XXVI

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Rines urlò e mi venne addosso con tutte le sue forza. Caricò ogni singolo grammo di forza e combattemmo a colpi di spade, sfruttai gli impatti dei proiettili per farlo arretrare e piegargli l'armatura in punti specifici, come l'incavo del gomito e la coscia, impedendogli certi movimenti. Mi rimanevano solo quattro cartucce e non avevo altre munizioni.

Rammentai l'addestramento di mio padre con i tronchetti di legno e gli scherzi di Celestia, di quanto amasse prendermi alla sprovvista alle spalle e darmi quei colpetti fastidiosi al fondoschiena. Il mondo si ridusse a quei suoni, al fatto che dovessi pensare a come e quanto alzare la spada, di tendere il braccio e di non respirare mentre prendevo la mira con la pistola. Era tutto automatico, veloce, in una memoria lontana.

Rines si spostò indietro, alzò le gemme sopra la sua testa e Cel scattò attenta. «Inizia! Dilania ogni cosa, Demone, in mio nome!»

Celestia saltò gli alberi e corse furiosa verso i Dominatori, i quali afferrarono le proprie armi e aspettarono. Mi ferii la spalla con la spada e l'odore del mio sangue la fece piombare a terra, frenando con ogni fibra del suo corpo. I suoi istinti vennero a mescolarsi, ricordò me, l'odore del mio sangue, il dolore legato ad esso e il desiderio del cibo.

«Attacca gli umani, Demone senza cervello!» la insultò Rines.

«Per fermarla dovrai uccidermi» strillai. «Hai fame, Cel? Nutriti!»

Lei sentì ogni cosa: la tristezza nel vederla distante da me, morta, la gioia di aver trovato un amore sincero e puro, la rabbia che provavo verso il piano di Nergal e Rines, il terrore di vederlo realizzato, il disgusto verso me stessa, verso ciò che ero, e la comprensione.

Le divorò affamata, si nutrì del mio cuore, di quello che emanavo, dell'odore potente di magia, sangue e morte. Le assorbì, chiamandole e sé e Cel mutò ancora. Fu rapido e improvviso, proprio come aveva già fatto nella corte delle Ombre.

Crebbe di qualche metro, svettando come una torre dall'alto. La testa si allungò, ovale e sporgente, l'unico occhio venne ricoperto da un nuovo strato di corazza nera, simile a squame brillanti. La lingua uscì fuori dalla bocca, lunga, rosea e viscida. Gli arti a prima occhiata erano esili, quasi ossuti, e nascondevano una forza mostruosa, le dita pensili e artigli affilati quanto i denti da carnivoro. Dalla schiena si riusciva a vedere il suo esoscheletro azzurrognolo, molto simile a quello umano, con la coda dentellata di aghi e piccole sporgenze.

Si alzò in piedi e ruggì. Dalla schiena emersero delle lunghe ali da pipistrello, avvolte in una membrana simile a placenta. Degli schizzi di quella melma viscosa caddero sull'erba e sulla faccia di Rines, il quale sibilò disgustato. Il battito di quelle lunghe sporgenze fece alzare un turbine d'aria che ci spazzò a terra.

«Schifosissima...» iniziò a dire lui.

«Cosa?» lo tentai.

«Mostro!»

Cel venne dietro di me, provando a colpire Rines con la coda. Dovetti schivarla anche io ed intrufolarmi sotto le sue braccia per non finire spappolata, il nostro avversario se la cavava meglio di quanto potessi aspettarmi. Saltava con agilità i colpi di Cel e sfruttava il suo corpo per intralciare i suoi stessi movimenti, prendendomi alla sprovvista. Ci lanciammo vari colpi e ci ferimmo a vicenda senza mai barcollare.

Cel alzò un braccio e saltai prima che colpisse il terreno, cosa che Rines non fece, distratto dall'ultimo proiettile in canna. Ci fu una crepa nella terra e ci cascò dentro. Gli tirai un pugno sotto il mento, desiderando di avere ancora un guanto di metallo in modo tale da fargli saltare qualche dente.

Rines volò indietro e si sorresse con la spada, sputando a terra del sangue. Senza esitare, mi gettai su di lui per spedirlo una volta per tutte a terra.

The king's birdDove le storie prendono vita. Scoprilo ora