8 - Jankélévitch

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Sette giorni erano la scadenza massima che, Manuel e Simone, si erano dati per riallacciare un'ultima volta quei fili strappati fino all'origine, adesso per colpa delle loro teste dure.

E, quella domenica mattina, era la terzultima occasione che gli era rimasta: Simone, dal canto suo, non ne aveva alcuna forza, quindi, inerme, si riposava sul divano, davanti agli occhi una noiosa competizione di cucina e, due stanze più in fondo, un figlio indaffarato a smanettare su qualcosa da quaranta minuti buoni.

«Papo, andiamo.» ha uno zaino in spalla, gli occhiali da sole a tenere su il ricciolo e un pimpante sorriso sul volto. «Spegni quella TV che, tanto, nemmeno ti piace Masterchef.» lo sprona.

«Andiamo, dove?» che a lui le cose organizzate così, su su piedi, non gli sono mai piaciute ma, sotto la proposta del figlio, un po' tentenna e, in fretta e furia, si alza dal sofà.

«Al mare, ti va?»

«Al mare, - sorride. - bello ma -c'è una motivazione precisa?» si gratta il capo e scompare dietro la porta della propria stanza, infila le scarpe e poi raccatta cellulare, portafogli e una felpa.

«Sì: ti devi leva' quella faccia da morto che c'hai appresso da quattro giorni.» snocciola la verità che, tanto, i segreti a suo papà non li sa tenere.

Se un tuffo al cuore, solitamente, è qualcosa di cui preoccuparsi perché ti porta chissà quale problema al muscolo cardiaco, questa volta, senza ombra di dubbio, aveva un riscontro positivo, almeno a vedere l'enorme sorriso che, dopo giorni, torna ad alloggiare il volto del corvino.

Quindi scendono le scale, canticchiando una canzone passata spesso alla radio e, con sorpresa negli occhi del padre, Leonardo accende il proprio motorino. «Oggi guido io, papo,» gli regala un generoso sorriso e, preso il casco per il passeggero, glielo porge «metti giù la visiera però, non fa' come lo zio.» ride nel vedere l'espressione del padre a sapere quell'informazione sul gemello - erano talmente tanto agli antipodi da essere un comico duo, Simone e Jacopo.

La distanza che separa casa Balestra dal punto balneare più prossimo a quest'ultima, non è poi così prolungata; Simone sta abbracciato al figlio, ancora colmo di meraviglia per quel piccolo grande gesto che ha pensato di mettere in atto, solo per farlo stare meglio – o almeno provarci.

Forse sbaglia, anzi, quasi sicuramente, lo fa, tuttavia i suoi pensieri si affollano a quando, in motorino, lui c'andava con Manuel, che fosse per spostarsi per la città o raggiungere la scuola, lo sfascio, casa propria.

Un ricordo talmente nitido che, a tratti, ha paura di alzare il capo e sbattere contro una chioma riccia e scura, invece che con il rossastro dei capelli di Leonardo, ma non accade – Simone poggia la testa sulla spalla del figlio e, senza mai distrarsi, guarda avanti, come se quei chilometri mangiati dalla vespa rossa, avessero la risposta a tutti i suoi problemi.

«Arrivati, - esclama il minore, non appena parcheggia – me lo prendi tu lo zaino, papà?» e, nonostante la richiesta, sa che dall'altra parte non potrà che ricevere un consenso, annesso ad un sorriso.

La spiaggia è deserta – antitesi perfetta della sua testa – tant'è che, padre e figlio, possono prendere posto proprio al centro di essa, non curandosi di disturbare terzi.

«Oggi l'hai chiamato a papà?»

«No, non mi va.» fa spallucce «Ora, però, non voglio parlare di lui –per favore, altrimenti saremmo potuti rimanere a casa.» gli fa notare «Per te è ok?» in ogni caso, necessita la conferma.

«Per me è ok.» asserisce e, sfilate le scarpe, si lascia cadere sull'enorme asciugamano verde e bianco.

«Ho fatto delle ricerche.» lo sguardo di qualcuno che sa di essersi spinto oltre, si dipinge sul volto di Leonardo «Tu non mi volevi dire niente e –e il nonno m'ha fatto intuire qualcosa, poi, a casa, ti ho anche chiesto di chi fosse quella giacchetta e non mi hai detto poco e nulla ... ho sentito una nomea su –sul prof .. di filosofia e tutto tornava, papo.» adesso si sente quasi male, tornasse indietro forse non lo farebbe, ma tant'è quindi, giusto per essere onesto fino in fondo, snocciola anche la cosa che, in assoluto, non avrebbe dovuto fare «ho chiesto a Francesca se mi faceva vedere le foto dei suoi genitori al liceo, so che venivano in classe con te, ma tu non mi hai mai fatto vedere –era perché avevi paura potessimo tornare a Roma e accadesse questo, vero? Comunque scusa, scusa, non avrei dovuto, lo so: però, vederti stare male, per una questione indefinita, mi faceva impazzire.» deglutisce «Non l'ho detto a nessuno, se vuoi me lo scordo pure.» tace.

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