7, Non è amore

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Giovedì 15 settembre 2022, ore 20:03, casa di Louis e Zayn, Putney Heath, Londra.

«Lou?»

Inghiottì un respiro. Separò con lentezza le palpebre appiccicate dal sonno, stropicciandole con i dorsi per accelerare il processo.

Una mano lo scuoteva con fare vigoroso e ostinato. Intravide una sagoma, scorgendo dei lunghi capelli castani, ondulati, e un volto dai contorni triangolari.

Il cuore batté più forte. Nella confusione del risveglio fu abbagliato da un'illusione: era convinto si trattasse di Harry, benché non riconoscesse il suo odore, e neppure la sua voce cavernosa e un po' roca.

Al disintasarsi totale della vista, la delusione, amalgamata a un grande sollievo, gli precipitò addosso come gemme di grandine.

Era Eleanor.

«Lou, sono qui» annunciò dolcemente l'amica, accarezzandolo attraverso la stoffa dei vestiti. Non si era ancora cambiato. Indossava gli stessi abiti scelti quella mattina, i medesimi abiti con i quali lo aveva visto anche Harry, quelli che aveva avuto addosso quando avevano fatto l'amore.

Era così doloroso realizzarlo e ripeterlo, ma non poteva evitarlo. Avevano fatto l'amore, ed era stato sublime. Avevano fatto l'amore perché riguardava Harry, la sua Giulietta, il suo sentimento negato, uno slabbro sulla pelle che non poteva cicatrizzarsi.

Avevano fatto l'amore perché era quello che sentiva di provare: amore. Ma nessuno meritava di saperlo. Le persone lo avrebbero persuaso a credere il contrario, di non poter innamorarsi tanto presto di qualcuno. Avrebbero sminuito un'emozione tersa, incorrotta, attribuendole difetti e lacune. E lui non era dell'umore per intavolare una discussione su quanto profondamente si sbagliassero.

«Come ti senti?» sondò la ragazza, accoccolandosi su un fianco.

«Sono a pezzi» piagnucolò, tirando su col naso. «E mi sento uno stronzo per averti costretto a raggiungermi...»

«Non mi hai mica costretto» dissentì l'altra. Spostò una ciocca dietro l'orecchio, e il bracciale ornato di campanelli che portava al polso divulgò un tenace tintinnio.

Louis lanciò un'occhiata in direzione della sua valigia e sospirò. «Per quanto ti tratterrai?»

«Qualche giorno» rispose, stringendosi nelle spalle. «Non me ne andrò fino a che non starai meglio».

«E il lavoro?»

«Fanculo il lavoro» disse la ragazza, facendo schioccare la lingua contro il palato. «Una pausa servirà anche a me. Allora, mi aggiorni o no? Zayn era in giardino a fumare un sigaro, e mi ha detto...» anticipò, modificando l'inflessione di voce per imitare quella dell'uomo: «Risolvete la questione senza creare drammi, non m'importa delle vostre bravate» citò, aggrottando una smorfia di antipatia. «Ma che diavolo vuol dire? Avete litigato?»

«In realtà no!» si agitò Louis, malgrado l'irritazione in gola che leniva la sua rabbia. «Non abbiamo litigato, eppure avrei voluto farlo!»

Eleanor appianò le labbra e lo scrutò con le iridi farcite di miele, come lei, curiose e perplesse. «C'è decisamente qualcosa di strano» ragionò, probabilmente con sé stessa. «Ti annoi così tanto da ambire a un litigio?»

«Non è questo, no» replicò, affondando nelle coperte. Sentiva freddo, e i brividi non accennavano a placarsi. L'effetto dei medicinali doveva essere ormai scaduto.

L'amica, accorgendosene, tastò la sua fronte e si girò a recuperare il termometro, infilandolo con delicatezza sotto l'ascella. Intanto che aspettavano il responso, chiese: «Di cosa si tratta allora?»

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