Capitolo 19 | Acqua

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«Ho sempre avuto un debole per le storie famigliari!» esclamò lo spirito omicida. «A proposito, facciamo che mi chiamate per nome, eh? Sono Lewis...anzi no, sono il cagnaccio dispettoso che vuole azzannare la vostra famiglia...anzi no, facciamo che sono io e basta» e così dicendo scoppiò in una risata malefica che risuonò nel bosco.

Nessuno riusciva a credere ai propri occhi. Non sapevano nemmeno di cosa fosse fatto, in realtà. Era spaventoso: si ergeva in alto spartano come una bandiera della follia e con il suo intenso blu acceso colpiva gli occhi dei presenti, che lo guardavano per non più di dieci secondi filati, visto i danni che quella innaturale luce avrebbe potuto provocare ai loro occhi. Watson era paralizzato, sapeva che ci fosse qualcosa di strano, ma non poteva immaginare quanto quella stranezza si fosse trasformata in quell'enorme e spaventoso mostro.

Lo spirito omicida espanse i suoi sottili occhi rossastri e fissò dritto verso Neshka e Watson. Digrignò la bocca composta da denti aguzzi e giallognoli e poi appoggiò una mano sulla spalla di Falka, che sembrava in trance.

«Vedete, so che non ci state capendo nulla. Ma se volete, possiamo parlarne».

«Lasciala!» urlò Neshka riferendosi a sua figlia. «Se le metti una mano addosso ti...».

«Oh, che cosa farai, piccola Neshka?» domandò ironicamente lo spirito. «Mi colpirai? Come farai?».

Neshka non replicò.

«Lasciate che vi dica quanto è stato divertente agire dall'interno».

«Cosa vuoi dire?» domandò Watson.

«Oh, il poliziotto vuole spiegazioni! E chi sono per trasgredire le volontà della nostra splendida unità d'arma cittadina? Vedete, l'unica cosa rimasta di Lewis è questa cosa qui».

Lo spirito agitò la mano libera e dal retro di un albero apparve il corpo di Lewis. Levitava in aria con delicatezza ed era inerme, con la testa abbassata e curvata in avanti e il corpo molle.

«Lewis!» urlò Neshka.

«Oh, non può sentirti, amica mia. Tuo figlio non possiede più un'anima. Me l'ha ceduta».

«C-come?».

«Eh, i ragazzi sono sempre così» e lo spirito fece cadere il corpo di Lewis a terra, senza delicatezza. A distanza, nel furgoncino, Jake, Sam, Lilian, Orlando e Tic Ed, osservavano la scena.

«Dovremmo intervenire?» chiese Lilian.

«E come fai ad intervenire?» ribatté Orlando, che per la prima volta sembrava immerso in qualcosa di diverso dallo spiare gente per cui aveva una cotta.

«Vedete,» lo spirito parlava direttamente a Neshka e Watson «i ragazzi non vanno trascurati. Diciamo fino ai quarant'anni. Sapete che secondo alcune ricerche scientifiche l'essere ignorati è sintomo di dolore fisico?».

«Che cosa hai fatto a Lewis?» domandò Neshka fra le lacrime.

«Io gli ho salvato la vita. Vedi, un giorno mi aggiravo per la città nel corpo di quel cane. E ho visto proprio Lewis scendere dall'autobus. Si è fermato in una caffetteria ed era così solo e triste seduto ad un tavolo. Così ho fatto quello che dovevo fare: ho ucciso un ragazzino della sua scuola. Ricordate il piccolo Terry Bolton?».

Lo ricordavano eccome: Terry Bolton, sedici anni, era scomparso un anno prima da Rocher. Nessuno l'aveva mai trovato e nessuno aveva compreso cosa ci fosse di sbagliato in quel ragazzo solare e gentile. I conti tornavano.

«Ho ucciso quel Terry. In un vicolo del centro. L'ho aggredito mentre era da solo, la sua carne era così tenera!»

Neshka e Watson rabbrividirono: l'aveva forse mangiato?

L'uomo nello specchioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora