Capitolo uno - parte 2

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«Tra duecento metri, svoltare a destra.» La voce femminile del navigatore mi guida lungo le vie della città, in una zona che non frequento dalle scuole superiori. Si tratta di un quartiere comodamente posizionato a metà tra il centro e la periferia, fornendo un prezioso compromesso tra la comodità della città e il silenzio delle zone residenziali. Un appartamento, qui, costa più di quello che una traduttrice guadagni in una vita, o quasi.

Il cellulare mi annuncia con una notifica la presenza di una nuova e-mail. Lancio un'occhiata all'orologio dell'auto: è stata puntualissima. Da ieri sera, allo scoccare di ogni nuova ora, ho ricevuto un'e-mail vuota dallo stesso indirizzo inventato che ha spedito la prima. Se è uno scherzo, non so cosa ci sia di divertente. Immagino che ognuno abbia il proprio senso dell'umorismo. Accosto un momento e mi decido a bloccare il mittente dalle impostazioni della mia posta elettronica, poi mi rimetto in marcia. Non posso lasciare che uno stupido gioco si intrometta nella mia prima lezione privata.

«Sei arrivato a destinazione.»

Trovo posteggio pochi metri più in là dell'elegante edificio grigio verso il quale sono diretta. Si tratta di un palazzo che, a occhio e croce, conterà una decina di piani. I balconi che danno sulla strada sono ornati da fiori colorati e piante sempreverdi che ricadono a cascata sulla facciata.

Il portiere mi guarda interrogativo quando per venti secondi buoni tiro il portone nonostante il cartello dica di spingere e, dopo essermi corretta, riesco a entrare nell'atrio. «Mafalda Destefanis», gli dico. Sarei a disagio, se ieri la mia soglia di imbarazzo non fosse schizzata alle stelle ieri. Ancora arriccio le dita al pensiero dell'intrusione di Federico durante la mia doccia.

«Secondo piano», mi informa l'uomo prima di tornare a leggere qualcosa sul suo smartphone. Su un angolo dell'imponente scrivania sono riposti dei pacchi che attendono di essere ritirati dai condomini.

Una ragazza apre la porta non appena lascio l'ascensore, prima ancora che abbia occasione di suonare il campanello. «Ciao», mi saluta con un sorriso che le raggiunge gli occhi. È minuta ma ben fatta, con un caschetto biondo che le sfiora il mento e liquide iridi scure. «Tu devi essere Nausicaa! Presto, entra.»

«Mafalda?» domando mentre la seguo nell'appartamento. Il pavimento in parquet amplifica il suono dei miei passi.

«In persona.» La mia attesa ha avuto presto dei frutti. Poche ore dopo l'affissione degli annunci, Mafalda mi ha contattata per delle ripetizioni di inglese. «Quest'anno avrò gli esami di maturità», mi spiega, indicandomi una sedia in quella che credo sia la sua camera da letto. Una porta-finestra che conduce in uno piccolo terrazzo illumina la stanza anche senza bisogno di accendere la luce. «E faccio schifo. Davvero. Sono stata rimandata. Mio padre insegna fisica all'università e ha visto il tuo annuncio, così...» lascia che la frase si perda.

Ah-ah! Lo sapevo che mettere i volantini ovunque avrebbe ripagato.

«Nessun problema», rispondo, benevola, prendendo posto sulla sedia che mi ha indicato e lasciando la mia cartella col materiale di studio accanto alla scrivania. «Faremo un ripasso approfondito. Arriverai all'ultimo anno in pari con i tuoi compagni di classe.»

«Ci conto. Senza offesa, ma la materia non è la mia preferita. Sarà difficile farmi entrare le cose nella zucca.» Indica la sua testa con l'indice dall'unghia laccata di azzurro.

Mafalda mi ricorda un po' Sveva. Sarà l'irriverenza o l'istantanea familiarità che mi dimostra, ma mi sento subito a mio agio.

Wow. L'unica persona che mi risulta tollerabile nell'intera città ha diciassette anni. Sono caduta in basso, ma ne vale la pena: Mafalda mi pagherà venti euro l'ora. Sommando i nostri incontri, dovrei riuscire a guadagnare un centinaio di euro a settimana, da cui dovrò sottrarre il prezzo della benzina. Non è molto, ma almeno saranno frutti del mio lavoro e mi consentirà di non chiedere aiuto ai miei.

Prima che il tempo scorraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora