Capitolo 6

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Mi sveglio di soprassalto. È notte fonda, tutte le luci sono spente. L'unico bagliore che illumina parzialmente il mio letto è quello della Luna. Guardo l'orologio: le tre. Quest'orario non mi è mai piaciuto. Da piccola i compagni di scuola mi raccontavano sempre che a quell'ora si svegliavano gli spiriti e passeggiavano indisturbati per le abitazioni, facendo rotolare qualcosa giù dal tavolo o producendo strani rumori spaventosi. O ancora che se ti capitava di svegliarti dopo le tre, il motivo era certamente che uno di questi spiriti aveva deciso di voler attirare la tua attenzione.

Posai i piedi per terra, io a queste cose non ci credo più. 

C'è stato certamente un tempo in cui mi affidavo alla religione, perché così ero stata educata, non di certo perché lo avessi scelto. Credevo, però, che i fantasmi dei santi e gli spiriti vivessero sempre tra noi, e che ci guardassero attraverso i quadri o le fotografie di quando erano in vita. Che a volte ci parlassero (vi sarà certamente mai capitato di sentir pronunciare il vostro nome, senza che nessuno vi avesse realmente chiamato) e che si manifestassero in forma di ombre, velocissimi certo, ma la mia visione periferica qualche volta era riuscita a raggiungerli. Ero solo una bambina che cercava di dare una spiegazione logica agli eventi. Le mie paure, adesso, a ventun anni, erano diventate altre. 

Sì perché essere una giovane donna che vive da sola in una zona periferica, non è così facile. Hai sempre un po' paura che qualcuno possa seguirti mentre torni a casa, o peggio, che al tuo ritorno quel qualcuno sia in casa. Mi guardai allo specchio: -Non farti venire inutili paranoie e torna a dormire, sarà stato un brutto sogno- cercai di tranquillizzarmi col pensiero. Ma dalla camera da letto continuava a provenire un rumore insistente. -Saranno i rami degli alberi che sbattono sui vetri, c'è cattivo tempo-. Mi feci coraggio, tornai in camera e accesi la luce. La pioggia continuava a scendere indisturbata.

Lo squillo improvviso del telefono mi fece sobbalzare anche l'anima.

Non potevo credere a quello che lessi sul display. Risposi alla chiamata: "Cosa vuoi da me a quest'ora?"

La voce di Eddie si impadronì della mia attenzione. "Affacciati, ti prego".

Chiusi il telefono e andai alla finestra; tutto quello che vidi fu un ragazzo bagnato fradicio con un pugno di sassolini in mano che mi salutava debolmente. Alzai gli occhi al cielo e gli feci cenno di venire alla porta.

"Eddie, ma lo sai che ore sono? Sei ubriaco?" Mi entrò lentamente in casa, bagnando tutto il pavimento e quando accesi la luce mi resi conto che aveva un braccio fasciato ed un paio di punti sul labbro inferiore e sul sopracciglio. Profumava di disinfettante. "Oh mio Dio, cosa ti è successo?" cercai di aiutarlo a togliersi i vestiti bagnati, ma lui si divincolò e mi puntò gli occhi negli occhi, col suo solito sorriso malizioso, anche se un po' gonfio. "Sei bellissima persino quando il tuo ragazzo ti fa prendere un colpo alle tre di notte" -Il mio ragazzo?- pensai - e quando sarebbe stato deciso?- ma non era quello il momento giusto di affrontare l'argomento.

"Per favore, sta fermo qui, ti prendo dei vestiti asciutti" corsi via, lasciandolo in cucina a giocare con una mela. Quando rientrai nella stanza lui era seduto, senza maglia, con i capelli bagnati che gli gocciolavano sul torace umido. Il petto, costellato da tatuaggi rovinati, era lucido per via dell'acqua e faceva su e giù, guidato dalla cadenza del suo respiro. "Perdonami, Lena, se non sono venuto". Mi gettai tra le sue braccia, senza pensare a niente, e scoppiai a piangere: "Pensavo mi avessi abbandonato". Lui mi prese la faccia tra le mani e premette le sue labbra sulle mie. Poi, fronte contro fronte, mi disse: "Mai. Non ti libererai mai di me".

"Ero a casa di un cliente quando mi squilla il telefono, allora rispondo e quello mi fa - Munson qui non quadrano i conti- e allora io gli faccio – Non è possibile- e lui mi fa –Meglio che mi riporti subito quei Trecento cazzo di dollari mancanti Munson- e io gli faccio – Hey, ho smerciato tutta la tua roba e tenuto bene il conto, quei Trecento erano la mia percentuale, non ti devo proprio un cazzo- allora lui mi attacca il telefono e venti minuti dopo mi ritrovo a prendere calci in culo da uno dei suoi spacciatori del cazzo" Eddie gesticolava come un Gangster. O forse era colpa della sua discendenza italiana. "Insomma sono stato derubato dal mio cazzo di grossista e adesso mi serve un fornitore" Avrei preferito non ascoltare, la mafia mi aveva sempre fatto schifo. "Mi dispiace davvero tanto, piccola" mi accorsi che avrei potuto perdonargli qualsiasi cosa, qualora mi avesse tenuto ancora un po' seduta sulle sue ginocchia. "Mi piaci quando parli come uno spacciatore, Munson" gli scostai con affetto i capelli dalla fronte, posando il mio sguardo sulle sue labbra e poi di nuovo nei suoi occhi neri. "Lei è una vera ammaliatrice, signorina Davis" tirò su un sopracciglio: "Va meglio se parlo così?". Lo baciai intensamente e feci un azzardo: "Ancora meglio se tieni la bocca chiusa". Rise di gusto. Poi si fece subito serio, e in un attimo mi prese la nuca e mi tirò in avanti, costringendomi a baciarlo. Mi tirò i capelli all'indietro e iniziò a leccarmi il collo, poi a baciarlo, poi a succhiarlo, lasciandomi tanti piccoli segni rossi tutto attorno alla gola. Il mio ansimare faceva crescere la sua erezione, che premeva contro la mia pancia. Mi prese in braccio come si prendono le principesse e mi portò in camera, lasciandomi cadere sul letto. I miei capelli ricci si sparpagliarono sulle coperte. Eddie era lì, di fronte a me, che mi guardava come se volesse divorarmi. Si sfilò la bandana bianca e nera dalla tasca posteriore dei jeans "Chiudi gli occhi, piccola" e venne verso di me per bendarmi.

L'ultima cosa che vidi fu la sua espressione maliziosa, con la lingua che passava sul labbro superiore, mentre attorno a me si faceva tutto buio.

"Resta ferma e fai silenzio, ok?" lo sentii allontanarsi.

"I'm in love when we are smoking that"

Aveva messo su uno dei miei dischi di Donald Glover. Traccia Uno: Me and Your Mama.

Tornò ad occuparsi di me, partendo a baciarmi dalla fronte e scendendo verso il petto. Sentivo che era a cavalcioni, piegato in avanti sul mio corpo, col petto ancora freddo di pioggia e le labbra calde come il filtro di una sigaretta quasi finita. Mi stava baciando il seno, tutto attorno al capezzolo, mentre io inarcavo la schiena, vogliosa, per avvicinare le sue labbra al centro della mia areola. Lo sentii tornare su, verso il mio orecchio, per sussurrarmi con tono severo: "Ho detto di stare ferma". Allora lo presi sul serio, e lui tornò a baciarmi in discesa, sempre più giù, fino a sotto l'ombelico, a partire dal quale prese a disegnare una linea dritta fino al pube. E poi ci soffiò sopra.

Un brivido mise sull'attenti tutti i miei follicoli piliferi. Mi lasciai scappare un forte gemito di piacere. Eddie stava risalendo, con la punta della lingua, fino al capezzolo che prima aveva voluto ignorare. Lo stuzzicò con la lingua e poi iniziò a morderlo. Non credevo che avrei mai potuto provare una sensazione simile. Stavo impazzendo di piacere sotto il controllo del ragazzo per cui ero in lacrime qualche ora prima. "Aspettami qui, piccola". Il mio demonio mi aveva lasciato lì, con i capezzoli turgidi e la pelle d'oca, mentre respiravo affannosamente per recuperare un po' di fiato. Ero davvero bagnata, potevo sentire il mio liquido scendere fino al sedere, per andare a macchiare il lenzuolo di raso. I passi di Eddie mi fecero ritornare sull'attenti. Lui doveva avere su ancora i pantaloni, perché potevo sentire il tintinnìo della cinta che penzolava, aperta. "Sei bellissima bendata, Lena. Mi fai venire voglia di prenderti subito. Ma il mio piacere dovrà aspettare ancora". La sua voce era piena di lussuria.

Attraverso i suoni, capii che aveva in mano una bottiglia d'acqua. Ruotò il tappo. Acqua frizzante.

Salì in piedi sul letto: "Ora tieni le gambe bene aperte, non chiuderle per nessun motivo".

Da un'altezza di circa settanta centimetri, iniziò a versare piccole gocce d'acqua sul mio clitoride. La sensazione più strana che avessi mai provato. Pizzicava leggermente, non so ancora se per merito della temperatura dell'acqua o per l'anidride carbonica che mi si liberava sulla carne. La versava prima lentamente, poi a cadenza ravvicinata, e io non facevo altro che gemere, sempre di più, sempre più intensamente. Finché lui non decise che era arrivato il suo turno. Non disse nulla, lo sentii solo strappare l'involucro del preservativo e avvicinarsi con le labbra al mio orecchio, respirando. "Adesso tocca a me", disse fermo.

"Ti prego, Eddie" lo imploravo di farmi venire. E lui mi accontentò, iniziando a penetrarmi molto veloce, con decisione. Ogni spinta era seguita da un urlo. E più urlavo, più spingeva veloce. E più spingeva veloce, più mi avvicinavo al paradiso.

"Dillo ancora" ringhiò. 

"Ti prego, Eddie".

"Ancora, dillo più forte"

"Eddie, ti prego!"

Venne dentro di me, insieme a me, producendo un suono gutturale, come se fosse un animale. Mi levai la benda per guardarlo godere e sorrisi compiaciuta. Lui mi assestò un bacio in fronte e si lasciò cadere affianco a me. "La prossima volta, sarà meglio che sia tu a tenere la bocca chiusa". 

Ci addormentammo cullati dalla musica.

-Spazio Autrice- Che dire, lo perdoniamo questo Eddie? MA CERTO CHE LO PERDONIAMO. Le bad bitches dell'Eddie cult hanno spottato da subito la canzone dall'anteprima del video. IO LO SO CHE SAPETE. Devo dire di essermi divertita molto a scrivere questo capitolo e spero che lo apprezzerete. Lasciate una stellina e/o un commento, fate passaparola, insomma tutto quello che siete capaci di fare per manifestarmi approvazione. So che sarete così gentili da segnalarmi qualsiasi errore grammaticale, di sintassi o di battitura. Un bacino pudico. <3

𝐔𝐧𝐚 𝐬𝐨𝐥𝐚 𝐬𝐞𝐭𝐭𝐢𝐦𝐚𝐧𝐚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora