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Presi un respiro profondo, mi sistemai un ciuffo biondo fuori posto e, dopo un'ultima occhiata al mio riflesso, uscii dalla porta.

Ero già stanca, ma dovevo resistere ancora qualche ora.
Per ricevere più soldi mi ero offerta di fare il doppio turno quindi tornavo a casa alle otto.
Tornavo a casa stanca morta, ma ne valeva la pena.

Il bar dove lavoravo era quasi pieno. I tavoli erano già stati tutti occupati, quindi, molto probabilmente, avremo dovuto aggiungerne altri.
Solitamente il locale non si riempiva così, le persone si accomodavano nei tavolini posti fuori, ma quel giorno le nuvole grigie erano piuttosto minacciose, e il freddo più glaciale.

«Berenice, muoviti! Il tavolo sei deve essere servito»

Feci una piccola smorfia nel sentire il tono aspro del mio collega; non aveva tutti i torti, però. Ero stata qualche minuto di troppo in bagno, questo era un bar grande e c'era poco personale in quel momento. Motivo?
Avevamo un nuovo capo da circa un mese ed era uno stronzo. Stava licenziando tutti quelli che non gli garbavano.
Lui affermava che loro non facessero bene il proprio lavoro, ma io sapevo, e anche piuttosto bene, che l'aveva fatto solo perché Catherine era troppo in sovrappeso, Arthur gay e Nathalie minorenne.

Su Nathalie, in effetti, poteva anche avere ragione, peccato che poco tempo dopo fece entrare sua nipote, di soli sedici anni.

Avvistai il tavolo sei, dove i due ragazzi seduti avevano un'espressione leggermente imbronciata. Feci uno dei miei migliori sorrisi e mi avvicinai.

«Buongiorno, scusate il ritardo, cosa prendete?»

Ordinarono due caffé e due ciambelle, annuì una sola volta e mi diressi verso il bancone consegnando gli ordini dei due clienti.

Al bancone c'era Ariane, la nipote del proprietario, che appena mi vide sorrise distrattamente.

Per quello che avevo visto Ariane era una ragazza a posto, forse però le piaceva troppo spendere i propri soldi e, soprattutto, era molto ingenua: non aveva idea che fosse stata presa solo e unicamente sotto raccomandazione.

«Ciao, Berenice, va tutto bene?»
Mi chiese mentre chiudeva il conto di un cliente.

La guardai confusa. «Certo che va tutto bene, perché non dovrebbe?»

Lei mi lanciò un'occhiata confusa.

«Non te l'ho detto? Devo averlo dimenticato. Mi sa che un giorno perderò la testa!» fece una risatina che ricordava quella di una bambina.
«Robert, quel tizio, è venuto qua e ha chiesto di te.»

Un colpo al cuore appena sentii quel nome.

«Robert? Sei sicura?»

Annuì velocemente.
«Assolutamente.»

Alzai gli occhi al cielo.
Le dissi di non preoccuparsi, non che lei si preoccupasse davvero, e continuai con le ordinazioni.

Quel giorno fu come uno dei tanti, con la differenza che c'era decisamente più gente e quindi dovevo essere più veloce e più brava a ricordare le ordinazioni.
Fortunatamente ero un asso nel ricordarmi certe cose.

Uscii dal bar, dopo aver finito le mie nove ore, stanca come non mai.
Avrei voluto così tanto buttarmi sul divano e rilassarmi.
Ma anche solo starmene per i fatti miei andava bene. Volevo solo trovare un posto dove sedermi, i piedi mi facevano più male del solito. Forse indossare tacchi per tutto il giorno non era stata esattamente un buona idea.

Il dolore ai piedi divenne troppo forte e, rendendomi conto che avevo bisogno di riposo, mi appoggiai al muro con un sospiro.

Ma poi sentii il rombo di un motore. Alzai gli occhi e notai una moto rossa fiammeggiante davanti a me.

The Flowers of PurityDove le storie prendono vita. Scoprilo ora