1, La casa delle streghe

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Venerdì 9 settembre 2022, ore 2:11, casa di Louis e Zayn, Putney Heath, Londra.

Louis udì un tonfo che lo indusse a svegliarsi.

Scattò sul materasso e stropicciò le palpebre con i dorsi delle mani, ingegnandosi a penetrare il tenue buio della camera per mezzo degli occhi torbidi di sonno.

«Zayn?» sondò con voce afona e gracchiante. In quell'istante il letto parve farsi più pesante.

«Non volevo disturbarti, piccolo» bisbigliò la voce bassa e trascinata dell'altro. Percepì le sue labbra poggiarsi sulle proprie, l'odore del suo sudore spargersi tra le mura, insieme all'effluvio della colonia costosa scelta per l'occasione.

«Che ore sono?»

«Torna a dormire» esortò il ragazzo, baciandogli la fronte. Cadde con calma a lambire uno zigomo, il collo e la clavicola, intanto che le dita umide viaggiavano sulla coscia nuda di Louis e la perlustravano fino al ginocchio. Il suo respiro era un susseguirsi di affanni e di deglutizioni. Questo dettaglio consentì a Louis di comprendere quanto alcol avesse ingerito.

«Che ore sono?» insistette, sorreggendosi con i gomiti per sollevare parte del busto.

«Sono le due passate» cedette Zayn, pettinandogli indietro i capelli arruffati.

«E' tardi» sottolineò, avendo premura di non palesare alcuna intonazione. Ma se avesse optato per il contrario, quell'intonazione sarebbe stata di fastidio.

Aveva trascorso l'intera giornata dentro quelle pareti, che erano enormi, ma che a lui sembravano piccole, così minuscole da schiacciarlo. Zayn aveva acquistato la villa un mese addietro, ma vi si erano trasferiti – partendo da Doncaster – da meno di una settimana. Si trattava di una maestosa dimora dallo stampo vittoriano, contrassegnata da aguzzi tetti corvini e da bianche scanalature di legno intagliate sullo strato epidermico della struttura.

Louis occupava le giornate leggendo libri sugli scalini del portico, montando e discendendo la gradinata che conduceva al piano superiore, girovagando per le stanze ancora da arredare, assegnando mentalmente uno scopo immaginario a ciascuna di loro. Assisteva le domestiche nelle pulizie, chiacchierava con loro, apprendeva la storia delle loro famiglie e ammirava sorridente le fotografie dei loro bambini. Loro le portavano sempre con sé, le custodivano nelle tasche dei grembiuli come fossero diamanti, per tirarle fuori in qualsiasi momento e affibbiare sguardi dolci e promesse alla pellicola lucida dentro la quale erano preservate.

Invidiava la necessità di sognare da loro ostentata, giacché sentiva di esserne povero, dentro di sé.

Aveva a disposizione tutto ciò che avrebbe potuto desiderare, e persino ciò che non bramava era già lì, pronto per sottomettersi al suo servizio. Aveva un fidanzato perfetto, un matrimonio già organizzato da celebrare in primavera, una villa gigantesca in cui scorrazzare, un futuro prestigioso da pianificare, oppure no. Non era indispensabile che trovasse un impiego, come Zayn gli rammentava sempre. Possedevano denaro a sufficienza, al punto da accaparrarsi l'abitazione grazie a un'unica rata, e senza battere ciglio.

Era tutto magnifico, all'apparenza. Però lui si annoiava. Si annoiava da morire.

"Rilassatevi" cantilenava Magda – una delle governanti – quando lo trovava a saltellare sul parquet, dominato dall'ansia di non avere fretta. Non doveva fare nulla. Non doveva correre da nessuna parte, non aveva qualcuno ad attenderlo o con cui fare una passeggiata, o con cui litigare.

Aveva una voglia incandescente di litigare e di piangere e di gridare e di bere almeno quattro birre, perché una tragedia come quella sarebbe stata più intrigante del mortorio che viveva dentro e fuori di sé.

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