6 - Il cielo stellato

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La Terra è abitata da 7,9 miliardi di persone, inutile dire che è talmente vasta da non preoccuparsi di ognuno di essi, come sostiene Leopardi, la storia va avanti, la natura lo segue, e l'uomo fragile viene abbattuto, scaraventato contro sé stesso, fino a scomparire, perché infimo rispetto a quel che lo contorna. Quindi il suo dolore si assimila a quello degli altri sette virgola ottocento ottantanove miliardi e festa finita, il mondo continua a girare e quella sofferenza divora il corpo del suo ospite.

Forse Leonardo non aveva il diritto di essere triste, così credeva lui, poiché non gli mancava niente nella vita, da diciassette anni a quella parte, eppure erano due giorni che non dormiva tranquillo, si rigirava sotto le coperte in un tempo che appariva infinito, fino ad accorgersi che s'era fatta l'ora di alzarsi, constatando di aver passato l'ennesima notte in bianco. E mica lo diceva a Simone, ovviamente, che lui aveva già troppi pensieri per la testa e, il colpevole, era sicuramente lui che, impedendo all'altro papà di scendere a Roma, ne aveva obbligato uno a tornare nel luogo dal quale era scappato.

L'aveva chiamato per dirgli che gli dispiaceva, immensamente, che non avrebbe dovuto sacrificarsi per lui, ricevendo in risposta, con tutto l'amore possibile, un semplice «tu non hai colpe Dado, ok? Sono faccende tra me e papà, tu stai tranquillo e ci vediamo domani quando torno.» il che gli aveva fatto smorzare un sorriso, riempire il cuore di un momentanea felicità che, apparentemente, si era resa capace di cancellare tutto il resto, fino all'ultimo sentimento negativo che si era fatto padrone della sua testa. «Dai un abbraccio allo zio da parte mia ma non dirgli che te l'ho detto.» così aveva concluso, per mandargli poi un'infinità di baci - quasi non ci fossero 273 chilometri di distanza tra loro, troppi da percorrere fisicamente, nulli se corsi con tutto l'amore che li legava.

«Tieni.» una voce familiare arriva alle sue spalle e, gentilmente, gli offre un bicchierino di plastica marrone, contenente del caffè fumante. «Mattia m'ha detto che non sei venuto al compito di filosofia perché non stai bene .. vuoi -cioè, ti va di parlarne?» tuttavia Francesca non prende posto accanto a lui, rimane in piedi, scendendo qualche scalino, fino a trovarselo davanti, più in basso rispetto alla propria prospettiva poiché seduto.

«Grazie del pensiero,» afferra l'oggetto e «però non ce n'era bisogno, davvero. Non è niente di che, - si passa una mano tra la folta chioma rossiccia. - riguardo a filosofia .. boh, me farò interroga'.» fa spallucce, gesto che oramai usa come accessorio in qualsiasi situazione.

«Sicuro?»

«Un problema stupido, - quasi sbuffa. - ecco cos'ho, quindi non preoccuparti appresso a me. Davvero.» e forse è un po' infastidito da quelle attenzioni marcate verso di sé, poiché in casa era sempre stato lasciato in pace quando la situazione si avvicinava all'off limits, facendogli il cuore troppo peso per reggere un qualsiasi confronto.

«Ok, come vuoi tu.» si stringe nelle spalle. «Un'ultima cosa, - azzarda. - tu conosci Pavese?»

«Sì. Perché?»

«Diceva una cosa bella lui. Forse fa al caso tuo ..»

«Tutti diciamo tante cose, se è per questo.» forse è l'unica cosa che sa dire, perché tante attenzioni da qualcuno esterno al nucleo familiare, lui non le aveva mai avuto. Era colpito ...?

«Che centomila abbiano avuto delusioni, diminuisce forse il dolore di chi viene deluso?» chiede retoricamente e «puoi pensarci o fartela uscire da entrambe le orecchie, - prende un sorso del proprio caffè. - vado, anche perché, credo ci sia qualcun altro che voglia parlar con te.» tira un sorriso e se ne va, scomparendo nella folla di studenti che stavano sfruttando gli ultimi momenti d'intervallo per fare merenda e scambiare due chiacchiere.

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