Key - Capitolo 4

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Per tutto il percorso fino a casa di Abbey, Key non è in grado di pensare lucidamente a nulla.

O forse sarebbe meglio dire che non è in grado di pensare e basta.

Trascinato per il polso attorno al quale la mano dell'amica è salda, la sua testa è occupata solo da una cosa: il sangue. Il modo in cui l'ha fatto sgorgare con facilità, come ha iniettato i suoi occhi arrossati, dalla vista offuscata dalla rabbia.

Key ha paura di quel sentimento, della spontaneità con il quale è uscito allo scoperto. È spaventato dalla concezione che lui può uccidere.

Era fuori di sé, certo, ma non è una scusante per quella reazione. Non può esserlo, giusto?

Nemmeno si accorge di passare sul vialetto tra due alti muretti di pietra nera pieni di graffiti, quello che conduce a casa di Abbey. Camminano sotto una pineta ariosa retrostante ai muretti e pochi pali della corrente sparsi, alcuni spenti, altri guasti, volti a proiettare una giallina luce sul terreno a intermittenza, nonostante sia pieno giorno.

È sotto una di queste luci che, per appena un battito di ciglia, Key vede qualcosa che lo desta con veemenza dalle profondità del suo subconscio.

La sagoma, che è sparita appena il ragazzo ha rivolto il capo di scatto nella sua direzione, era simile a lui di conformazione, ma gli è sembrata composta di uno strano materiale. Una sorta di groviglio di fili ramati.

Pensandoci, era simile all'ombra che ha notato in casa sua, la sera prima, davanti al vasetto delle rose.

"Siamo arrivati." la voce dura di Abbey lo riporta definitivamente alla realtà.

È dinanzi alla staccionata che delimita il grazioso giardinetto di casa sua. L'erba però pare un po' incolta rispetto a come Key la ricorda, e anche la stessa staccionata è molto meno curata. Alcuni paletti di legno appaiono mezzi marci.

"Coltivi ancora gli alberi di limone sul retro?" senza pensarci, come ipnotizzato, Key pone quella domanda. Vuole sentirsi rassicurato su qualcosa per qualche motivo, poiché sente che tutto ciò che conosceva sia crollato, o cambiato. E non in meglio.

"S-sì... non ho perso l'abitudine." balbetta Abbey, felice che lui rimembri quel dettaglio che la riguarda.

"Sono sempre stati belli." Key parla come un automa, emotivamente provato, fuori dalla realtà.

Per quel motivo, Abbey gli afferra le guance con entrambi le mani, e lo costringe a guardarla negli occhi.

"Tu non sei cattivo, Key. Prima, alla piazzola, hai agito per difendere qualcuno. Per difendere me, il mio nome. E io... ti ringrazio. Nessuno l'aveva mai fatto per me in questi anni." il tono della ragazza si abbassa, malinconico. "è stato davvero fico, se me lo chiedi..."

Il suo viso vicino, le sue parole di conforto, scuotono Key, che pare riprendersi gradualmente. "Mi spiace, Ab... non volevo rovinare la nostra giornata insieme." si scusa, affranto.

Abbey scuote la testa con delicatezza. "Tranquillo, pensiamo solo a noi adesso. E dammi quell'aggeggio, mettiamolo via." piano, infila una mano nella sua tasca, e sfila il coltello. "a una persona come te non serve. Dai, entriamo e prepariamo qualcosa per pranzo. Muoio di fame!" cinguetta, diventando allegra, voltandosi di scatto verso la porta e sfiorando la gota di Key con la sua unica, trasgressiva ciocca nera tra le centinaia bianche.

Nonostante sia contagiato dalla sua euforia, il pensiero di aver lasciato solo Nat attanaglia Key. E soprattutto, l'atteggiamento freddo che Abbey continua ad avere nei suoi confronti lo rende nervoso.
Chissà cos'è successo tra i due, si chiede.

 Chissà cos'è successo tra i due, si chiede

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