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«Va tutto bene? Ultimamente ti vedo un po'... distratta.»

Alzai lentamente i miei occhi.
Davanti a me, dall'altra parte della scrivania, il mio capo, il signor Chibnell, mi guardava falsamente preoccupato.

Sentivo benissimo la sua irritazione.

Era un po' strano quando sentivo le emozioni o i sentimenti delle altre persone. Se le emozioni e i sentimenti erano forti riuscivo ad avvertirli involontariamente, ma potevo anche provare a sentirli solo volendo.

Quando ero piccola mi sentivo troppo strana, perché, come in questo caso, sentivo l'irritazione, la felicità, la tristezza, la rabbia, delle altre persone ma non ne venivo influenzata.

Nonostante ciò non riuscivo a distinguerlo, quindi mi sentivo arrabbiata senza un motivo o felice quando ero triste.
Ed era davvero, ma davvero difficile convivere con tutto ciò.

Mi sforzai di tirare le labbra in un sorriso.
«Sto benissimo, mi creda.»

Lui mi guarda.
È sospettoso, non mi crede.
Fisso i suoi occhi scuri e rivedo me stessa, a terra, con gli occhi spalancati, che mi agito senza motivo.
Sembrava che stessi avendo un attacco di panico.

Non era spaventato, solo confuso.

Che persone orribili che esistono.

«Forse una pausa ti farà bene, sai, il troppo lavoro può causare stress»

Mi irrigidì involontariamente.
Mi stava licenziando? Stava seriamente cercando di licenziarmi?

«Non c'è assolutamente nessun motivo per essere licenziata.
Mi creda.»

«Ma non volevo affatto licenziarti»

Alzai leggermente le sopracciglia guardandolo incredula.

«Stai un po' a casa» ripete «Ti farà bene.»

E a quel punto capisco che non posso continuare a negare altrimenti lo farei arrabbiare.
Lo sentivo già quel lieve nervosismo che precede la rabbia.

Abbassai la testa, dirigendomi verso l'uscita.
Non potevo fare nulla per fargli cambiare idea, lo sapevo già.

Uscii dallo studio e notai subito lo sguardo di Ariane. È bastato uno sguardo per capire cosa le frullasse in quella testolina.

Le rivolsi un piccolo sorriso. Doveva essere un sorriso rassicurante, ma non so quanto funzionò.
Infatti, il suo sguardo, invece di calmarsi si allarmò ancora di più.

Lo sapevo benissimo che non vedeva l'ora di avvicinarsi a me per chiedermi che cosa fosse successo, ma io mi avvicinai al bancone e presi la borsa.

«Avrò una piccola vacanza anticipata» le sussurrai.

Lei rimase sconvolta. «Cosa? No! Parlerò con mio zio, Berenice credimi, gli farò cambiare idea.»

«Ma non ce n'è bisogno, dico davvero, va tutto bene.»
Le sorrisi un'ultima volta prima di andare via.

Il freddo all'esterno mi colpii come un pugno. Stamattina c'era decisamente meno freddo.

Camminai a testa bassa fino a casa mia. Non volevo attirare l'attenzione di nessuno e sentivo un peso sulle spalle e il morale a terra.
Non era una bella sensazione, soprattutto perché sentivo la felicità di qualcuno nelle vicinanze e questo non faceva altro che aumentare il mio malumore.

Ero arrivata nella strada isolata dove vivevo quando sentii qualcosa.
Non saprei descrivere esattamente cosa, ma alzai immediatamente la testa e vidi di fronte a me una bambina.

Si trovava davanti il portone di casa mia, era seduta a terra, con le ginocchia al petto e la testa bassa.

Portava un berretto rosso e alcune ciocche di capelli castani le solleticavano il volto.

Mi avvicinai piano piano e quando lei alzò gli occhi notai che erano pieni di lacrime.

Era lei. La stessa bambina del bar.
Era lei!

In un baleno le fui accanto e lei si spaventò. Si alzò di scatto e scappò dalla parte opposta.

«Aspetta!» provai a chiamarla, ma ormai era lontanissima.
Era davvero veloce.

Entrai in casa con la testa piena di pensieri.

Sentii a malapena mio padre che mi chiamava, ero troppo presa da quella bambina.
C'era qualcosa che non andava.

Stavo diventando pazza? I miei colleghi dicevano di non aver visto nessuna bambina, eppure io l'ho vista.
L'ho vista prima e l'ho rivista poco fa.
Quella bambina esiste.

«Berenice!»

Mi girai di scatto e vidi mio padre, davanti a me. Non l'avevo sentito arrivare. Aveva continuato a gridare il mio nome, questo lo so, ma la mia mente era a quella bambina.

«Ma la bambina che era qua fuori la conosci?»

Sgranai gli occhi sorpresa: quindi anche lui l'aveva vista.

«No, non la conosco, ma l'ho vista anche oggi al bar.»

«Dicono che sia scomparsa da qualche settimana»

Istintivamente guardai mio padre fisso nelle pupille e controllai i suoi ricordi.
Giusto qualche minuto prima in TV avevano parlato di una bambina scomparsa ed era la stessa bambina che avevo visto fuori dalla casa e al bar. Rispondeva al nome di Amélie Danton.

Non dissi nulla a mio padre, che neanche si era accorto del mio trucchetto, e andai subito nella mia camera.

Dinco, come al solito, stava sonnecchiando sul mio letto. Io presi il computer portatile e mi sistemai accanto a lui.
Subito andai su internet e cercai il nome di quella bambina e subito mi spuntarono tantissime notizie.

Da quello che capii Amélie era scomparsa un mese prima. Nessun indizio, nessun colpevole. Era semplicemente scomparsa nel nulla.

I genitori erano, ovviamente, molto preoccupati. Promettevano soldi a volontà a chiunque avesse trovato la loro amabile figlia. Purtroppo, però, la povera bambina sembrava seriamente scomparsa nel nulla.

Rimasi qualche istante a riflettere.
Amélie era stata vista da mio padre, ma non dai miei colleghi di lavoro.
Era stato qualche incantesimo? Forse la bambina non era mai stata al bar.
Forse ero io che stavo diventando pazza.

Ma allora perché mio padre l'aveva vista? Che diavolo stava succedendo? E come faceva quella bambina a sapere dove abitavo?

Così tante domande senza risposta, mi facevano venire mal di testa.

Il telefono accanto al mio squillo insistentemente. Inizialmente lo ignorai, ma poi, seccata, lo presi e vidi che era Lien.

Risposi subito.
«Lien, ciao»

Lei sembrava preoccupata.
«Berenice, stai bene?»

Io aggrottai le sopracciglia.
«Certo che sì.»

«Ho saputo solo ora che il tuo capo ti ha concesso dei giorni di riposo, che è successo?»

Eppure, per qualche strana ragione, il suo tono non sembrava totalmente sincero.

Qualcosa mi diceva di non dirle tutta la verità.

«In realtà va tutto bene. Ho chiesto dei giorni di riposo perché ultimamente mi sento molto stanca e non sono molto attenta a lavoro. Ma non è niente, tra qualche giorno sarà di nuovo tutto normale»

Lei rimase un attimo in silenzio.

«Sono felice che non sia niente di grave!»

Rimase a parlare ancora un po', mentre io facevo finta di ascoltarla.
Una parte di me voleva parlarle di quella bambina, ma l'altra parte non ne voleva proprio fare parola.

Non mi fidavo abbastanza.

Quando, alla fine, chiuse la chiamata tirai un sospiro di sollievo.
Non aveva fatto altre domande e io non mi ero sforzata di mentire.

The Flowers of PurityDove le storie prendono vita. Scoprilo ora