XXIII

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Sognai di perdermi nella brughiera, in mezzo a fitti alberi alti fino al cielo e cespugli di rovi. Non era il bosco che ricordavo, quello era insidioso, freddo e ovunque mi voltassi c'erano alberi immensi. I miei genitori e Celestia mi chiamavano e, ogni qualvolta pensavo di avvicinarmi a loro, l'eco risuonava distante dalla parte opposta senza darmi tregua.

Mi svegliai all'improvviso perché qualcuno bussava con forza alla porta della camera e muoveva con insistenza la maniglia. Pensai di urlare di lasciarmi dormire ancora un po', tuttavia ero troppo stanca solo per immaginare di trovare la forza di gridare a quell'ora del mattino. Oltre le candide tende bianche c'era un sole che stava appena sorgendo, il cielo arancione e l'aria si stava scaldando.

Lasciai che battessero alla porta altre tre volte prima di udire: «Nico! So che sei lì dentro, apri subito!» e la sua voce non mi fece presumere nulla di buono.

Mi tolsi la coperta di dosso e il braccio di Aurelion cadde sul materasso. Dormiva profondamente, il volto rilassato e le leggere ferite sul volto ancora rosse. Il suo fiato era caldo, il sonno beato.

Ero stanca morta anche io, mi sentivo come se avessi trasportato un bue per tutta la vallata, avanti ed indietro, e avevo le gambe a pezzi. Per non parlare della schiena, ogni posizione a cavallo era una tortura per me. Gli tolsi i capelli dalla tempia bianca, scoprendogli le orecchie affilate.

I colpi alla porta mi svegliarono. «Nico! O la apri o giuro che la sfondo, so che sei sveglia, ragazzina!»

Mi alzai incespicando, inciampai sulle gambe di Aurelion e caddi dal letto di faccia. Si drizzò a sedere, il torso nudo e gli occhi aperti a metà. Se li strofinò e si guardò intorno con aria confusa.

«Nasconditi!» gli intimai, afferrando la maniglia.

La cosa migliore che fece fu afferrare la coperta e tirarsela fin sopra la testa, creando un bozzolo sul materasso. Ero troppo divertita e spaventata allo stesso tempo per dirgli che fosse un nascondiglio pessimo.

Aprii la porta, sfoggiando un sorriso splendido a mia zia. Calex era dietro di lei, visibilmente assonnato. Aveva i vestiti da lavoro, una canotta lurida, rattoppata e il camice rinforzato.

«Buongiorno!» esclamai. Feci per socchiudere la porta e zia adocchiò la matassa sul letto, grossa, e mi guardò con fare sospetto. «È Aurelion. Sta dormendo! Non guardarmi in quel modo, eravamo esausti.»

La sua espressione mutò nell'arco di pochissimi secondi e passò da adirata a inorridita. O almeno così io la tradussi, fece una smorfia ricolma di terrore e il suo volto si tinse di rosso. Fu grazie alla bocca di Calex, una "O" perfetta, che riconobbi che non fosse rabbia bensì imbarazzo.

«Ha portato un uomo a casa e io non posso portare le mie ragazze, è ingiusto» borbottò Calex e dal letto si sentì un soffio di risata che in quel contesto zia lo prese con un tenue russare. «Voglio vedere il re, dai, spostati.»

Alzai un piede per difesa. «Dorme! Molla la presa sulla porta, o te la tiro in faccia.»

«Nico, ci sono dei vestiti sporchi di sangue in cucina. Cosa è successo? Siete feriti?» mi domandò apprensiva zia, sfiorandomi le nocche sbucciate. «Perché sei venuta qui senza avvisare? Sei in pericolo? Ti hanno fatto del male?»

Soffiai scocciata. «È tutto... okay! Per favore, lasciaci riposare solo un altro po'. Ieri sera ci siamo stancati e abbiamo dormito qui per emergenza. Ti racconterò tutto, ma... dopo.» Mi vennero in mente gli occhi di mio padre. "Sii educata, sempre. Questa è la differenza tra una persona e un mostro". «Per favore.»

Zia non se la bevve affatto. Avrei dovuto raccontarle ogni cosa più tardi e anche Aurelion lo sapeva. Se si fosse sparsa la voce che il re era in questa casa ci saremmo ritrovati circondati da donne curiose e bambini euforici. Mi venne un momento di panico nel ricordarmi Ahdeniel, della sua mano, e mi preoccupai se avesse superato la notte, così come gli altri cavalieri di scorta. Pregavo fosse così e lo sapevo. Erano forti.

The king's birdDove le storie prendono vita. Scoprilo ora