XIX

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Alla porta c'erano due cavalieri armati che, appena lo videro, si spostarono e lo salutarono allegramente. Erano gli stessi che avevo visto sbarrare la strada la notte della luna nuova, quelli che facevano entrare deboli fate solo per il gusto di vederle sbranate. Alzarono le mani e mossero le dita con falsi sorrisi pieni di scherno appena passammo e fecero il verso del giuramento dei cavalieri della Luce.

Lasciammo i cavalli e proseguimmo a piedi, scortati da Ahdeniel. Corte era proprio come me la ricordavo, piena di sfarzi, pericolosa e buia. I cristalli appesi al soffitto tintinnavano ad ogni alito di vento e i muri erano freddi. Ci condusse verso l'ala reale e ci indicò la porta, accompagnandoci da un altro Elfo e se ne andò. Aveva indosso dei vestiari del regno opposto e la sua immagine poteva compromettersi, presentarsi davanti al re era una responsabilità molto grande e, specie in quell'epoca, ogni dettaglio doveva essere curato.

Il re Nergal era seduto sul suo trono di spine, indossava un'armatura di cuoio nera con dei ricami argentati che simboleggiavano un lungo drago spinato. I capelli gli scendevano sulle orecchie, mossi, quasi bagnati, gli occhi verdissimi e gelidi. Tamburellava le dita impaziente e, dopo averci permesso di accomodarci, notò l'assenza del suo primo cavaliere.

La sala sembrava molto più spaziosa e silenziosa una volta sgombra da Elfi ubriachi, musicisti e fatine morte. I muri erano tinti di una sfumatura vinacea che non avevo notato.

Nergal si sfiorò la corona di spine ed edera, pungendosi un dito. «Delicata» fu la prima parola che usò per descrivermi, osservando a lungo la mantella verde che mi fungeva da vestito.

La sala era piena di uomini e donne e tutti lo guardavano per ammirare la sua aulica bellezza. Sotto il bagliore pallido della luna, i suoi capelli rilucevano bluastri. Mi sorrise e io rabbrividii.

I cavalieri della Luce fecero un inchino e li seguii, non riuscendo a staccare gli occhi da quelli di Nergal. La sua magia era talmente potente da farmi sudare le dita, la percepivo come una scossa elettrica.

All'improvviso un Elfo oscuro si mise davanti a me, mostrandomi i denti. «La bambina del ballo» ringhiò. «Ti riconosco. Difficile dimenticare questi.» Mi indicò i capelli ricci.

Scossi la testa. «Non ho idea di chi tu sia» semplificai e la mia mente lo ricondusse subito all'uomo mascherato che avevo imbrogliato con una moneta d'oro, lo stesso che aveva torturato senza pietà. «Io qui è la prima volta che vengo!»

«Bugiarda. Sai cosa facciamo alle bambine bugiarde qui?»

Aurelion inclinò il capo, attento. «Cosa?» L'Elfo non reagì. «Ottimo. È la benvenuta qui, tanto come lo sono io o i miei stessi cavalieri. Non gioveremo di molte simpatie, tuttavia credo che te ne farai una ragione. Se il tuo re non vorrà la mia sposa ce ne andremo.»

L'Elfo girò lo sguardo da Aurelion al suo re, poi di nuovo su Aurelion, non riuscendo a trattenere un'occhiata colma di gelosia. Nergal fece un cenno veloce con la mano e lo interpretai come un veloce ordine di togliersi di torno, tant'è che l'uomo scappò via.

«Benché in circostanze poco opportune, Nico può restare» decretò lui. «E se ha fame può mangiare qualsiasi dolce e frutta che desideri. Sfortunatamente il mio regno è povero di cibi gradevoli, potrei offrirvi dell'idromele per scaldarvi.»

Nergal spostò lo sguardo oltre le nostre teste, fissando un punto specifico nell'oscurità e vi lessi un ardente desiderio. L'arazzo dietro di lui era stato coperto e ripensai a quei due minuscoli bambini allevati senza amore, come cani fedeli, che anche se bastonati dal padrone ancora speravano in una sua carezza.

«La mia ospite desidera qualcosa?» continuò.

«Tua?» Aurelion era sbrigativo. «Affermazione audace.»

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