Il tuo ritorno

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Era tanto che non aggiornavo e chiedo umilmente scusa. Ho avuto un periodo un po' difficile che spero sia passato. Da adesso a fine della storia cercherò di aggiornare ad intervalli regolari (circa 2 volte a settimana compatibilmente con gli impegni). Vi ringrazio immensamente per la pazienza e BUONA LETTURA 

MILANO

Simone aveva preso il biglietto del treno subito dopo aver terminato la chiamata con Manuel una settimana prima, ma si era promesso di avvertirlo solo qualche giorno prima del suo arrivo: voleva fare il sostenuto. Dopo quella chiamata aveva riflettuto sul fatto che la vita a Milano gli piaceva e stava bene, ma Roma era un'altra cosa. A Roma aveva nonna Virginia che lo viziava, suo padre Dante con il quale finalmente aveva un bel rapporto, Anita che in fin dei conti ormai considerava parte della sua famiglia; poi gli amici: Laura, Chicca, Aureliano, Giulio, Monica e Matteo. Poi a Roma c'era Manuel, il suo Manuel. Non era davvero suo perché il loro era un rapporto di amicizia, ma avevano un legame talmente stretto, a tratti viscerale e simbiotico, che era come se fossero legati e si possedessero. Aveva passato mesi contando i giorni che lo separavano da lui e, pur sapendo che vedendolo sarebbe tornato indietro ai tempi del liceo, con le farfalle allo stomaco e il fastidio della gelosia nel vedere Manuel flirtare con qualcun altro, era contentissimo di poterlo riabbracciare.

ROMA

Era passata una settimana da quella chiamata, Simone aveva fatto sapere a Manuel che sarebbe arrivato il giorno seguente con il treno delle 12 e il grande si era offerto di andarlo a prendere in stazione. Manuel era euforico all'idea di rivedere Simone: gli era mancato e voleva recuperare il tempo perso ora che erano finalmente in vacanza. La gioia era però accompagnata da agitazione: rivedere Simone significava anche far emergere nuovamente tutte quelle sensazioni che, complice la distanza, era riuscito a tenere sotto controllo per mancanza di contatto fisico; anche se ogni tanto emergevano durante le chiamate, ma riusciva comunque a controllarle.

Manuel sapeva bene che appena i suoi occhi avrebbero incrociato quelli di Simone, tutto il suo autocontrollo sarebbe potuto scomparire e il loro dannato equilibrio distruggersi. Aveva poco più di 24 ore per prepararsi mentalmente.

MILANO

Quel giorno Simone aveva appena finito la chiamata con Manuel quando entrò nello studio della sua psicologa. Appena si era trasferito a Milano, Simone aveva cercato una terapeuta per continuare il percorso, visti i notevoli miglioramenti degli ultimi anni. Durante la seduta, come sempre, il ragazzo aveva parlato della sua famiglia, di suo padre e di Anita, di sua nonna Virginia, delle ultime vicissitudini e di Manuel. Simone amava particolarmente parlare del suo Manuel e di quanto il loro rapporto fosse cambiato e cresciuto insieme a loro, non dava mai un'etichetta a quel rapporto e neanche la terapeuta sembrava voler sapere cosa realmente stesse dietro a tutto ciò, perché in fin dei conti era un rapporto che a Simone faceva bene. La seduta procedeva per il meglio fin quando a Simone non venne chiesto:

"E Jacopo? È un po' che non parli di lui...". 

Il viso di Simone si rabbuiò e lui si irrigidì sulla sedia. Era vero: da un po' di tempo non parlava più di suo fratello e, più precisamente, da prima dell'anniversario della sua morte. Aveva deciso di scendere a Roma, ma poi tra gli impegni e il fatto che non era stato troppo bene se ne era totalmente dimenticato di quella ricorrenza. La realizzazione di quella dimenticanza fece provare a Simone una fitta fortissima al cuore simile a quando aveva scoperto di aver totalmente rimosso l'esistenza del gemello. Si sentì tremendamente in colpa per averlo fatto di nuovo: dimenticarsi di lui. Simone represse quella sensazione, momentaneamente, e decise di rispondere alla psicologa con un tono di voce che risultasse il più tranquillo possibile:

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