Capitolo 21 | Jake e i suoi pensieri

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Il giorno dopo.

Ospedale di Rocher.

Nessuno raccontò mai la verità su quanto vissero in quel bosco. Ma tutto finì, perlomeno, bene. Non benissimo, ma bene.

Nel duello in acqua fra la forza magnetica sprigionata dal diario appartenente allo spirito e Jake vinse il ragazzo, ma a caro prezzo. Negli ultimi secondi che avevano determinato la fuoriuscita dello spirito omicida dal corpo di Lewis, Jake era andato in affanno e non riusciva più a respirare. Non riusciva nemmeno a liberarsi del diario, perché era come se i due fossero incollati da quella forza che li rendeva avversari. Per questo, crollò. E non ricordò nulla fino al momento del risveglio, un giorno dopo, in ospedale.

Si trovò incollato a fili, macchine e con uno strano cerotto sul dito. Attorno al suo letto sostavano i volti preoccupati di tutti i suoi amici, più l'agente Watson, notevolmente provato, Neshka e Falka Oldwin e un medico in camice bianco.

Non appena sveglio fu visitato e i suoi amici lasciarono la camera, dopo qualche minuto furono richiamati, ma con una condizione: avrebbero dovuto lasciare la stanza in cinque minuti e lasciare che Jake riposasse.

Jake, dal canto proprio, era senza forze e pieno di domande per tutti.

«Che fine ha fatto lo spirito?».

Neshka sollevò le spalle. «Nessuno lo sa. Falka ha detto che si è infilato in una buca del bosco».

«E lei? Voi? Insomma, come state tutti?».

«Tipico di Jake» commentò Sam. «Guardati, sei a pezzi e chiedi a noi come stiamo. Io e Lilian siamo state sveglie tutta la notte qui. Guarda i nostri vestiti».

«E i nostri capelli» disse Lilian. «Non...non siamo nemmeno andate a casa perché aspettavamo che ti svegliassi».

Jake si commosse, ma decise di non darlo a vedere.

«Agente Watson, cosa avete detto alla stampa?».

«Alla stampa?» Watson era dolorante e camminava con una stampella dopo l'impatto contro l'albero. «Nulla. Non parlo io con loro, lo fanno altri agenti. Immagino racconteranno di uno scontro fisico, di un terremoto, di una sparatoria unita ad un disastro naturale, di certo non racconteranno la verità, anche perché non gliela diremo».

«Lewis è...».

Sul volto di Neshka apparve un'ondata di tristezza. «Lewis...è vivo...ma è in pessime condizioni. Ci vorrà tempo affinché si riprenda, ma è cosciente, anche se collegato alle macchine. Il medico dice che il suo organismo è stato...non so come definirlo, ha usato un termine strano».

«Invaso» disse Falka.

«Invaso, ecco. Parla di un virus, ma non sa la verità».

Parlarono del più e del meno, fecero battute e presero in giro Jake per il suo fisico esile e senza nemmeno un pelo sul petto. Furono minuti di divertimento e di sollazzo, come se tutti i presenti fossero amici di antico origine, ma in realtà condividevano le varie emozioni contrastanti in relazione a quanto vissuto. Li avrebbe uniti per sempre, anche se non lo sapevano. Ma lì, in quella stanza d'ospedale bianca e senza un filo di luce a passare, con le luci al neon che filtravano dal lampadario, Jake pensò ad una cosa importante.

Nonostante tutto, nonostante le difficoltà, non si era mai sentito come in quel momento. Amato, nonostante tutto.

E, con grande semplicità, a Jake bastava quello per rendersi conto di non essere un fallito come lo definiva suo padre. Sapeva che i presenti avrebbero rappresentato per lui per sempre una grande e nuova famiglia con cui poter condividere immense avventure. Un enorme gioia gli riempì l'anima e per la prima volta dopo tanto tempo, dopo l'apatia che l'aveva sempre contraddistinto, una lacrima fuoriuscì da un occhio. Nella confusione nessuno lo notò, ma a Jake non importava. Gli importava solo di aver speso il proprio tempo con le persone adatte a farlo sentire importante, sempre e per sempre, per loro, gli amici di una vita molto aperta.

L'uomo nello specchioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora