"Che cosa saresti tu? Uno gnomo?", domandai sconcertato. Iminyë mantenne la spada puntata alla sua giugulare senza esitazione. Thingol ne abbassò la punta e saltò sulla lama affilata per avvicinarsi a me. Io mi piegai all'indietro schifato dal suo odore di fango e terra. Dopo avermi analizzato per bene scese dalla lama sistemandosi davanti a noi e disse: "Credo che tu, vampiro, non abbia il diritto di chiamarmi gnomo. È un vero insulto per i nani essere chiamati così. Suppongo che la tua Juliette non ti abbia parlato di creature di basso rango come noi". Guardai Iminyë in cerca di risposte, ma lei rimase immutata come una statua di sale con lo sguardo fisso sull'intruso. Credo fosse più infastidita dal fatto che ci avesse visti baciarci piuttosto che per il fatto che fosse un estraneo. Il piccolo nano, vedendo la tensione tra di noi, iniziò a raccontarci la sua storia: "Se non vi dispiace, io mi considero un nano educato e, per rispetto della mia cara madre, desidererei raccontarvi la mia umile disavventura".
Thingol era un nano che lavorava come architetto. Era un lavoro abbastanza dignitoso e degno di nota nella comunità del suo clan. Poco tempo prima del nostro incontro, Thingol si distinse per alcuni suoi progetti in onore di noti eroi tra i nani. Il capo clan notò la sua bravura e gli commissionò la progettazione delle scuderie locali. Queste erano di vitale importanza perché la figlia del capo amava le talpe dal muso stellato, che sarebbero gli animali che i nani cavalcano, per cui, se lei non avesse approvato il progetto, la sua carriera sarebbe finita. Per assicurarsi il successo, Thingol decise di conoscerla, ma parlando con lei finì per innamorarsene. Anche la principessa, Juliette, si innamorò di lui, ma non potevano stare insieme perché lei avrebbe dovuto sposare un giovane capo di un altro clan per garantire l'alleanza e la pace. Per lo stress del progetto e del suo amore impossibile, Thingol iniziò a bere e una sera perse una scommessa. Siccome non aveva più i soldi per ripagare il suo debito, fu denunciato al capo clan. Inoltre quest'ultimo venne anche a scoprire l'amore tra la figlia e il povero nano, per cui decise di esiliarlo nel Regno degli Elfi.
Al suo arrivo si imbatté in noi mentre stavamo scappando e, spaventato, ci seguì in silenzio. Rimase ad osservarci e ci ascoltò senza dire nulla anche se per lui la tentazione era molto grande. Thingol, come più tardi scoprimmo, adorava parlare e poche volte io ed Iminyë trovammo momenti di pace. Infatti, quando ci vide baciarci, non poté più trattenersi e la sua copertura saltò. "Ecco qua, mi sono presentato. Ora tocca a te", disse indicandomi. Io non avevo assolutamente intenzione di rendere quel momento simile a un incontro degli alcolisti anonimi perciò non parlai. Ero abbastanza spiazzato dalla situazione che si era venuta a creare ma, per fortuna, il silenzio venne spezzato da Iminyë che si alzò di scatto sbuffando e si inoltrò nella foresta che ci circondava. I due cuccioli di drago dormivano beatamente senza sospettare nulla. "Guarda cos'hai combinato!", sbuffai, "Adesso andrò a cercarla e tu resterai qui a fare da guardia alle nostre cose". Thingol iniziò a balbettare qualcosa che riguardava la sua paura dei draghi e non so che altro, ma non gli diedi ascolto e mi feci strada per il bosco.
Iniziai a chiamare Iminyë ripetutamente anche se già sapevo che non mi avrebbe risposto. Nonostante non ci conoscessimo da molto avevo già capito che non amava condividere la sua vita privata con altre persone quindi il fatto che un nano ci avesse visti sicuramente la mandò fuori di sé. Non vagai molto perché iniziai ad avvertire una brezza fredda e leggere che mi sfiorava i capelli. Grazie ai miei sensi, che di giorno in giorno diventavano più acuti, capii che quella brezza era carica di elettricità, e questo significava una sola cosa: Iminyë era molto furiosa. Corsi nella direzione da cui la brezza proveniva e, mano a mano che mi avvicinavo, l'aria diventava sempre più forte fino a smuovere completamente gli alberi. Quando ormai mi sembrava di camminare verso il centro di un ciclone la vidi: aveva i folti capelli candidi elettrizzati esattamente come quella volta che litigò con Cìrdan. Inoltre era seduta su un tronco girata di spalle rispetto alla direzione da cui ero arrivato io perciò non riuscivo a scorgere il suo viso. Iniziai ad avvicinarmi chiamando ancora il suo nome ma lei non si stava calmando affatto come se il forte vento spingesse via la mia voce. Quando finalmente la raggiunsi evitai di toccarla in alcun modo perché sapevo che mi avrebbe respinto, perciò decisi di mettermi in ginocchio davanti a lei. La guardai dritta negli occhi, che stavano fissando il vuoto come se fossero velati da una condensa densissima, e le dissi: "Iminyë ascoltami!", ma lei non mutò espressione. Allora cambiai tono di voce e feci dei respiri profondi come per trasmetterle la calma che permeava la mia anima. "Riesci a sentire il silenzio e la pace che sta oltre a questa foresta? Io la sento. È un suono così bello che le creature che vivono lì hanno il miglior gusto in musica di tutti i Regni". A quel punto vidi le sue labbra allungarsi in un sottile e quasi impercettibile sorriso, candido quanto la seta dei suoi capelli che si stava abbassando sistemandosi morbidamente lungo le sue spalle. Presto il vento divenne un soffice sospiro che si liberò dalle sue labbra.
Le presi le mani fredde e le poggiai sulle sue ginocchia cercando di scaldarle. I nostri sguardi si incrociarono e capii che il mio la stava confortando in qualche modo. Lei avvicinò il capo al mio e restammo con le fronti una contro l'altra per un po', finché non fu pronta a tornare da Thingol. Lungo la strada le chiesi cosa volesse farne di lui e, dopo un lungo silenzio, rispose: "Può restare". Ritenni quella scelta molto saggia perché se voleva essere la principessa che avrebbe riunito i Regni quello era un buon modo per cominciare. Quando arrivammo all'accampamento trovammo Thingol seduto con le gambe a penzoloni sul tronco caduto mentre stava analizzando il muschio che ci era cresciuto sopra. I due draghetti dormivano ancora beati l'uno sull'altra. Quando il nano si accorse che eravamo tornati buttò via il muschio che stava per mettere in bocca con imbarazzo e si mise in piedi sul troco con le mani dietro la schiena. Guardai Iminyë e le strinsi la mano per un istante come per darle un impulso. Lei non mi guardò, ma sapevo che aveva compreso il messaggio perché in un attimo mi lasciò la mano e avanzò leggermente rispetto a me. "Puoi viaggiare con noi", disse con tono solenne e autoritario mentre teneva le mani giunte. Thingol stava già per inchinarsi e fare salti di gioia, ma la sua frenesia fu subito fermata dal tono tagliente dell'elfa che aggiunse: "Ma ad una condizione. Non puoi toccare le nostre cose e non devi assolutamente allontanarti se non sei accompagnato. E, ovviamente, bere è fuori discussione". A questo punto il nano si inchinò solennemente e scese dal tronco andando a cercarsi un riparo il più lontano possibile dai due draghi. Quando mi girai per scoprire dove aveva scelto di dormire vidi che stava saltando per la gioia.
"Hai fatto la cosa giusta", dissi a Iminyë appoggiandole delicatamente la mano sulla spalla. "Lo spero", rispose lei sospirando. Il silenzio calò e mi distesi accanto a lei sullo stesso letto di paglia su cui mi ero svegliato poche ore prima. In pochi minuti la luna illuminava i nostri sogni.
STAI LEGGENDO
I Sette Regni
FantasyIacob era un orfano che viveva in una piccola cittadina della Transilvania, in Romania. I cambiamenti arrivarono con l'evoluzione del suo corpo e no, non si tratta dell'adolescenza. Perciò è costretto a partire in un'avventura surreale e a viaggiare...