con un tocco leggero e le sorrisi: "Il tuo elemento è donare la vita?". Probabilmente la mia faccia era molto brutta perché lei rispose in tono colpevole: "È un dono orrendo, lo so". Raccolse le ginocchia con le mani e ci appoggiò la testa, ma io le presi il viso tra le mani: "Non è assolutamente vero! È un dono meraviglioso a dir poco!". Sembrò sollevata all'idea e fece una smorfia. "Sono grato che tu mi abbia salvato. Credo che fingerò di stare male più spesso d'ora in poi", dissi scherzosamente per tirarla su di morale e lei mi tirò un pugno sulla spalla ridendo.

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