Capitolo 22.

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Due settimane dopo

Louis stava camminando lentamente. Era una gran cosa quella... nell'ultimo periodo non gli sembrava di aver fatto niente lentamente. L'ultimo anno della sua vita era stata una gara di corsa giocata sul filo dei secondi e a velocità incredibili.

Entrò nell'edificio sospirando. Guardò il pronto soccorso dove aveva atteso ogni giorno per due settimane. Si guardò intorno mentre nella testa aveva solo Harry e il suo odore, il suo sapore, la sua voce. Era l'unica persona che non aveva perso ed era l'unica che gli mancasse così dolorosamente.

Si leccò le labbra mentre Liam si alzava in piedi e abbandonava l'ultima sedia in fondo al corridoio per guardarlo con sguardo terrorizzato.

"Hanno ritirato l'ordine restrittivo da venti minuti" disse ad alta voce.

Liam sorrise avvicinandosi: "Davvero? Quindi..."

"Quindi possiamo parlarci e ... stare vicini" sorrise aprendo le braccia.

Liam scosse la testa e abbracciò il più grande: "Quindi è tutto finito?"

Louis strinse di più la presa: "Non hanno più paura che qualcuno possa inquinare le prove o che qualcuno di noi scappi. Con la registrazione e la foto fatta a Max hanno prove a sufficienza... ora bisogna aspettare il processo e poi sarà tutto finito... " disse il più grande allontanandosi per guardarlo negli occhi: "Ma almeno possiamo aspettare tutti insieme, no?"

Liam annuì e guardò verso le scale che salivano ai piani superiori poi di nuovo verso Louis.

"Ho bisogno di parlarci io... per favore" disse il più grande passandosi una mano tra i capelli: "...ho bisogno di parlare con lui".

Liam annuì e poi guardò l'orologio: "Ma arriverai tardi al funerale... è tra meno di un'ora. Non puoi non esserci Lou... sai che ti aspetta".

"Lo so... ma ho bisogno di chiarire prima una cosa" tagliò corto Louis "Arriverò in tempo" aggiunse mentre Liam annuiva poco convinto: "Te lo saluto, ok? Poi sarà tutto tuo... lo giuro. Devo solo chiedergli una cosa".

L'altro annuì e Louis lo superò correndo verso le scale dopo avergli dato una pacca sulla spalla.

Doveva solo sapere una cosa, dovevo solo essere certo di un dettaglio, di una cosa che continuava a ronzargli in testa.

Salì le scale che dal piano terra dell'ospedale portavano al terzo piano. E camminava lentamente perché aveva nel cuore una strana sensazione. Era come quando da bambino aveva dovuto portare uno stupido cuscinetto di stoffa lungo la navata di una chiesa durante il matrimonio di sua cugina.

Aveva sei anni allora e camminava piano per badare a non inclinare il cuscino con le fedi. Né troppo inclinato a destra ma nemmeno troppo verso sinistra.

Nessuna delle due fedi doveva scivolare giù. Il suo cuore, mentre arrivava al pianerottolo del secondo piano e mancava solo un'altra rampa di scale, era come quel cuscino. Vi erano adagiati sopra due nomi e lui doveva stare attento a non farne scivolare giù nessuno. Ma l'errore, si accorse mentre arrivava al terzo piano, era sempre stato quello. Teneva entrambi in equilibrio e sbagliava. Uno dei due nomi doveva stare al centro, uno dei due nomi doveva essere posto nel mezzo esatto del suo cuore. Sapeva quale ma voleva dare all'altro la possibilità di trovare il proprio di equilibrio. Sospirò mentre poggiava la mano sulla maniglia della porta che divideva le scale dal piano.

Chiuse gli occhi mentre dava forza ed entrava.

"Stanza 201" si disse a bassa voce mentre si guardava intorno. Guardò anche distrattamente il cartello con scritti gli orari di visita. Era in anticipo di venti minuti.

Un gettone e tredici minutiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora