Postfazione

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Si narra che, fin dai tempi più remoti, c'erano due mondi vicini. Quello umano e quello degli Elfi, l'uno nemico dell'altro. Il loro rancore era così profondo da avere radici millenarie, ancora prima che gli umani dell'Esercito moderno conquistassero le coste meridionali dell'Inghilterra ed espandessero il loro dominio sul mondo conosciuto, tramite guerre e patti. Erano pochi i Mordecai, i capofamiglia del Nido, la grande organizzazione umana che esercitava il suo monopolio tramite armi demoniache, che accettavano gli Elfi nella brughiera inglese come inquilini indesiderati.

Per millenni la brughiera aveva ospitato creature magiche, innumerevoli, strane, gentili e spaventose, vivevano sotto i due regni elfici e condividevano conoscenza, cibo e terre. Per quanto lo negassero, gli umani erano da sempre stati invidiosi e restii nei confronti degli Elfi e delle creature magiche e molte volte avevano osato avventurarsi nei territori incantati con intenzioni ostili. Mai nessun re aveva permesso che alcun umano varcasse quei territori... fino all'arrivo di mio padre.

Era solo un giovane ragazzo quando, avventurandosi nei boschi incantati per scappare dai suoi compagni, trovò per errore l'entrata per il regno degli Elfi. O meglio, fu solo perché la fortuna decise di accompagnarlo in un giorno d'eclissi e il sole era nero che i guardiani dei boschi lo lasciarono passare incauti, dormienti.

Fu mia madre che lo trovò, inseguito da un paio di guardiani – grossi alberi piegati su se stessi con mani e gambe formati da corteggia, rovi e terra. Entrambi non avevano mai visto un altro della razza opposta e la curiosità li sopraffò come l'alta marea.

Mio padre era un soldato dell'Esercito dell'ordine demoniaco, si chiamava Cameron Duke. Mi raccontava che avesse origini spagnole, anche se io, la Spagna, non sapevo nemmeno dove fosse o cosa fosse. Un pezzo di terra di sicuro, più grosso della brughiera, con tanti umani.

Mamma si chiamava Fannie, nella nostra lingua significa "la portatrice delle fiamme". A lei piacevano ogni genere di creature, anche gli umani, per quanto le nostre storie ci avessero ben messi in guardia da quella razza. Ci dissero che si conobbero un pomeriggio tardi, quando il sole era coperto dalla luna e la foresta era addormentata, in un innato silenzio: papà si era avventurato nella brughiera dopo che i suoi compagni di squadra lo avevano preso in giro per aver fallito l'ennesimo patto demoniaco e mamma lo aveva trovato seguendo i fuochi fatui.

Nacque così la più improbabile delle amicizie, quella tra un umano, un Dominatore dell'Esercito demoniaco e un'Elfa. Papà diceva che avesse continuato a tornare – nonostante i guardiani lo ricorressero con lance e mazze – perché si era follemente innamorato e mamma non osò mai rivelare a nessuno il loro segreto. Un umano nella foresta elfica era un bel guaio, poteva portare grossi problemi e dove c'era un Dominatore c'era un esercito. Se i re di entrambi i regni li avessero scoperti, papà sarebbe morto e Fannie... be', nessuna Elfa aveva mai osato far amicizia con un umano. Almeno per loro, in quei lunghi anni, sembrò che l'ostilità fra umani e creature magiche fosse cessata e potessero coesistere in un unico grande regno. I miei genitori sognavano un mondo unico, uno senza re, confini e doveri, dove ognuno era libero di amare ed essere amato.

Come spesso succede, la loro amicizia lentamente divenne amore e di conseguenza arrivammo noi, le loro due figlie: Celestia e Nico. Io sono Nico, per l'esattezza, la secondogenita, la preferita di papà.

Crescendo io e mia sorella imparammo molto bene le differenze tra i due mondi, tra papà e mamma, i difetti, i pregi e le ombre che entrambi si portavano dietro come pesi. Non uscivamo mai dai boschi, fuori era troppo pericoloso per noi, così mamma creò una capanna al limite della brughiera, in modo tale da accogliere papà ogni qualvolta rientrasse dalle sue missioni ed essere allo stesso modo protetti dalla magia antica. Anche se non glielo faceva mai notare, puzzava sempre più di sangue e Demone.

Ne aveva uno, a proposito, di nome Luik. Nessuna di noi lo aveva visto, tanto meno Luik si fece mai la briga di farsi vivo, nonostante dimorasse nel corpo di Cameron e io e mia sorella facessimo parte della stessa famiglia. Lessi molto sui Demoni, da piccola, e capii perché Luik ce l'avesse tanto con noi: bramava il sangue, l'azione e il desiderio, cose che non poteva ottenere se mio padre era con noi. Lasciava il suo arco sempre fuori casa, seppellito sotto un masso, fino a quando doveva di nuovo partire.

Papà era attratto dal potere lusinghiero del Nido, bramava creare il suo mondo perfetto e ciò lo portava a stare sempre più lontano da casa. Fannie lo seguiva spesso e lo proteggeva, le lunghe notti le passavo con mia sorella Celestia. Lei era la migliore sorella maggiore del mondo, audace, forte, coraggiosa e spiritosa. Non si arrabbiava mai con me, seppure combinassi spesso guai e papà ci rimproverasse entrambe. Mi raccontava storie su Elfi, umani, Angeli e Demoni, delle guerre che combattute e sui re che avevano camminato su quella terra.

I miei genitori pensavano di essere al sicuro dall'avidità e dalla paura degli esseri umani, ma si sbagliarono: fu una notte come tante altre quando corsero dentro la nostra capanna, con le lacrime agli occhi, feriti e spaventati. Era successo qualcosa, un blocco nel loro piano di felicità si era consunto e cadde loro addosso. Nel modo umano si sarebbe definita una "spia" e trovarono l'ingresso oltre la brughiera.

Arrivarono tanti umani, alcuni si dichiararono guerra l'un l'altro e ricordo molto bene l'odore di carne bruciata che invase l'aria. Puzzava e mi faceva prudere le narici. Il cielo si coprì di un denso fumo e le stelle furono ammantate dal rogo della foresta, dei guardiani che bruciavano vivi sotto le torce, maledicendo gli umani. Le grida di sofferenza impregnarono la terra, rendendola acida e incolta.

Vennero degli uomini in divisa, la stessa che portava ogni mese mio padre, ricoperta di polvere e sangue, prima che potessimo scappare. Li presero e li uccisero davanti a noi, Cel tentò di nascondermi sotto una trave, ma anche il suo coraggio quella notte si piegò e il suo volto fu macchiato dall'agonia, vedendo gli stessi amici di nostro padre ucciderlo senza pietà.

Quella notte ci fu uno dei più grandi massacri della nostra storia, tantissimi Elfi morirono sotto le armi degli umani e i due re chiusero per sempre la brughiera, rendendo l'ingresso inaccessibile per ogni creatura senza magia. Ogni minaccia sarebbe stata spinta altrove e, quando albeggiò, dovemmo contare i morti e fare i conti con il presente: gli umani erano i nemici e non saremmo mai potuti coesistere pacificamente.

Mia madre aveva portato un nemico tra noi e il suo segreto morì con loro, seppellito con il legno e i mattoni della capanna che aveva ospitato la mia famiglia per anni. Giaceva a terra, bruciato, mentre i loro corpi piano piano concimavano la terra nel lungo ciclo di vita e rimasi io.

I miei genitori morirono quella notte e mia sorella fu una delle tante vittime. Quello che nessun umano osò immaginare, neanche i re che con tanto ardore difesero i perimetri delle valli incantate, fu che chiusero un mostro in essa: a volte le creature non sanno accettare la propria morte e, specie per quelle che sono state strappate con violenza e rancore alla vita, cercano appiglio al primo essere vivente che trovano. Mia sorella non lasciò affatto quel mondo, non voleva morire senza la certezza di trovarmi un rifugio, un posto dove fossi al sicuro. Doveva mantenere la sua promessa. Il suo amore si mescolò alla disperazione, alla delusione e la sua maledizione attecchì al mio destino.

Fu il giorno in cui mia sorella Celestia divenne un mostro, lo stesso in cui imparai che una mezz'Elfa non sarebbe mai stata vista come un vero Elfo, bensì come un nemico.  

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