L'asta del destino

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Indietreggiai al rumore della serratura, non sapendo se trovare sollievo da quella nottataccia grazie alla luce che iniziava a farsi strada in quell'angusto sgabuzzino.
Ad aprire la porta furono il capitano ed uno dei suoi uomini: il primo restò poggiato allo stipite della porta, con un ginocchio flesso, le braccia conserte e lo sguardo rilassato della vittoria, mentre l'altro rideva divertito nonostante mi stesse porgendo un boccale pieno d'acqua.
Si chinò a gambe larghe verso di me ed io afferrai con entrambe le mani il boccale, perché diversamente non potevo fare visto che ero ammanettata, e tracannai disperata tutta l'acqua; la foga era talmente tanta che non badai affatto alle copiose gocce che mi stavano bagnando.
Era fresca ed io ne avevo veramente bisogno!
Esordì proprio il boss, godendo del mio stato per il fatto che gli avessi messo i bastoni tra le ruote il giorno prima: "Bevi, mocciosa, bevi! Bada bene a non fare altri scherzi".
Non ci vedevo più dalla rabbia: come poteva quell'assassino rivolgermi la parola?
Strinsi i denti dal nervoso, facendo salda la presa sul boccale: "Sei solo un pirata bastardo!"
Strizzò un occhio indispettito da quanto aveva sentito, cercando di trattenere il suo istinto omicida nei miei confronti: "Tu non immagini neanche che cosa hai combinato!"
Presumo avesse capito che quanto successo altro non era che una bravata di due undicenni, ma non si mostrava per nulla dispiaciuto della strage a Roubi.
Strinsi forte i denti, ingoiando le parole per paura. Non so neanche perché gli domandai dove fossimo diretti.
Cosa ne sarebbe stato di me?
Come stava nonna Dana-Dana? E il resto dei cittadini?
Avevo troppo caos nella testa. Ero totalmente in pezzi sia dentro che fuori, mi faceva male per fino la faccia per tutto il tempo passato a piangere.
Lui poi andò avanti col discorso, rispondendo alla mia domanda: "Verso un'isola pirata, dove altri come me pagheranno loro colato per averti! Potrei anche venderti a Joker, ragazzina, me ne varrebbe l'intera carriera!" rise estasiato al pensiero.
Ma io continuavo a non capire cosa avesse di così speciale quella pesca marcia che mi aveva portato solo disgrazie dopo quel morso proibito, pertanto chiesi flebile: "Cos'ha questo potere per valere tutti quei berri!?"
"Vedi, mocciosa, il frutto Zeno-Zeno (lett. frutto tutto-tutto) è un rogia con il potere di assorbire e manipolare qualsiasi forma di energia. Non capisci l'inferno che ho dovuto passare per riuscire a trovarlo, è rarissimo e ci ho quasi rimesso la pelle!"
"E quindi?" Non mi pareva essere così diverso da altri, ma perché valesse tutto quel denaro ancora non l'afferravo.
"Chi ottiene i poteri di questo frutto..." disse staccandosi dalla porta e venendomi in contro, obbligando il suo sottoposto a scansarsi "...Si dice sia in grado di imitare le caratteristiche di altri frutti del diavolo. Se sarai abbastanza fortunata, o sfortunata, da rimanere viva, probabilmente un giorno lo vedrai tu stessa." Si abbassò, accorciando le distanza tra il mio viso ed il suo, mi tirò a sé afferrano per il colletto della maglia e rise sadico: "Diventa brava, mi raccomando! Fa in modo che chiunque ti compri domani non trovi un motivo per trivellati di proiettili o farti a fette lo stomaco AHAHAHAH!"
Si allontanò verso l'uscio con passo lento e fanatico, lasciando al suo uomo il compito di chiudermi di nuovo dentro. Andò via ridendo in un modo che mai avrei potuto dimenticare e che si unì alle grida nella mia testa: una risata profonda, colma di cattiveria ed avidità.
Mi corrucciai tirandomi su di scatto, raccolsi il boccale di legno e lo lanciai con forza verso di loro: "NO! NON PUOI FARE SUL SERIO!"
Mi scagliai furente contro la porta prendendola a calci e pugni come una forsennata.
Rimasi al buio ancora una volta, in compagnia della mia disgrazia e coi fiori in tasca.

Trascorse un'altra notte in cui non chiusi occhio; al di là della porta potevo sentire l'intero equipaggio all'opera ciascuno con le proprie cose.
Da quanto riuscii a capire non ero la sola sulla nave, c'erano altri prigionieri che sarebbero stati venduti proprio come me.
Covai rabbia e risentimento a volontà per tutti i pirati, sentimenti che gareggiavano alla pari con la disperazione e i sensi di colpa.
Perché si, mi sentivo dannatamente colpevole: dopo aver avuto l'idea di mordere lo Zeno-Zeno era stata tutta una escalation di tragici eventi che ruotavano attorno a quello.
Se solo avessi fatto colazione quella mattina...
Se Gari non avesse fatto da esca...
Mio padre Petro, che con coraggio ha provato a difenderci fino all'ultimo...
Pensai anche a Manda, a quel bambino che non sarebbe mai nato e all''afflizione che doveva aver provato mentre la lama le trapassava il grembo...
Nitide nella mia mente, oltre a quelle immagini, c'erano il suo 'io ti perdono'.
Per quanto mi sforzassi io non potevo perdonarmi, per niente al mondo.
L'unica cosa di cui ero certa è che un po' mi consolava era sapere che nonna Dana-Dana era viva.
In cuor mio mi auguravo che una nave della marina venisse a salvarci, a portarci a casa, ma dov'è che sarei dovuta tornare io?
Per tutto il resto del tragitto non mi fu concesso altro che un boccale d'acqua, un torso di pane ed un secchio per i bisogni.
Verso mattinata inoltrata, presumo, la nave attraccò: eravamo giunti a destinazione.
Il diavolo solo sa cosa mi aspettava...
Fui prelevata dallo sgabuzzino e cinta da una catena collegata ad una decina di prigionieri: non vedevo altri bambini, ero l'unica fra quei poveri uomini e donne. Giurai d'aver visto anche un uomo pesce.
Fummo condotti poi ad una casa delle aste, trattati come criminali della peggior specie: "Benvenuti all'inferno vermi schifosi!" Disse un pirata sputando ai piedi di un uomo messo male incatenato al primo posto, generando una risata compiaciuta del suo dannato capitano.
Entrammo e proseguimmo sotto guida attenta, passammo per un'entrata secondaria rispetto alla principale, fino a raggiungere uno stanzone immenso e cupo. Disposte in file regolari vi erano delle enormi celle, gabbie per meglio dire. Solo alcune erano vacanti, altre occupate da merce e beni di ogni tipo, altre da persone.
Non circolava aria, nelle narici penetrava solo un pungente odore di sudore e carne marcia.
Mi misi a scrutare ogni cosa ed ogni persona, chiedendomi cosa avessero fatto di male per meritarsi di stare lì. Chi più, chi meno, con l'aria affranta se ne stava in silenzio, nessuno osava parlare o almeno nessuno dei 'miei compagni', perché altri si dimenavano tra lamenti e vessazioni.
Notai, due celle più in là dalla mia, un carrellino coperto da un telo dal quale si intravedevano delle dita... Dita di una mano...
Distolsi lo sguardo per placare i conati, quando la mia attenzione fu catturata dalle urla di una donna, vestita di corti stracci. Una donna bellissima con fluenti capelli castani.
La vidi mentre veniva trascinata via tra urla stridenti. Sentii per sino dire ad un custode: "Divertiti con quegli insaziabili, signorina!" che la stessero vendendo come cameriera?
Mah, non credo l'avrei mai saputo.
Compresi i meccanismi di accesso alle aste: ogni cella era numerata e registrata a nome di un trafficante e si proseguiva con le aggiudicazioni per ordine numerico.
Mancavano ancora una decina di celle prima della nostra e guardavo passare tutti: ero comunque l'unica bambina quel giorno, di altri nessuna traccia.
Ma calpestata dalla stanchezza, senza neanche accorgermene, mi addormentai rannicchiata sulla panchina sudicia accanto a me.

Ariadna! {Trafalgar Law}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora