Il Sanatorio del Sogno

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Riuscimmo a non dare nell'occhio e salire a bordo di una piccola e scialba nave.
Tutto il personale di bordo vestiva una divisa bianca simile a quella degli infermieri e non v'era granché di interessante neanche da quanto mi parse di vedere in quel lasso di tempo necessario a raggiungere una cabina.
Non era caratterizzata da nulla in particolare, se non da un semplice letto dal materasso piatto e moliccio; sicuramente avevano investito il loro denaro in qualcosa di diverso da comfort e design!
Lenora mi anticipò entrando per prima, si sedette sul letto ed accavallò le gambe con classe restando con le braccia tese, composte, con le dita delle mani intrecciate e posate sulle ginocchia. Notai solo in quel momento i suoi guanti neri in pelle.
Mi fece cenno di sedermi accanto a lei, picchiettando con una mano sulle lenzuola prima di riassumere la stessa posa: così feci.
Non so ben dire quali sensazioni stessi provando in quel momento, probabilmente ero solo grata alla casualità degli eventi o talmente tanto esausta da non riuscire a pensare ad altro.
Ma avevo delle domande che non potevano aspettare! E così da brava bambina di dodici anni le domandai: "Come mai mi hai aiutata? Perché erì lì? Dov'è che stiamo andando?"
Bombardata dalle domande, di tutta risposta, la donna si blocco con una smorfia ed inarcò un sopracciglio risistemandosi gli occhiali alla giusta altezza sul dorso del naso.
Aveva dei lineamenti bellissimi, una donna nel fiore dell'età, probabilmente fra i trenta ed i quaranta, come non ne avevo mai viste ma di un fascino più cupo ed intrigante rispetto a quello puro di mamma Manda.
"Calma! Calma, signorina!" fece un piccolo respiro di rassegnazione e si preparò a raccontare: "Come ti ho già detto, il mio nome è Lenora. Sono un medico ed il mio compito è quello di salvare le persone come te, Ariadna."
Proseguì con voce calma e paziente, guardandomi negli occhi per tutto il tempo: i miei verdi erano obbligatoriamente incastrati nei suoi ambra.
"Il mio lavoro è quello di aiutare più gente possibile, per questo delle volte mi capita di andare sotto copertura come oggi: le case d'asta pullulano di persone che hanno bisogno di cure.Le persone, Ariadna, sono risorse importantissime." Si scostò l'unica ciocca libera di capelli, portandosela dietro l'orecchio, successivamente con la mano sinistra si sfilò un guanto, e la sua mano si posò delicatamente sulla mia spalla. Era calda, l'unico gesto di familiarità ed affetto provato dopo giorni di strazio.
"Non è giusto che i bambini come te si trovino in un posto del genere, per questo non ho esitato un attimo nel decidere di portarti via. Oltre al fatto che fossi piccola era palese che fossi stanca e disidratata, oltre che mal messa." Con un movimento degli occhi mi squadrò da capo a piedi.
Più l'ascoltavo, più mi sentivo tranquilla e rilassata: Lenora aveva una voce calda e sensuale, parlava elegantemente e senza fretta.
"Ora sei al sicuro." Disse accennando un sorriso.
Sentii un piccola, ma delicata, pressione sulla spalla lì dove lei teneva ancora la mano.
Inspiegabilmente mi addormentai.

*SANATORIO DEL SOGNO - ISOLA DI PILLOW, MARE SETTENTRIONALE*

" Status: attualmente incosciente
Sesso: femmina
Gruppo sanguigno: F
Altezza: 1.32,m
Peso: 38kg
Età compresa tra i 10 e 12 anni
Capelli: biondo platino tonalità 10.3
Occhi: verdi"

Un puntino accecante squarciò le tenebre ed entrò prepotente nella mia pupilla.
Con un movimento pigro strizzai gli occhi, che abbandonarono una lacrimuccia.
In sottofondo il rumore di una penna ed una voce gelida, quasi robotica.
"D...Dove mi trovo?" fui capace di dire con tono flebile ma probabilmente chiunque fosse lì presente non era riuscito a sentirmi.
Aprii finalmente gli occhi: mi trovavo in una stanza molto luminosa, con pareti e pavimento rivestiti dalle stesse mattonelle in cotto bianco, tutt'attorno carrellini e vetrine con oggettistica dall'utilità medica.
In stanza due uomini vestiti di bianco allo stesso modo di quelli di prima.
Riacquistai, pian piano, la sensibilità agli arti serrando e rilasciando le dita dei piedi e delle mani.
Su di me, spenta, una grossa lampada scialitica.
Su di me?
Effettivamente ero distesa, e mossa dall'istinto feci per alzarmi di scatto: mi sentivo spaesata e confusa, non indossavo più la mia t-shirt "best" e la mia gonnella rosa, bensì una vestella in cotone bianco.
Se non avevo la gonna non avevo più neanche i fiori... Fui presa dal panico ed iniziai ad inspirare ed espirare freneticamente, mi portai le mani alla testa tant'era lo shock accumulato: quei garofani erano l'ultima cosa che mi restava di Gari!
La testa... La testa faceva male ma ma allo stesso tempo era più leggera (anche troppo): cominciai a tastarla scorrendo le dita fra i capelli come per pettinarli con frenesia; sgranai gli occhi e compresi che i miei capelli non erano più lunghi. Impallidii.
Percepivo ancora una volta quella strana carica scorrere in me, drastica e se solo Lenora non fosse entrata probabilmente avrei combinato un disastro: "Ben svegliata, Ariadna!"
Indossava ancora il suo tailleur grigio coperto, però, da un lungo camice bianco con una penna appesa al taschino sinistro all'altezza del petto.
Continuando a trascinare i respiri, le chiesi: "Dove mi trovo?"
"Ti trovi al Sanatorio del Sogno, sei al sicuro qui."
"Che cosa mi avete fatto?" domandai riferendomi ai capelli preda delle palpitazioni.
"Ti abbiamo visitata per accertarci del tuo stato di salute. Eri sporca e disidratata, quindi ti abbiamo lavata e messa sotto flebo mentre eri incosciente." Aveva la mano sinistra nel tascone del camice con fuori solo il pollice. Indossava ancora i guanti in pelle nera.
Si avvicinò di più a me, poggiando la mano destra fra le mie scapole, spingendo un pochino come ad invitarmi di seguirla.
Accadde in pochi secondi, ovviamente, non ci curammo dei due infermieri presi dalle loro faccende: la mia attenzione era completamente tutta per lei.
Mentre uscivamo dalla sala lei proseguì: "Per quanto riguarda i capelli, stai bene così! Non penso ti fossi accorta del fatto che i tuoi erano bruciacchiati." Disse guardando dritto in avanti.
Presi in un pizzico le punte, strofinandole per sentirle meglio: erano corti fin sulle clavicole e non avevo mai avuto un taglio così, perché papà diceva che mi stavano meglio quelli lunghi.
Proseguii ascoltandola, mentre guardavo il pavimento smorto e pulito ed i muri color turchese pastello, caratteristico del lungo corridoio vuoto e spazioso che stavamo attraversando. Un ambiente tipico di un ospedale, si respirava aria di medicine.
"Qui ospitiamo uomini, donne e bambini che come te hanno bisogno di molte attenzioni. Ti troverai bene, vedrai." Al che, spingendo un maniglione antipanico, sbucammo in una mensa illuminatissima.
Un salone non poi così grande, con una decina di tavoli rotondi ed arancioni disposti sparsi.
Alla mia sinistra vi era un bancone vetrato, al cui interno si trovavano delle vaschette metalliche piene di verdure, formaggio, biscotti ed altro cibo ed una donna, da lì dietro impiattava per dei ragazzini in fila.
Le pareti erano dipinte di giallo e colorite da qualche disegnino e appiccicato con lo scotch.
Dopo aver passato ai raggi X l'intera sala, alzai lo sguardo girandomi verso Lenora, la quale si limitò a congedarmi con una pacca ed un "Adesso va'."
Prima che potesse varcare la porta, inconsciamente, mi ero già diretta verso l'angolo ristoro: da quanto non mettevo sotto ai denti qualcosa? Qualcosa di caldo e commestibile poi!
Il mio stomaco aveva agito per me, ma non mi spiaceva affatto.
Feci automaticamente una leggera corsetta per mettermi in fila, con tanto di luccichio negli occhi, e nel mentre notai che tutti gli sguardi dei presenti erano puntati su di me.
Mi provocò del disagio, ma del resto ero letteralmente sbucata dal nulla, ero un volto nuovo lì ed era giusto e normale che gli altri bambini mi guardassero con sospetto.
Sfilai un vassoietto in plastica opacizzata dal carrello delle dispense, portando con me anche una confezione di posate e continuai l'attesa fino a che una donna robusta, con solo gli occhi scoperti, mi servì il pasto: purea di patate accompagnata da una scodella di brodo e carne. Plus: una mela verde ed un bicchiere d'acqua.
Scrutai con ingordigia ogni minimo dettaglio del cibo fumante mentre mi avvicinavo al tavolo: era effettivamente trascorso poco, ma a me pareva passata una vita intera da quando avevo mangiato qualcosa che non fosse pane sporco e raffermo.
"Ma che fai -oh? Guarda dove metti i piedi -oh!"
Distratta dai pensieri non mi accorsi di aver urtato un ragazzino con l'angolo del vassoio.
Il suo rimprovero riecheggiò per la mensa, tutti si fermarono a guardare la scena.
"Mi...mi spiace!"
"Guarda cosa hai combinato!" disse con accanimento dirignando i denti.
Era un bambino poco più alto di me, aveva i capelli quasi rasi, verdi come le foglie scure degli alberi di una foresta e gli occhi dello stesso colore. Afferrò con pollice ed indice un lembo della sua canotti a ospedaliera spostando la mia attenzione sulla chiazza bagnata creata dal mio bicchiere rovesciato.
Ero lì da neanche tre minuti e ne avevo già combinata una delle mie. Tutti assistevano alla scena imperturbabili, come spettatori passivi in cerca di una scintilla che spegnesse la palpabile apatia.
Mi tirai indietro con piccoli passetti incerti: "Non l'ho fatto apposta..."
Serrò le mascelle mentre lasciava andare la stoffa per portarsi le mani lungo i fianchi e stringerle in due pugni che si muovevano a ritmo della sua falcata. Si espresse unicamente con un volto rabbioso: narici dilatate, labbra assottigliate che mostravano i denti, sopracciglia abbassate ed occhi fiammeggianti.
"Basta Akki." Lo fermò la voce della donna dietro al bancone, non ammetteva repliche.
'Akki' così fece, sbuffando e tornandosene a sedere.

Ariadna! {Trafalgar Law}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora