INVISIBILE

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Ero seduta su uno scomodo sediolino di un aereo che stava andando dritto a Kansas City, da lei. Era passato un anno dal nostro ultimo incontro, ma non avevamo perso i contatti. Ci sentivamo ogni giorno e finalmente era arrivato il momento che tanto aspettavamo. Ormai ero maggiorenne e stavo per iniziare l'università in America, il che voleva dire un posto: un posto nuovo, con gente nuova... persone che non avevano la minima idea di chi fossi. Desideravo questo giorno da tutta una vita e adesso avevo l'occasione di viverlo. Prima di partire mi ero cambiata una decina di volte, volevo che fosse tutto perfetto, adatto all'occasione. Mentre l'aereo stava per atterrare mi diedi un piccolo sguardo; indossavo un paio di jeans chiari, una maglia nera di seta con un maglione largo e degli stivaletti dello stesso colore. I capelli erano racchiusi in un alto e alquanto spettinato chignon. Sentii il pilota avvertirci che eravamo arrivati all'aeroporto e che potevamo scendere In fretta e furia presi la borsa nera che si trovava sopra di me e uscii dal veicolo cercando Mary Jane tra la folla. Aspettai per alcuni minuti e quando la vidi a pochi metri di distanza le corsi incontro. La salutai con un forte abbraccio tentando di tenerla stretta a me. Avevo aspettato quel momento per troppo tempo. Era cambiata dall'ultima volta che l'avevo vista. I capelli biondi le erano cresciuti di qualche centimetro, indossava una t-shirt azzurro chiara che risaltava il colore dei suoi occhi, i jeans aderenti mettevano in risalto le sue curve, le Convers bianche, invece, non smettevano di ricordarmi quanto fosse alta. «Come sta la mia Rory?» «Benissimo, anche se il viaggio è stato piuttosto scomodo. Tra l'altro sono stata seduta per dodici ore di fila», dissi per poi vederla prendere i miei tanti bagagli. «Vedrai, ti piacerà stare qui. Ho riordinato l'appartamento in modo che ti sentissi più a tuo agio. Credo che tu sia piuttosto stanca, che ne dici di restare a casa?» Sfoderai uno dei miei sorrisi migliori e continuai ad abbracciarla, approvando a pieni voti la sua idea. Ero consapevole di avere con me la migliore amica del mondo e in quella nuova città stare con lei era più che confortante, era l'unica persona che mi conosceva davvero: l'unica che mi era sempre stata vicino, nei momenti difficili e in quelli che non vorrei mai dimenticare. Ci conoscemmo al primo anno di asilo, lei era socievole, in attesa di fare nuove amicizie, io invece, una bambina spaventata, che voleva solo ritornare a casa dal proprio padre. Non avrei mai immaginato che si sarebbe avvicinata a me, proprio a me! E invece successe e da allora diventammo inseparabili. Arrivammo a casa in una ventina di minuti con la sua macchina. L'appartamento era piuttosto grande, c'erano due bagni e due camere da letto: una per me ed una per lei, entrando c'era il soggiorno con un grande divano in pelle, alla sua destra una poltrona di colore rosso e davanti una televisione al plasma, collegata c'era la cucina, piccola, ma graziosa. La camera era piuttosto grande, a destra della porta c'era un letto matrimoniale con lenzuola bianche e ai due lati c'erano due comodini in legno chiaro. La grande finestra, proprio di fronte alla parete sinistra, illuminava l'intera camera. Continuai a camminare per avvicinarmi alla scrivania dello stesso materiale dei cassetti, con la sedia messa esattamente al suo posto e uno specchio alla sua sinistra. Un paio di mensole vuote ''riempivano'' il muro destro della camera e la moquette bianca mi dava una sensazione di calore. Posai la borsa a terra e prendendo l'occorrente per il bagno andai a metterlo a posto. C'era uno specchio rettangolare che occupava un'intera parete e dietro di esso si trovava la doccia. Poggiai l'asciugamano sul lavandino e aprii l'acqua aspettando che diventasse calda. Mary Jane mi aveva raccontato, durante le nostre video chiamate su Skype, dell'ambiente che c'era a Kansas City e non vedevo l'ora d'iniziare la mia nuova vita. «Rory ci vuole ancora molto? Le pizze si raffreddano». «Ho finito, dammi il tempo di vestirmi e vengo». Chiusi l'acqua e presi l'asciugamano che si trovava a pochi passi da me. Socchiusi gli occhi quando sentii un brivido di gelo salire per tutto il corpo. Finii di asciugarmi, dopodiché uscii con ancora l'asciugamano addosso ed entrai in camera non badando di chiudere la porta. M'infilai un pantaloncino corto e una maglietta per la casa in modo da poter stare comoda e raccolsi i capelli in una coda di cavallo. «Finalmente!» disse mettendo bruscamente una fetta di pizza margherita nel piatto. Mi sedetti davanti a lei guardandola attentamente. «È stato duro l'anno senza di te», disse con un sorriso malinconico. «Ora sono qui, con te», dissi abbracciandola di nuovo. «Come va con Cristopher?» conclusi risedendomi. «Benissimo, ormai stiamo insieme da sei mesi». «Allora è una cosa seria!» spalancai gli occhi. Jamie non era mai stata il tipo da storie serie e vederla così contenta mi rassicurava molto. «Credo di amarlo come nessun altro». Era innamorata ed io non potevo far altro che essere felice per lei, sperando che anche lui lo fosse. «Ti voglio bene e spero che ti renda felice», dissi guardandola. «Anche io», rispose. Finita la cena decidemmo di vedere un film, ma ero troppo stanca per seguirlo fino alla fine, così dopo una mezz'oretta mi alzai dal divano e andai in camera mia. Mi avvolsi per bene sotto le coperte e chiusi gli occhi cadendo in un sonno profondo. La mattina dopo mi alzai con qualche minuto d'anticipo per l'euforia d'iniziare il mio primo giorno di università in una nuova città. Andai in bagno a farmi la doccia, cercando di fare un piccolo epilogo della giornata precedente, vi uscii ancora un po' stordita per il jet-lag e m'incamminai in camera con l'asciugamano ben avvolto. Nello stesso momento in cui m'infilai l'ultima scarpa la sentii urlare per tutta la casa, venti minuti e sarebbero iniziate le lezioni e non potevo fare tardi. Presi velocemente la borsa e mi avviai verso l'entrata, dove Mary Jane mi stava ansiosamente aspettando. «Sei bellissima», disse prendendo le chiavi e chiudendo la porta di casa. Entrai di corsa nella macchina di Jess, una Mini Cooper blu scura, prima che potesse mettere in moto. Jamie odiava fare tardi, soprattutto il primo giorno di scuola, per questo quella mattina mi ero svegliata qualche minuto prima di lei, ma senza alcun risultato. Ad aspettarci davanti al parcheggio dell'università c'era Cristopher, un ragazzo moro, con occhi marroni e dal dolce viso. Lo zaino che portava sulla spalla destra gli dava un'aria da scolaretto per bene. «Amore!» disse Mary Jane saltandogli addosso dopo aver parcheggiato l'auto, «lei è Rory.» concluse. «La famosa Rory! Finalmente ti conosco, Jamie ha parlato tanto di te», disse guardandola negli occhi con sguardo stregato. In quel momento tutte le mie paure svanirono. Lui l'amava, chiunque l'avrebbe capito. «Anche lei di te» risposi. Qualche secondo di silenzio accompagnò la nostra entrata a scuola, dove Cristopher ci fece da guida turistica. Per lui era il secondo anno, Mary Jane ed io invece eravamo solo delle matricole. La scuola era piuttosto grande, mi ricordava quella dove andavo quando stavo in Inghilterra. Jamie mi accompagnò in segreteria a prendere gli orari di lezione, mentre Cris si avviò in classe. «Cosa devi fare alla prossima ora?» chiese dando un'occhiata al mio orario. «Chimica, tu?» «Anche. Che ne dici se c'incontriamo a metà strada?» «E Cristopher?» domandai. «Rory non ti vedo da un anno, ti rendi conto? Non voglio passare neanche un momento senza di te. Cris ed io avremmo il tempo per stare insieme, per ora voglio concentrare tutte le mie attenzioni su di te. Vedrai, ci divertiremo. Saranno gli anni più belli che tu abbia mai vissuto». Le ero davvero grata per quello che stava facendo, ma non volevo essere di troppo e tanto meno dar fastidio al suo ragazzo. Le lezioni passarono velocemente, erano tutti stranamente gentili con me.
In Inghilterra non c'erano persone che si fermavano a parlare giusto per il piacere di conoscere nuova gente. Mi sentivo a casa ed era davvero bello. Avevo finalmente trovato un posto dove stare e non me ne sarei andata per niente al mondo, per tutti questi anni mi ero convinta che avrei passato la mia vita in quel buco, invece ce l'avevo fatta. Mi avviai alla mensa seguendo la folla, arrivata davanti la porta diedi un'occhiata cercando di trovare Mary Jane e Cristopher, quando un ragazzo l'aprì con forza. Lo guardai negli occhi per un paio di secondi che furono in grado di farmi dimenticare il mondo esterno. Aveva il ciuffo rivolto verso l'alto racchiuso da una fascia con qualche piccolo riccio sulla nuca. Dalla maglietta bianca a mezze maniche riuscivo a vedere i tanti tatuaggi che si era fatto, il braccio destro era ricoperto di parole o disegni, invece il sinistro solo per metà. Gli stivali di pelle gli ampliavano la pianta del piede e i jeans stretti neri, strappati solo sulle ginocchia, mettevano in risalto le sue gambe perfette. Era più alto di me di qualche centimetro. Continuavo a guardare quegli occhi verdi, cupi ma luminosi. Solo dopo che andò via mi risvegliai da quello strano stato di trance ed andai a sedermi vicino a Jamie. Con noi c'erano anche quelli dell'Alpha Zeta - dato che Cristopher era uno di loro - che stavano parlando di una festa. «È una delle più importanti dell'anno» mi bisbigliò Mary Jane vicino l'orecchio, «la fanno per dare il benvenuto ai nuovi arrivati e per conoscersi meglio», concluse. «Tu ci andrai?» le chiesi. «Beh, Cris mi aveva chiesto di accompagnarlo, ma se tu non hai voglia allora restiamo a casa». «Non devi rinunciare ad una festa solo perché io non ho voglia di andarci», risposi un po' scorbutica. «Rory ne abbiamo già parlato, nessuna delle due deve andare ad una festa senza l'altra». «Sì, ma questa volta con te c'è Cris, quindi non c'è il pericolo che tu resti da sola». «Non è questo il punto, io ti voglio lì». «Quando ci sarà?» «Tra una settimana esatta. Vedrai ci divertiremo tantissimo», mi abbracciò forte. Volevo stare tranquilla, leggere un libro con una tazza di tè e un paio di sigarette, ma non potevo dirle di no, lei era la mia migliore amica. Continuavo a girare la poltiglia che mi aveva servito la signora della mensa. Non capivo come facessero a chiamarlo cibo, era talmente compatto che sembrava una pietra. Il tempo continuò a passare e in un batter d'occhio mi ritrovai alla sera della festa. Stavo in camera cercando d'infilarmi il tubino blu metallizzato aderente che avevo comprato qualche ora prima. Le scarpe erano maledettamente scomode e dello stesso colore del vestito. Abbellii il tutto con una collana dorata, lasciai i capelli sciolti, dato che li avevo piastrati per l'occasione. «Rory sei pronta? Dai che facciamo tardi!», urlò Mary Jane dall'altra parte dell'appartamento. Presi la pochette dello stesso colore della collana e uscii dalla porta di casa. Jamie era bellissima, aveva un vestito rosso che spiccava sulla pelle chiara e delle scarpe nere. Ad aspettarci davanti al parcheggio c'era Cristopher con la sua Ford d'epoca di colore nero. Per un secondo ripensai al ragazzo della mensa sperando di vederlo lì, ma Mary Jane mi risvegliò subito dopo facendomi entrare in macchina. La casa della confraternita era piuttosto grande, di tre piani per essere precisi. Il prato all'entrata era già ricoperto di bottiglie di Scotch, Vodka, Heineken e mozziconi di sigarette.
Sembrava che il party fosse iniziato da già qualche ora e invece non era così. Mentre Cris posava la Ford, Jamie ed io cercavamo di avviarci all'entrata senza cadere o fare qualche figuraccia. «Bellezze!» mi urlò Alan aprendo la porta. Lo avevamo conosciuto il primo giorno di scuola durante la lezione di chimica, era gay fino all'osso ma anche tremendamente simpatico. «Alan!», lo abbracciai. «Come sta andando la festa?», chiese Jamie entrando. «Ci stiamo divertendo un mondo!», urlò girando sul posto e alzando il bicchiere. «Quanti ne hai bevuti?», chiesi prendendolo per non farlo cadere. «Questo è il terzo, o almeno credo», rispose guardando il contenitore di carta vuoto. «Andiamo a prenderne un altro pò». Mi avviai con Alan in cucina lasciando Mary Jane da sola con Cristopher, in fondo quei due avevano bisogno di un po' d'intimità. Durante la festa alcuni ragazzi mi chiesero di ballare, ma in quel momento ero troppo preoccupata per Alan. Non potevo lasciarlo da solo in un momento così, Dio solo sapeva cosa avesse potuto fare. Ormai erano le due del mattino e di Mary Jane non c'era traccia. Avevo un disperato bisogno di andare a casa e dato che avevo sistemato Alan in una camera da letto da solo, potevo anche andarmene. Presi il cellulare dalla borsa, ma mi accorsi che la batteria era completamente morta. Capii che l'unico modo per andare a casa era camminare e dovevo anche muovermi, altrimenti non avrei resistito alla tentazione di dormire lì. Presi le mie cose e uscii con una certa fretta. Il vento della notte mi faceva raddrizzare i peli sulle braccia e l'idea di dover percorrere una decina d'isolati a piedi mi spingeva a rassegnarmi.
Velocizzai il passo quando vidi l'orario: 2.45! Ero sopraffatta dai pensieri, quando sentii un forte rumore avvicinarsi e la voce di un ragazzo farsi sempre più forte. Stava in sella ad una Ducati, il casco gli copriva l'intero volto eccetto gli occhi che risaltavano particolarmente. «Sali», disse con tono rude e determinato. «Cosa?» «Sali», ripeté. «Non ci penso neanche», continuai a guardare avanti. «Peggio per te», concluse sfrecciando via. Continuai a camminare a passo svelto, spaventata dalle persone che avrei potuto incontrare in quel posto malfamato. «Bellissima», sentii una voce. Dietro di me c'era un gruppetto d'universitari con delle birre in mano. Riuscivo a sentire la puzza d'alcool a metri di distanza. Provai ad aumentare il passo, ma fui bloccata da uno di loro che mi spinse con forza contro il muro. Non ebbi il tempo di sbattere le palpebre degli occhi che me li ritrovai attorno a me. Mi sentii in trappola, l'aria iniziò a mancarmi e il battito ad accelerare. Le mani tremavano dal freddo della notte. I loro sorrisi mi mettevano i brividi, avevano voglia di divertirsi ed io non sapevo come allontanarli. Incurvai le spalle cercando di chiudermi in me stessa per sentire meno dolore, ma era tutto inutile. Uno di loro mi sfiorò la gamba sinistra con la bottiglia di vetro, rabbrividii per qualche secondo ed indietreggiai ancora di più, fino a toccare un grande ammasso di cemento. L'odore della birra era sempre più forte, ed io sempre più sudata. Avrei dovuto accettare il passaggio, pensai pentita dalla decisione troppo affrettata. Feci uscire qualche urlo dal poco fiato che mi era rimasto, ma a quell'ora le strade erano deserte. Continuavo a chiedermi cosa volessero e cosa potesse dargli una ragazza come me, stavo per perdere le forze, quando sentii di nuovo il rumore della moto di qualche minuto prima.
Vidi lo sconosciuto togliersi il casco e buttarlo con forza per terra. Aveva un viso conosciuto. Si alzò velocemente dalla Ducati, per poi venirci incontro. I ragazzi non ebbero neanche il tempo di girarsi che lui colpì uno di loro con un pugno in piena faccia facendolo cadere sull'asfalto. Non si fermò fin quando non vide il sangue uscire dal volto e poi passò ad un altro, facendo scappare i pochi che erano rimasti. Rimasi ferma, immobile, senza aggiungere una parola. Completamente ipnotizzata dalla forza che metteva ad ogni pugno. Le nocche erano rosse e rotte, il respiro affannato e la camicia sporca del sangue del primo ragazzo che aveva picchiato. Dopo averlo messo KO fece un ultimo gran respiro per poi guardarmi. Era quello della mensa. «Sali», disse accendendo il motore. Questa volta non obiettai e sedendomi dietro di lui incrociai le braccia lungo i suoi fianchi, tentando di non cadere. «Dove abiti?» «Pennsylvania Road 13», risposi con voce tremante. Mi aveva salvata. Il ragazzo della mensa aveva salvato proprio me. Ancora non avevo un quadro completo della situazione, di quello che avrei fatto e cosa avrei detto a Mary Jane una volta tornata a casa. Arrivammo davanti al parcheggio dopo qualche minuto, feci per scendere dal motorino ancora un po' stordita da com'era andato veloce e quando mi girai verso di lui, se n'era già andato, insieme alla sua moto. Perché lo aveva fatto? Perché proprio me? E soprattutto per quale motivo era scappato via? Continuai a pensare alla scusa che avrei usato con Jamie e senza accorgermene, mi trovavo nell'appartamento. «Si può sapere che fine hai fatto? Ti ho chiamato una decina di volte!» mi urlò contro.
«La batteria è morta, scusa», feci per andare in camera mia. «Rory ero in pensiero per te, se ti fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato». «Ma non è successo», la fitta allo stomaco si fece sempre più forte ad ogni bugia che dicevo. È meglio essere ignoranti, rispetto al sapere le cose e star male, ripetei nella mia mente. Non potevo dirlo a Jamie, non se lo sarebbe mai perdonato. Mi giravo e rigiravo nel letto, ma non riuscivo a chiudere occhio. Vedevo attorno a me il sangue di quei ragazzi imbrattare la strada e la violenza che lui metteva ad ogni colpo. Mi aveva salvato la vita e un secondo dopo era scappato in sella alla sua moto. Avevo bisogno di risposte che solo lui poteva darmi. Il giorno dopo aspettai l'ora della mensa con ansia e quando arrivò ero talmente agitata che tremavo come una foglia durante una tempesta. Sbirciai da dietro la porta come il giorno precedente. Mary Jane e Cristopher erano seduti allo stesso tavolo. Solo dopo qualche secondo mi accorsi che Cris non stava parlando con una persona qualsiasi; era lui. Loro lo conoscevano? Improvvisamente tutto sembrò sbiadito e confuso, iniziò a girarmi la testa e dovetti appoggiarmi al muro per non cadere. Mi feci coraggio e oltrepassai la porta, con un gran respiro andai verso di loro e mi sedetti dall'altra parte del tavolo. Salutai tutti con un veloce sorriso e dopo aver preso posto accanto a Jamie, iniziai a fissarlo. Mi concentrai sui suoi occhi; erano così sinceri, come se dicessero cose che la bocca aveva paura di ammettere. «Rory mi stai ascoltando?», mi chiese Mary Jane toccandomi il braccio. «Cosa?», chiesi cercando di non badare a lui, ma fu tutto inutile. Jamie stava pianificando la serata che avremmo passato insieme, com'era suo solito fare ed io annuivo ad ogni sua parola fingendo che la cosa m'interessasse. Continuai così fin quando non lo vidi alzarsi e andare verso l'uscita lanciandomi un sguardo così impercettibile che mi ci volle un pò per capirlo. La mia occasione era finalmente arrivata, potevo andare da lui e parlargli. «Vado in bagno», dissi alzandomi dalla sedia. Le gambe erano particolarmente pesanti, come se non volessero farmi andare da lui. Feci qualche sforzo ancora per un paio di minuti. Una volta uscita, facendo grandi respiri, emisi quelle poche parole che furono sufficienti a fermarlo. «Ti volevo ringraziare», aveva uno sguardo interrogatorio, come se non avesse la più pallida idea di cosa stessi parlando. «Mi hai salvata», continuai, «quello che non capisco è perché», cercai di diminuire la nostra distanza con un paio di passi, ma non servì a molto perché fui interrotta dal suono della campanella. «Devo andare in classe», furono le sue uniche parole: quattro parole che mi concessero di sentire il suono della sua voce roca e dura. Era la prima volta che sentivo un tono simile e non lo avrei dimenticato così facilmente. Era evidente che stava scappando da me, ma non riuscivo a capire il perché.

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