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Il sole di mezzogiorno sbucava dalla tende accostata illuminando il manto morbido di Dinco.

Stranamente non stava dormendo come faceva quasi sempre, era piuttosto occupato a leccarsi accuratamente le zampe per poi strofinarle sul muso.
Lo fece almeno tre volte.

Sbuffai decidendo che avevo fissato il mio gatto abbastanza per oggi e mi voltai a guardare la finestra. Il sole splendeva, ma i suoi raggi era pallidi, probabilmente il cielo era pieno di nuvole, magari avrebbe piovuto come il giorno prima.

Il pensiero della pioggia mi riportò alla mente Amélie.

Avevo fatto delle ricerche su internet, il PC si trovava accanto a me in standby. Avevo cercato il caso della bambino giusto per vedere se era cambiato qualcosa.
Ma niente. Nessun indizio, nessuna pista.

Accesi il telefono. Mancava poco alla pausa pranzo di Lien, così avrei potuto chiamarla e sentire cosa mi avrebbe detto questa volta.

Mi facevano male le gambe a tenerle piegate per tutto quel tempo quindi le allungai cercando di non infastidire Dinco.

Il telefono iniziò a squillare e mi precipitai a rispondere.
«Ehi»

«Ehilà Bee, come va?»
La voce allegra di Lien sembrava la stessa di sempre.

«Bene, oggi è stata una giornata abbastanza noiosa sai»

«Davvero? Qui al lavoro non lo è stata affatto» sbuffò una risata.

«Ci credo. Lien vorrei-»

«No Bee, non ci crederai! Allora Ariane ha uno spasimante!»

Alzai gli occhi irritata. Non me ne fregava niente degli spasimante di Ariane.

«Non mi piace quel soprannome Lien, volevo parlarti di-»

«Davvero? Ma è carino, le api sono carine e il miele è parecchio buono, da piccola lo mangiavo così tanto. Comunque stavo dicendo-»

«La bambina!» Esclamai con un tono più alto di quanto volessi.

«Cosa? Quale... Ah, quella bambina»

«Si, quella bambina che è scappata e che continuo a trovarmi ovunque. Perché continua a inseguire me? Perché è scappata? È stata rapita? Lien sono...» sospirai. Non ne potevo più.

«Confusa e preoccupata» finì il discorso passandomi una mano sulla faccia.

Dall'altra parte del telefono non sentivo nulla. Proprio quando iniziai a pensare che fosse caduta la linea ecco che Lien rispose.

«Lo capisco. Davvero. Sono preoccupata pure io»

«Davvero? Perché non sembra»

Altro silenzio.

«Lo sono» rispose con un tono più serio. «È solo che è il mio modo di reagire allo stress.»

La sentì sospirare.

«Ho parlato con la polizia ieri. Ho detto di aver visto la bambina, che non ha voluto dirmi nulla e che è scappata.»

«Ci hai parlato davvero?»

«Certo! Chi pensi che sia Bernice?»

Okay, aveva ragione.

«Scusami io... Non lo so che mi prende, scusami. È solo che ci sono così tante cose qui che mi sento di scoppiare certe volte»

«Si» sussurrò «Credo di poterti capire. Ma ora mia cara Bee, devo tornare a lavoro. Pausa pranzo finita! Vedi di stare meglio e riprenderti.»

Salutai Lien e spensi il telefono appoggiando la testa contro la tastiera del letto.
Dinco non c'era più. Probabilmente era andato a mangiare. Usciva dalla camera solo per le emergenze.

Provai ad alzarmi per andare in cucina, avevo la gola eccessivamente secca.
Mi sentivo così stanca, come se non avessi dormito per settimane. Probabilmente tutte le emozioni del giorno prima mi avevano esaurito ogni briciolo di energie che il mio corpo possedeva.

Andai in cucina e bevvi l'acqua. Come pensavo Dinco stava mangiando e avrei dovuto mangiare anch'io, ma volevo solo dormire.

Papà non c'era e mamma era al lavoro. Ero sola in casa. Avrei potuto fare qualsiasi cosa.
Ma non volevo fare proprio niente.

Rimasi l'intera giornata a letto. Ero senza forze. Continuai ad addormentarmi e svegliarmi per tutto il pomeriggio finché non tornò mamma.

«Tesoro stai bene?»
Chiese entrando in camera mia.
Mi era appena svegliata per la milionesima volta e annuì.

«Ti senti stanca? Ti preparo la cena»

Così fece. Preparò la cena e io mangiai con fame famelica quel petto di pollo impanato e le verdure che aveva messo come contorno.

Posai il mio piatto sul comodino e mi addormentai di nuovo sperando di svegliarmi senza mal di testa.

Petali bianchi che splendevano sotto la luna.

Neve sporca di sangue.

La luna che, come un grande occhio, osservava la scena sotto di sé.

Persone strane, cappucci scuri rendevano identificabili i loro volti. Stavano intorno a qualcosa o a qualcuno.

Un meraviglioso pugnale intriso di dettagli e segni nelle mani di qualcuno.

Lacrime sulle guance di Amélie. Qualcuno le teneva il volto fermo, due occhi estremamente azzurri la fissava mentre lei cercava di liberarsi.

«Non credo sia il caso» Voce fredda e femminile.

«No?» chiedeva una seconda voce.
Più familiare.
Amélie si voltava e la guardava si fidava di lei. Si fidava di Lien.

La scena si spostava, i contorni dei personaggi diventavano sempre più sfocati e ora c'era solo Yves. Da solo. Nelle neve. Qualcuno lo osservava.
Qualcuno si avvicinava.

Il cuore mi batteva forte nel petto al punto da farmi pensare che l'avrebbe sfondato.
Il respiro era pesante, mi sembrava di soffocare.

Mi tirai su cercando di calmarmi.
Tutto era sfocato, probabilmente per colpa delle lacrime.

Trattenni un singhiozzo e mi sedetti sul bordo del letto.
La luce dell'abat-jour proiettava ombre strane sul muro. Per un attimo provai terrore, ma erano solo le ombre degli oggetti.

Non poteva essere vero quello che avevo visto.
Non potevano essere ricordi.

Perché c'era Yves? Qualcuno lo osserva. Erano ricordi o sogni?
Qualunque cosa fossero erano terribili.
Qualcuno l'ha osservato prima di morire e quel qualcuno era abbastanza vicino a casa da poter intercettare i suoi sogni.

Eppure qualcosa dentro di me mi sussurrava che venivano da persone diverse.

Mi alzai in piedi, mi sentivo più in forze ora. L'orologio sul comodino segnava le 4 di mattina.

Qualcuno aveva rapito Yves come ha cercando di prendere Amélie?
Cos'era successo? Era vivo? Come aveva fatto Amélie a scappare? Erano ricordi o sogni? E di chi erano, di Amélie? La bambina era abbastanza vicino da casa mia? Dormiva per strada o qualcuno l'aveva rapita di nuovo? L'aveva presa Lien? Mi stava mentendo, mi stava osservando, aveva fatto tutto ciò apposta?

Troppe domande, troppa confusione. Senza rendermene conto camminavo su e giù per la camera. Scostai le tende e aprì la finestra; l'aria fredda fu un sollievo.

Presi un paio di profondi respiri. Cercai di non pensare, ma quelle immagini tornarono con prepotenza nella mia mente.

E senza rendermene conto stavo già piangendo.

                           

The Flowers of PurityDove le storie prendono vita. Scoprilo ora