Capitolo due - parte 2

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Non è passata neanche un'ora e mi sono già pentita di aver accettato. 

«Ecco», sta dicendo Federico. Allunga il braccio sul foglio e corregge il bruttissimo carattere che ho disegnato. Così facendo, mi sfiora per l'ennesima volta il braccio. La pelle mi è diventata ipersensibile, tanto che sento il suo tocco espandersi su tutto l'arto. Giuro che la prossima volta prenderà fuoco.

E sto sudando. Eccome se sto sudando, nonostante il deodorante di cui mi sono cosparsa oggi. Sarà un piacere per il suo naso asiatico.

Cerco di copiare di nuovo il carattere, ma la grafia di Federico è molto più bella. Siamo soltanto alla lezione sull'alfabeto, la prima, e già mi sono dimostrata un fallimento.

«Faccio schifo», mi lamento. Tocco con gli indici i bordi del mio carattere. «Perché questa lettera prima si leggeva b e ora si legge p

«Perché ora si trova all'inizio della parola.»

Il mio sguardo sperduto deve essere eloquente, perché Federico ridacchia. I suoi occhi a mandorla si stringono in modo adorabile e due solchi gemelli si formano sulle guance.

Ho la gola arida. Prendo un sorso d'acqua mentre aspetto che la tachicardia si esaurisca. Penso di aver bisogno di una visita cardiologica, perché in questi giorni non sto tanto bene.

Afferro di nuovo la penna e provo a scrivere la parola su cui ci stiamo esercitando, "stella". «Devo formare un quadrato coi caratteri», ricordo a me stessa mentre l'inchiostro storpia la pagina bianca.

Con la coda dell'occhio, noto che Federico soffoca una risata.

«Non prenderti gioco di me», lo rimprovero, lasciando ricadere la penna e incrociando le braccia sul petto. «Sono vecchia. Non ho più la mente plastica di voi giovani.» Mi mordo il labbro, infastidita da me stessa. È almeno la terza volta, oggi, che sottolineo la nostra differenza d'età. Se non era già evidente dai miei scompensi ormonali, basterebbe questo a fargli capire che lo trovo attraente e che sto tracciando una linea.

«Quanti anni hai?» mi domanda per la prima volta, reclinandosi all'indietro sulla sedia. L'orlo della maglietta rossa si solleva fino a mostrare il primo quadratino degli addominali.

Per riportare lo sguardo sul suo viso è necessaria ogni briciola di forza di volontà che possiedo. «Ne avevo ventiquattro. Ma dopo lo spavento che mi hai fatto prendere quando ti ho trovato nel mio letto, sono invecchiata di colpo. Adesso dovrei averne circa trentacinque.»

Inarca le sopracciglia scure. Le pupille gli brillano di divertimento. «Pensi che per me sia stato meglio?» mi sfida. «Mi sono svegliato di soprassalto, con una sconosciuta che mi accarezzava la testa e mi chiamava "Capitan Uncino". Adesso siamo almeno coetanei.»

Sbuffo. «Non se ne parla. Io pensavo che fossi un ladro!»

«Mi stavi per colpire con il cestino dei rifiuti!»

Touché.

Sorrido in segno di scuse. «Non ti saresti fatto niente. Ho una pessima mira.» Come se niente fosse, gli allungo il mio foglio. «Ho scritto bene?»

I suoi polpastrelli sfiorano il dorso della mia mano mentre prende il pezzo di carta. «Benissimo.» Dà un'occhiata all'orologio a parete della mia camera. «C'è ancora tempo. Oggi hai lezione?»

Scuoto la testa. «No. Mafalda è con l'insegnante di matematica. È stata rimandata anche lì.» Mafy è una carissima ragazza, ma la scuola non fa per lei. I suoi genitori stanno spendendo una fortuna per farle superare l'anno. Il che va a mio vantaggio, ovviamente.

«Se sei libera, possiamo guardare una serie TV.» Al mio sguardo interrogativo, specifica: «Una serie TV coreana. Si chiamano k-drama. Ti aiuterebbe con la pronuncia. E nel frattempo potrei approfittarne per insegnarti un po' di vocabolario. È più semplice se impari una parola nel contesto in cui viene usata.»

Prima che il tempo scorraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora