12, Come Romeo e Giulietta

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Martedì 21 novembre 2023, ore 14:19, Paolo's Kitchen Italian Restaurant, Londra.

Louis pressò le orecchie con i palmi e spremette gli occhi.

Teddy distava un metro da lui. Era in piedi dietro a un enorme tavolo addobbato di candele spente, palloncini sfavillanti e calici di vetro gremiti di confetti. Sorrideva all'obiettivo della fotocamera, aggiustava la corona d'alloro che scivolava sulle ondulazioni rossicce dei capelli e gettava occhiate fameliche sulla torta incorniciata da spumose meringhe di panna, coperta da uno spesso lenzuolo di pasta di zucchero su di cui figurava il graffito realistico di una chitarra elettrica.

I parenti e gli amici facevano baccano soffiando nelle linguette sonore e innescando lo scoppio di molteplici coni di cartone dai quali fioccavano lustrini colorati.

Dal soffitto pendevano ghirlande di carta velina policromatica e uno svolazzante manifesto che recitava: "Congratulazioni Teddy!"

Vignette di tocchi e di toghe erano disseminate in ogni centimetro del locale.

Si trattava di un'occasione speciale, irripetibile, e Louis era davvero contento per il suo amico, ma l'inquinamento acustico stava sfiorando decibel esorbitanti e lui necessitava di una breve pausa.

«Torno subito» segnalò a Harry, imprimendo un bacio fuggevole sulle sue labbra.

«Dove stai andando?» inquisì l'altro.

«A prendere una boccata d'aria» si giustificò, arretrando verso l'uscita.

«Non chiamare a casa» minacciò il ragazzo, puntandogli un dito contro.

«Non voglio chiamare a casa! Voglio solo fumare una sigaretta».

«Louis!» biasimò, sbuffando e scuotendo la testa. «Sta bene».

«Lo so che sta bene» replicò, assoldando un atteggiamento di superiorità. «Fumerò una sigaretta e nient'altro».

«Sì, certo. Va bene» finse di abboccare Harry.

Louis arricciò un sorrisetto e spinse la porta, superandone la soglia. Il cielo era grigio come una perla, il sole era una lanterna opaca insabbiata da una pelliccia arruffata di nuvole.

Si sistemò in una zona appartata, appoggiandosi alla parete di mattoncini sudici di umidità. Affondò le scarpe nella neve cricchiante e per scaldarsi frizionò la trama leggera della camicia squarciata sotto le clavicole. Avrebbe dovuto filare a recuperare il cappotto, ma non ne aveva alcuna intenzione, ed era certo di non impiegare troppo tempo all'esterno dell'edificio.

Sfilò una sigaretta dal pacchetto di Marlboro e la osservò come se potesse incendiarsi da sola. La incastrò nell'incavo che connetteva l'orecchio e la testa.

Sospirò, afferrando il telefono dalla tasca dei pantaloni attillati, e pigiò il contatto di casa. Harry non lo avrebbe mai scoperto.

Il fatto era che il ragazzo non riusciva a immedesimarsi nella sua apprensione, e questo lo faceva imbestialire. Era la prima volta che Clifford veniva lasciato da solo, da quando lui, Harry e Niall avevano traslocato nel nuovo appartamento, al civico 233 di Upper Richmond Road. Il giardino della villetta era piccolissimo, ma sufficiente perché il cane vi si accucciasse nelle giornate più calde e sbranasse le petunie piantate da Harry nei vasetti di terracotta.

Una delle cose che Louis preferiva era restare dietro alla portafinestra a contemplarli mentre litigavano, uno sbraitando nel linguaggio umano, l'altro adoperando quello canino. Erano buffi e guadagnavano le risate e l'affetto di tutto il vicinato.

La cosa che più detestava, invece, era tormentarsi su cosa provasse l'animale in sua assenza. Sapeva avesse maturato un'attaccatura patologica nei suoi confronti, e ogni volta in cui doveva lasciarlo si attribuiva colpe che Harry giudicava spropositate e diseducative.

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