Capitolo 11

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Era una bella giornata, se si intendeva il meteo per lo meno, il sole era caldo e rassicurante in un certo senso. Purtroppo, con questa consapevolezza, dovetti scendere a patti con il fatto che presto sarebbe stato il mio compleanno, stavo per compiere diciannove anni e, normalmente, sarebbe stato un pensiero abbastanza felice, si insomma, era come passare il livello di un videogioco o finire il film peggiore di una saga per iniziarne uno che pensavo sarebbe stato meglio.

Ma non mi sentivo così, tutto il contrario, volevo solo che tutto si fermasse, che il mondo smettesse di girare solo per un attimo, in quei giorni mi sentivo... con l'acqua alla gola, ogni tanto prendevo una boccata d'aria e poi stavo di nuovo affogando.

Guardai Stephane, era ancora a letto stranamente, pensai che fosse la prima volta che dormisse davvero, almeno in mia presenza.

Io ero stata svegliata un po' prima del solito dal sole che filtrava dalla piccola finestrella sopra il letto e avevo intenzione di parlare con Danica, per decidere il prossimo passo da fare, ma non prima che Stephane si fosse svegliato.

Stavamo facendo passi avanti, sicuro, ma le cose non potevano cambiare dall'oggi al domani, c'era bisogno di tempo e, anche se noi non ne avevamo proprio tanto, io avrei aspettato la fine del Mondo seduta per terra se avesse aiutato Stephane, o Carlos o Danica, Devin... o persino Elizabeth, li avrei aspettati. Non sapevo perché stessi pensando quelle cose, mi sentii stupida perché non aveva senso, eppure continuai a pensarci tutto il giorno, come un rumore di sottofondo.

Erebo, durante la notte, si era accoccolato tra Stephane ed il muro, e stava ancora dormendo, quello scansafatiche portatore di pulci.

Sapevo di dover svegliare Stephane se volevo andare, ma una parte di me era sicura che il piccolo avesse davvero bisogno di quella dormita, avevo il presentimento che presto non avrebbe più avuto l'occasione di riposarsi davvero.

"È vicina" ripetevano le voci, che per colpa del silenzio non riuscivo ad ignorare, era vicina e sapevo di cosa parlassero- per una volta.

Ero agitata, più agitata del solito- probabilmente non era nemmeno tutta colpa dell'iperattività- volevo fare qualcosa, il mio cervello richiedeva qualcosa, ma non potevo accontentarlo al momento, dovevo aspettare che Stephane si svegliasse, cercai di farlo comprendere al mio cervello, ma niente, era un'entità a se. In un certo senso lo era davvero.

Guardai meglio la stanza per cogliere particolari che la notte prima non avevo notato, ad esempio le telecamere. Già, telecamere su due angoli, una opposta all'altra, in modo da non avere punti ciechi, immaginai. Erano spente, naturalmente, niente corrente dopotutto.

Metteva un po' i brividi il fatto che sorvegliassero i dipendenti anche quando erano in camera, non mi sembrava etico, e nemmeno legale a dirla tutta, ma, come avevo avuto il piacere di imparare, l'ICTA operava secondo le sue leggi, era governata da se stessa, in un certo senso. Ad oggi non sono sicura di chi comandasse davvero.

Raccolsi le candele da terra e le spostai in un angolo della stanza, lì vicino ci misi anche l'accendino giallo limone che avevo usato la sera prima, tutto ordinatamente accatastato, insomma. Guardai dentro i cassetti di una scrivania che avevo avuto troppa paura di controllare prima- per quanto ne sapevo poteva essere la roba di un morto quella che stavo toccando, mi scacciai quei pensieri dalla testa.

La scrivania- fatta di plastica e buone intenzioni- si reggeva in piedi a malapena, scricchiolava ogni volta che aprivo un cassetto o mi ci appoggiavo leggermente e sembrava proprio sul punto di crollare. Che poi fu tutto inutile perché nei cassetti trovai qualche attrezzo- cacciavite (piatto da un lato e a stella dall'altro), chiave inglese, chiave a pappagallo e delle strane strisce di metallo di cui non conoscevo l'utilizzo- più dei fili elettrici, di quelli per fare ì collegamenti, pensai.

La storia delle Anomalie e dell'AnticristoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora