1. Prologo

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Un' auto nera parcheggiò davanti al maestoso ingresso di Villa Wayne. La pioggia scendeva fitta, creando una barriera quasi impenetrabile e l' uomo al volante, un ometto di mezza età, dai baffi troppo spessi e i capelli troppo grigi, scese in fretta dalla vettura, facendo rapidi passi per raggiungere presto il portico, dove si trovava la porta d' ingesso dell'elegante dimora, cercando di non bagnarsi troppo. Suonò il campanello mentre tentava di liberarsi delle grosse e calde gocce che erano rimaste in perfetto equilibrio sull'orlo del cappello. Solo pochi sitanti passarono, prima che un uomo vestito con un'elegante uniforme da maggiordomo, che doveva certamente costare più di tutto il guardaroba del visitatore messo insieme, venisse ad aprirgli la porta. Nonostante il suo completo e il suo atteggiamento fossero impeccabili, il dottore riuscì a notare l'agitazione che cresceva nei suoi occhi come un temporale all'orizzonte.
Dottor Wilson.-
-Alfred.-Si scambiarono un formale e rapido saluto. Quello non era certamente né il momento né il luogo per le formalità. I due si conoscevano da molto tempo, troppo in realtà. Il dottor Wilson era il medico della famiglia Wayne da quando il piccolo Bruce era nato. Era stato lui a visitare il ragazzino sotto shock, dopo la morte dei genitori, era stato lui a curare ogni raffreddore autunnale del piccolo erede della fortuna Wayne e, quando era cresciuto, era stato lui a ricucire ogni taglio e sistemare le slogature.Il dottore era stato svegliato quasi un' ora prima, nel bel mezzo della notte, da un' insistente telefonata dell'eccentrico miliardario, che lo pregava di recarsi il prima possibile alla villa, situata nella periferia più ricca ed elegante di Gotham. Il medico aveva provato a chiedere qualche spiegazione, ma non gliene erano state date. Eppure non si era stupito troppo: erano anni che Alfred lo chiamava nel cuore della notte pregandolo di recarsi alla lussuosa abitazione per aiutare il Signor Wayne quando, misteriosamente, si faceva male. Quelle sue visite notturne erano ben retribuite, molto ben retribuite, e la riservatezza che il medico garantiva al suo ricco paziente, gli aveva permesso di portare più di una volta la sua famiglia in vacanza magnifiche località, come le Isole Hawaii o i Caraibi.Alfred scortò il visitatore attraverso i bianchi corridoi della casa, diretto verso la camera patronale, la stanza del signor Wayne. Mentre seguiva il maggiordomo su per la maestosa scalinata che portava al primo piano, il dottore udì delle urla. Erano urla di dolore ed erano di una donna. L'uomo provò ad interrogare Alfred con un'occhiata, ma l'unica risposta che ottenne fu un muro di silenzio e di apprensione. Solo l'ingresso nella lussuosa stanza avrebbe chiarito ogni dubbio e ogni perplessità.
Il Dottor Wilson è arrivato, signor Wayne.- annunciò il maggiordomo, dopo aver battuto due rapidi colpi e aver aperto la grande porta di mogano scuro.
-Grazie Alfred. Fallo entrare.- la voce del miliardario era tesa e preoccupata. Mai il dottor Wilson lo aveva sentito così, nemmeno nei momenti peggiori. In lui c'era sempre stata una forza, sovrannaturale, qualcosa di sconosciuto alla maggior parte degli uomini comuni.
Eppure, quando entrò nella stanza, il dottore rimase sconvolto: si era preparato al peggio, ma non era bastato.Stesa sul letto, tra cuscini macchiati di sangue e sudore, c'era una giovane donna. Il volto era contratto dal dolore e la pelle, madida di sudore, era bianca come l'avorio.
Perfino un profano della medicina si sarebbe accorto che la donna stava per partorire, ma solo un occhio più esperto avrebbe potuto notare che quella notte o la madre o il figlio non ce l'avrebbero fatta. Il signor Wayne si trovava, invece, in ginocchio sul pavimento.
Teneva tra le sue la mano della sua amata, cercando di sussurrarle parole di conforto e incoraggiamento.
Non saranno queste a salvarla." Pensò amaramente l'uomo, avvicinandosi al futuro padre e prendendo in mano la situazione.
-La prego dottor Wilson...lei deve salvarla.- il suo tono era di supplica. Il dottore di rese conto che era la prima volta che sentiva Bruce Wayne supplicare. Non era un buon segno.
-Da quanto tempo sono iniziate le contrazioni?- chiese il dottore, riponendo la sua valigetta e rimboccandosi le maniche. La domanda era rivolta a Bruce, ma l'uomo era troppo sconvolto anche solo per ipotizzare una risposta.
-Circa un paio d'ore fa. Inizialmente non sembravano esserci complicazioni, ma ora il piccolo sembra non voler uscire.- rispose Alfred.
-Per l'amor del cielo! Perché non siete andati in ospedale, Alfred?-Al suono di questa domanda Bruce alzò la testa, come per rispondere, ma un lamento debolissimo della donna catturò nuovamente la sua attenzione.
-È una questione un po'...delicata. Per tutta la gravidanza è stata consultata una clinica privata, fuori Gotham. Era necessario evitare la curiosità dei giornalisti e qualsiasi scandalo, si voleva tenere la notizia...segreta. Alla signorina Sutherland si sono rotte le acque precocemente...andare ora in ospedale qui a Gotham...beh...- tentò di spiegare il maggiordomo, facendo trasparire la delicatezza della situazione, ma il medico lo interruppe con un gesto secco della mano. Capiva come stavano le cose. Bruce Wayne era sempre stato un uomo riservata, nonostante la sua posizione sociale ed economica non gli offrissero il lusso della privacy.
Eppure a causa di quella riservatezza così desiderata la situazione per la donna si era fatta critica. Ogni minuto che passava c'erano sempre meno possibilità di salvarla.
-Alfred. Avrò bisogno di asciugamani e acqua calda, portami anche la mia valigetta...dovrei avere qualcosa per attenuare il dolore. E ti prego...porta fuori il signor Wayne. Un padre agitato non è mai d'aiuto in queste circostanze.-Bruce uscì dalla stanza, nonostante tutto nel suo istinto gli suggerisse di rimanere. Si sedette sulle scale e aspettò.
Aspettò.
Aspettò.
Ogni momento sembrava interminabile. Sentiva rumori e voci provenire dalla sua stanza da letto, eppure era impotente. Non poteva fare nulla per aiutare la donna che amava.Bruce Wayne aveva avuto molte relazioni. Aveva intrecciato la sua vita con quella di modelle, attrici, cantanti, ricche ereditiere come lui e preparate donne d'affari. Tuttavia l'unica donna che era riuscito ad amare davvero era stata Helena Sutherland, la giovane e anonima giornalista di un famoso giornale di Gotham. I due si erano incontrati per un'intervista e lei, oltre a rubargli scottanti dichiarazioni sul futuro della Wayne Enterprise, gli aveva anche rubato il cuore. I due non erano sposati, ma si frequentavano già da un paio d'anni, cercando comunque di mantenere un profilo abbastanza basso. Nove mesi prima poi, c'era stata la bella notizia: un bimbo avrebbe allietato le loro vite. Avevano deciso di costruire una famiglia e Bruce sentiva finalmente che il vuoto, lasciato dalla morte improvvisa dei genitori, poteva essere colmato.Il flusso di pensieri e ricordi, che affollavano la testa di Bruce venne però interrotto dal rumore della porta che si apriva. Il Dottor Wilson uscì dalla stanza seguito da Alfred, che teneva un fagottino tra le braccia. Subito Bruce si alzò in piedi e gli andò in contro.
-Signor Wayne...- cominciò il dottore, con uno sguardo triste, mostrano ancora di più i segni evidenti della fatica.
-...mi dispiace molto, ma la madre non ce l'ha fatta.-Bruce sentì il pavimento crollargli sotto i piedi. Si sentiva responsabile per quella morte. Era stata tutta colpa sua: aveva insistito per non andare all'ospedale, non voleva che suo figlio nascesse tra gli scatti dei fotografi. Puro egoismo, che aveva distrutto tutto il suo mondo. Per la prima volta sentiva davvero di non essere invincibile, o quantomeno invulnerabile. Calde lacrime gli uscirono degli occhi, rigando le guance.Alfred gli si avvicinò, porgendogli il fagottino. Bruce lo prese tra le braccia con delicatezza.
-Ma ora deve prendersi cura di sua figlia.- proseguì il dottore abbozzando un sorriso -Deve essere forte, lei ne ha bisogno.-
-Come figlia? Le ecografie dicevano che...-
-È una bella bambina.- confermò il medico, calandosi nuovamente il cappello in testa.Bruce scostò un lembo della copertina. La piccola dormiva. Incurante di quello che era successo, incurante della cattiveria del mondo e protetta dalle braccia del suo papà.Bruce annuì cercando di controllare le sue emozioni. Aveva perso Helena, ma non avrebbe permesso a nessuno di portargli via la sua piccolina.
-Christina- sussurrò. Doveva essere forte per Christina.

****

Qualche giorno dopo vennero celebrati i funerali. Doveva essere una cerimonia privata, riservata a pochi intimi, parenti e amici della donna, ma i giornalisti erano venuti a sapere dell' intera storia. La mattina dopo sulle prime pagine di tutti i quotidiani di Gotham c'era la foto del miliardario, Bruce Wayne, con in braccio una bambina.
Sua figlia.

Una nuova eroina.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora