Rosa e camomilla

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You keep stopping when you could be walking,
Looking at the pictures on the wall.
You keep quiet when you should be talking.
You just don't make any sense at all.
Remember when you were much younger,
And you were lying in your bed
Among the satin sheets and pillows,
Your mother there to ease your head.
Mama, Mama, I keep having nightmares.
Mama, Mama, Mama, am I ill?
Mama, Mama, Mama, hold me tightly.
Mama, Mama, do you love me still?
But now it's diff'rent you are older.
There's no one here to hold you hand.
Your Mama's gone beyond the veil, Joan.
There's no one left who understands.
Mama, Mama, I keep having nightmares.
Mama, Mama, Mama, am I ill?
Mama, Mama, Mama, hold me, hold me tighter.
Mama, Mama, do you love me still?
Do you love me?
Do you love me?
So you're left standing in the corner.
You keep your face turned to the wall.
A fading dream, a fading mem'ry,
A shooting star that had to fall.
Mama, Mama, I keep having nightmares.
Mama, Mama, Mama, am I ill?
Mama, Mama, Mama, hold me, hold me tighter.
Mama, Mama, do you love me still?
Do you love me?

Nightmares, A Flock Of Seagulls

      Gli altri ormai se ne erano andati da un po' di tempo e tra me e Eddie c'era silenzio. Pensai che si fosse addormentato, ma ad un certo punto lo sentii parlare. «Nina...» disse, quasi in un sussurro. «Posso chiederti una cosa?» chiese.
      Nonostante fossi molto stanca, una domanda non aveva mai ucciso nessuno. Inoltre, nella sua voce avvertii un filo di malinconia e pensai che fosse una cosa che non poteva aspettare. «Ma certo, dimmi pure.» Io ero sdraiata per terra, dall'apertura del capanno riuscivo a vedere le stelle. Era l'atmosfera giusta per fare un po' di conversazione.
     «Perché te ne sei andata?» la domanda di Eddie mi spiazzò. Sia perché ormai, persa ad osservare le stelle, ero sovrappensiero e sia perché non capivo cosa intendesse. Mi alzai in piedi. Lui non era sdraiato vicino a me, dove pensavo che fosse, ma era seduto sul portico che dava sul lago. Le gambe erano a penzoloni e non mi guardava, era girato di spalle, con la testa appoggiata al muro. Volevo avvicinarmi a lui, ma ero talmente stranita che non riuscivo a camminare.
     «Intendo quando eravamo bambini» continuò come se mi avesse letto nel pensiero. «Perché hai smesso di giocare con noi? Pensavo fosse per la faccenda... Insomma, della droga» cominciò a farfugliare, a malapena riuscivo a capire quello che diceva. Anche perché l'atmosfera si stava facendo pesante. Avevo una strana sensazione. «Evidentemente non era così. Quindi perché?» chiese ancora, dato che non gli stavo rispondendo.
      Non sapevo cosa rispondere, forse perché una risposta vera e propria non esisteva. Non lo sapevo neanche io è successo e basta.
     «Io... non so... è che...» tergiversavo, le parole facevano fatica ad uscirmi di bocca. Avevo la gola secca e il respiro cominciava a farsi più pesante. Eddie non mi stava chiedendo nulla di male, eppure le sue parole taglienti e il tono gelido mi facevano sentire sotto accusa. «Forse il fatto che ci fossero troppe persone nel nuovo gruppo. Sai, non sono una che ama stare in mezzo alla gente».
      Mi sentivo fuori luogo e imbarazzata a parlare così apertamente dei miei sentimenti. Ma non c'era motivo, perché Eddie non mi avrebbe mai giudicato. Vero?
      Si mise a ridere di gusto. «È un po' da svitati questo tuo essere così solitaria» disse, lo stesso tono usato fino a quel momento. Tutto intorno a me sembrò fermarsi. Ogni rumore divenne ovattato. Mi stava giudicando eccome.
     «Io ho sempre pensato che fosse per la questione di tua madre... e tutto il resto» a queste sue parole cominciò a girarmi la testa. Cosa stava dicendo?
     «Ma che dici?» furono infatti le uniche parole che riuscii a tirare fuori. La testa mi scoppiava, le mani bruciavano, sentivo un ingombrante presenza sulle spalle, come se non riuscissi a sostenere il peso dell'aria. Mi stava accusando della morte di mia madre.
     «Sai, siccome sei la ragione per cui è morta, ho pensato non volessi fare lo stesso anche alle altre persone che ti stavano intorno». A quelle parole sentii un tonfo al cuore. Sentire quello che avevo pensato per anni detto da qualcun altro, qualcuno a cui volevo bene, era un dolore troppo grande da sopportare.
      C'era qualcosa di strano. Perché si stava comportando così all'improvviso? Cercai di avvicinarmi, ma ogni passo che facevo la sua figura sembrava allontanarsi sempre di più. Tutto quello non poteva essere reale. Un incubo? Cominciai a darmi delle piccole sberle sulla faccia per svegliarmi. Ma il punto in cui passavo la mano mi faceva male veramente. Le lacrime si fecero strada sul mio viso.
      L'aria era davvero troppo pesante da sopportare e caddi sbattendo le ginocchia, solo le braccia mi impedirono di finire completamente a terra, avevo ancora un briciolo di forza.
     «Non voglio essere cattivo, Nina. Ma qualcuno doveva dire la verità. Ecco perché non hai amici, sono sollevato che io e te non lo siamo più». Stava diventando tutto insopportabile. Un urlo strozzato mi uscì dalla gola.
     «Basta Eddie! Smettila per favore» riuscii a urlare con la poca voce che mi rimaneva. «Perché mi fai questo?» sussurrai sfinita. Lui era ancora girato di spalle. Non aveva neanche il coraggio di guardarmi mentre diceva quelle cose.
      «Ha ragione, tesoro» una voce fin troppo familiare comparve alle mie spalle, ma non avevo né il coraggio, né la forza di girarmi.
     «Mamma?» sentivo le forze che mi abbandonavano completamente. Vidi a terra delle gocce di sangue e mi toccai la faccia. Provenivano dal mio naso. Cercai piano piano di voltare la testa. Almeno adesso ero sicura che fosse un incubo, ma allora perché il dolore era così reale?
      Mia madre era morta da anni, eppure in quel momento era proprio vicino a me, teneva la testa bassa. Raccolsi tutte le forze che mi rimanevano per alzarmi e avvicinarmi. Lei alzò la testa e un senso di orrore mi pervase. Non riuscii a trattenere un altro urlo strozzato. Riuscivo a vederla a malapena con la luce fioca che entrava dalle finestre, ma era impossibile non vedere ciò che aveva al posto degli occhi. Orbite vuote, come quelle di Chrissy. Sembrava che gli occhi le fossero stati risucchiati al suo interno, il sangue secco tutto intorno. Era uno spettacolo raccapricciante.
      «Amore della mamma. Sai che è tutta colpa tua. Lei è morta a causa tua e mi ha portato con sé». Dovevo andarmene da lì o non avrei retto. Mi girai e tentai di scappare con le lacrime che mi offuscavano la vista, ma andai a sbattere contro qualcosa.
     Lo stesso scenario mi si parò davanti, una persona con le orbite vuote, gli arti superiori accartocciati su se stessi. Ma questa volta era mio padre. «Papà... no, papà...». Non avevo praticamente più voce da quanto avevo urlato e pianto. «Sai che è tutta colpa tua Nina. Sto facendo due lavori solo per te. Sono sempre stanco e questo mi ucciderà» disse quella figura che aveva le sembianze di mio padre.
      Cercai di scappare e mi aggrappai a Eddie, sperando di farmi forza e tirarmi su. Ma quando alzai lo sguardo verso di lui anche i suoi occhi non c'erano. Era l'incubo peggiore che avessi mai avuto e sembrava così fottutamente reale.
     «Nina...» la voce di una bambina mi chiamò in lontananza e ne vidi la silhouette. Questo era troppo. Corsi verso l'apertura e mi gettai in acqua, ma non c'era il lago sotto di me. C'era il vuoto. E così caddi. E piangevo e urlavo, mentre cadevo senza fine.
      Mi svegliai di soprassalto e angosciata. Le lacrime mi bagnavano ancora il viso. Probabilmente dovevo aver urlato perché Eddie era corso verso di me, affannato «Va tutto bene? Cos'è successo?» mi chiese preoccupato, mentre io mi tenevo la testa fra le mani per il forte mal di testa che mi era venuto. «Cristo Nina, sanguini» indicò il mio naso. Lo toccai con due dita che si sporcarono di sangue. Mi pulii il naso con la manica del mio cardigan e mi asciugai gli occhi.
     «Non preoccuparti, era solo un incubo» lo rassicurai appoggiandogli una mano sulla spalla. Lui sospirò. Era accovacciato davanti a me, appoggiato con le braccia sulle ginocchia per stare dritto.
     «Dio... ero così spaventato» chinò la testa, i riccioli scuri gli coprirono il volto. Ma si stava rilassando rispetto a pochi secondi prima «Urlavi e piangevi. Non ti svegliavi. Non riuscivo a svegliarti, ho avuto paura succedesse di nuovo» sì butto per terra per sedersi, la tensione nelle sue braccia si fece più leggera e quando sollevò il viso, mi sorrise.
     «Scusa, non te l'ho detto prima. Faccio spesso brutti sogni» era vero, ma in parte. Era da tempo che non facevo un incubo come quello. E mai era stato così reale. Forse i recenti avvenimenti avevano risvegliato traumi passati. «Ora è finita, tranquillo» gli sorrisi per rassicurarlo.
      Mi appoggiai al muro, avevo ancora un po' di affanno. Ma stavo bene. «Orario?» gli chiesi. Probabilmente era ancora mattino presto perché l'unica luce che filtrava dalle finestre era quella della luna.
      Lui guardò l'orologio «Le quattro meno un quarto» disse.
     «Ancora un po' presto per farsi una doccia» affermai, anche se forse in quel momento ne avrei avuto bisogno. «Proviamo a dormire ancora un'oretta o due»
       Annuì con un cenno del capo. Io appoggiai la testa al muro e chiusi gli occhi, ma appena il buio si parava davanti a me mi tornavano in mente le immagini di quell'incubo.
       Aprii di nuovo gli occhi, mi girai verso Eddie. Eravamo a circa un metro di distanza l'uno dall'altra. Sì girò verso di me quando si accorse che lo stavo fissando.
     «Buonanotte» disse.
      Pensai una manciata di secondi prima di rispondergli. «Eddie...» mi imbarazzava ma non riuscivo a smettere di pensare a quell'incubo. «Ti spiace se... mi avvicino un po'?» chiesi goffamente.
      In risposta lui allargò le braccia e picchiettò sulla spalla sinistra ad indicarmi di appoggiarci la testa. Mi avvicinai gattonando e posai il capo lì dove mi aveva detto, tra l'altro spalla e l'incavo del suo collo. Nonostante fossero passati due giorni da quando eravamo chiusi lì dentro, profumava ancora di rosa e camomilla.
     «Scusa, solo per stasera...» sussurrai con la testa ancora appoggiata. «Non volevo ammetterlo, ma quell'incubo è stato orribile...» ammisi.
     «Figurati» mi rassicurò lui. Mi appoggiò una mano sulla spalla e mi diede una piccola pacca.
      Restammo in silenzio per un po', ma ancora non riuscivamo a dormire. «Riguardava tua madre?» disse Eddie, rompendo il silenzio. «L'incubo, intendo». No. Per favore, non di nuovo. «Dico... urlavi il suo nome... se vuoi parlarne». Il suo tono non aveva lo stesso gelo dell'incubo, perciò mi calmai e capii che adesso voleva solo rassicurarmi.
     «In effetti, sì. Ma non solo lei. Solo che in questo momento non ho molta voglia di parlarne». Era ancora tutto così vivido che non volevo proprio riportare le immagini nella mia testa perché avevo paura che fossero di nuovo reali. Scossi la testa per cacciarle via.
     «Certo, prenditi il tuo tempo» disse. Poi appoggiò una mano sui miei capelli, dietro la nuca e delicatamente riportò la mia testa sulla sua spalla. Si sporse un po' verso di me e mi abbracciò. Questo suo gesto un po' mi spiazzò, ma rimasi comunque in silenzio.
     «Mi dispiace, mi dispiace davvero, Nina». Stava quasi piangendo mentre mi diceva quelle parole e io rimasi un po' disorientata. Mi staccai dall'abbraccio e lo guardai fisso.
     «Per cosa?» chiesi.
     «Per averti lasciata da sola». Mi stava leggendo nel pensiero? Ero sicura di non avergli raccontato il mio incubo. Lo guardai stupita, non riuscivo a capacitarmi di come sapesse dire sempre la cosa giusta. «Sai, parli molto quando dormì» aggiunse, anticipando la mia perplessità. Io risi. Anche se mi dispiaceva che si fosse sentito in colpa. Alla fine, la colpa era solo mia.
     «Non devi. Non è stata colpa tua» lo rassicurai. Ero io che non avevo smesso di presentarmi a casa sua e dopo un po' lui ha solo smesso di chiedermelo.
     «Invece sì. Tu stavi passando un brutto momento e io avrei dovuto starti accanto. Invece, sono scappato». Capii che era sinceramente dispiaciuto. «Come faccio sempre, del resto» sospirò.
     Gli posai una mano sul ginocchio. «Sai Eddie, c'è coraggio anche nello scappare da ciò che ci spaventa. Non sempre è un bene buttarsi a capofitto in situazioni più grandi di noi».
     Detto questo, gli premetti la testa sul collo e posai una mano sul suo petto, come rassicurazione. Il suo battito cardiaco accelerò un pochino, ma non disse nulla. Sì limitò ad accarezzarmi una spalla e a prendermi la mano.
     «Buonanotte Nina» mi disse dolcemente e mi diede un piccolo bacio sulla fronte. Io persi un battito ancora una volta.

     «Buonanotte» risposi. Ripresi fiato e mi calmai. Cullata dal battito di Eddie, con il suo respiro sulla fronte, mi addormentai.

Outsiders - Eddie MunsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora