Capitolo sei - parte 1

12 5 5
                                    

La mia macchina è posteggiata a poco più di cento metri dal locale, ma non posso guidare in queste condizioni. Le luci degli anabbaglianti delle auto si confondono nella mia testa che gira, costringendomi a socchiudere le palpebre mentre avanzo nel marciapiedi affollato con passo malfermo.

Ho bisogno di un luogo buio per riposare gli occhi e permettere all'ubriacatura di scemare. Forse dovrò addirittura chiamare qualcuno per farmi riportare a casa. Arriccio le labbra in una smorfia. Fantastico. Proprio quel che ci vuole per calmare le acque con mio padre.

Mi dirigo verso la spiaggia. Tolgo le zeppe, sfilandole con un gesto dai piedi anestetizzati dall'alcol, e le tengo per il cinturino dorato mentre la sabbia fresca mi accarezza la pelle in un massaggio naturale. Durante il giorno sarebbe impossibile goderselo senza ustionarsi i piedi, invece la notte è il momento perfetto.

Cammino e cammino, finalmente in pace e con un piacevole torpore che mi annebbia i sensi. Il rumore delle onde che si infrangono sulla battigia è un piacevole compagno per la mia passeggiata solitaria.

All'improvviso dei passi rapidi si accompagnano ai miei, più lenti. La calma viene spazzata via dalla mia mente in un baleno. Un segnale d'allarme risuona nella mi scatola cranica, intimandomi di fuggire.

Accelero il passo. La sabbia mi si infila tra le dita dei piedi e sotto le unghie, si appiccica ai miei polpacci e mi rende impacciata, insieme all'alcol che ancora ottenebra i miei sensi.

Anche i passi che mi seguono diventano più rapidi. Sono vicini, sempre più vicini, non importa che io abbia iniziato a correre. Sono più veloci di me e mi raggiungeranno presto.

È lui. Sa dove mi trovo, lo sa sempre. E io, come una perfetta idiota, mi sono cacciata in un luogo solitario e buio, senza nessuno che possa aiutarmi.

Una morsa d'acciaio mi afferra l'avambraccio, facendomi perdere l'equilibrio. Cado in avanti sulle ginocchia, ma non sento nessun dolore, soltanto il battito assordante del mio cuore. Forse, se morirò d'infarto, non dovrò sopportare quello che lo stalker ha in serbo per me. È un pensiero quasi rassicurante. Voglio morire adesso, voglio morire prima.

«Nana?» Una voce familiare mi riporta alla realtà. Piano piano il mondo ricompare: la sabbia che mi sporca i piedi, le ginocchia indolenzite per la caduta, la schiena umida di sudore gelido. «Sei davvero tu. Perché correvi?»

Adriano lascia il mio avambraccio e mi porge una mano per aiutarmi a rimettermi in piedi. La afferro con gratitudine, le dita scosse da un lieve tremore di cui non si accorge. Attraverso la mia vista annebbiata lo vedo inclinare il volto, le sopracciglia inarcate. Ha la guancia sporca di sabbia, i capelli chiari ancora umidi appiccicati al volto.

«Non ti avevo riconosciuto», spiego, il cuore che torna a un ritmo accettabile. Sono incredibilmente sollevata di vedere il mio fratellino, come non avrei mai pensato di poter essere. «Mi puoi riportare tu a casa? Sono ubriaca.»

«Lo vedo.» Mio fratello mi scruta con qualcosa che somiglia vagamente alla preoccupazione, passando per i piedi nudi e le scarpe appese alle dita, le guance rosse e gli occhi strizzati. «Cosa è successo? Perché camminavi da sola e al buio?»

Scuoto la testa e mi chino a massaggiarmi le ginocchia incrostate di sabbia bagnata dall'umidità notturna. «Lunga storia.» Non mi va di raccontare dell'incontro con Edoardo il maniaco dei complimenti, soprattutto non a mio fratello. Né voglio spiegargli che mi sono messa a correre perché uno stalker mi ha presa di mira e non riesco più a discernere la realtà dai mostri nella mia testa.

Adriano non insiste, ma neanche lascia la mia mano. «Vieni», mi dice, tirandomi con delicatezza, «raggiungiamo i miei amici. Siediti e riprenditi un poco, poi andiamo a casa. Se mamma e papà ti vedono così per te è finita. Già papà è sul piede di guerra.»

Ridacchio, ormai non più spaventata. Mio padre non sembra più così minaccioso, se confrontato con lo stalker che pensavo di avere alle calcagna. Vedere Adriano nei panni del fratello protettivo ha un che di comico, visto che in genere mi rivolge la parola solo per insultarmi.

Mio fratello mi porta verso un gruppo di ragazzi seduti a cerchio accanto alla parete di legno di una delle cabine gialle e azzurre che i bagnanti usano per riporre sedie a sdraio e ombrelloni. Mi fa segno di sedermi su uno degli asciugamani disposti sulla sabbia.

Mi lascio cadere con la grazia di un sacco di patate. «Ciao, gente», saluto. L'ubriachezza torna a farsi sentire, dopo lo scampato pericolo. Ci saranno cinque o sei persone, ma non soffermo il mio sguardo abbastanza a lungo da distinguerne i lineamenti. Però sento un miscuglio di voci, sia femminili che maschili. L'asciugamano è leggermente umido. Incrocio le gambe per mettermi comoda. Per qualche motivo non mi interessa più che qualcuno veda il mio polpaccio peloso.

«È mia sorella», spiega Adriano, afferrando una birra mezza sepolta dalla sabbia e portandosela alle labbra.

Gli occhi mi si illuminano. L'alcol mi fa stare bene. Mi fa avere meno paura. «Ne voglio una anche io.» Capto l'occhiata contrariata di mio fratello. «Per favore?»

Ora che so che qualcuno mi riporterà a casa senza conseguenze, cosa importa se bevo una birra? Una piccola, per giunta. Entrerò in casa in silenzio e nessuno si accorgerà di nulla.

«Nana...» inizia lui, ma uno dei suoi amici, una sagoma abbandonata sull'asciugamano di fronte al mio, mi porge celere una bottiglia piena.

Chino il volto in segno di ringraziamento e prendo un sorso di birra. Cavolo, devo fare pipì. Dove posso fare pipì?

Mentre mi guardo attorno, la persona seduta di fianco a me mi si avvicina. «Noona, tutto okay?»

Sussulto. Questa voce la conosco. È la stessa che mi tortura quando dormo e adesso anche quando sono sveglia. Sono così ubriaca da avere le allucinazioni?

«Eri da sola? Adriano ti ha riconosciuta, ma non pensavo che fossi davvero tu...» Il suo fiato mi accarezza il collo e una scarica di brividi mi scuote dalla testa fino ai piedi, compresa la gamba pelosa. «Hai freddo?»

Fa per togliersi la felpa e porgermela, ma io lo blocco con una mano. «Tu puoi abbracciarmi», dico, indicandolo con le palpebre socchiuse. «Non darmi la giacca. Abbracciami.»

«Cosa?» La sua voce stavolta vibra di divertimento. «Sei così ubriaca?»

«Non tanto», nego, ma un rutto mi smaschera prima che possa finire la frase. «Ops. Scusa. Devo fare pipì», ripeto, come se le due cose fossero in qualche modo correlate.

Mio fratello mi strappa la birra dalle mani. «Dammela, Nana, ti stai rendendo ridicola.»

Non faccio resistenza, ma gli rivolgo un'occhiata assassina. «Senti chi parla. Tu sei ridicolo quando piangi davanti alla PlayStation.»

«Sei proprio...»

«Okay», interviene Federico, soffocando una risata. «Accompagno tua sorella a casa. Tanto volevo tornare anche io, sono stanco.»

Adriano gli dà un cenno di approvazione. «Va bene, bro. Fate piano, così mamma e papà non si svegliano.»

«Ricevuto.» In men che non si dica mi ritrovo in piedi, il braccio di Federico attorno alla vita in un tocco innocente volto a sorreggermi.

Ridacchio di nuovo. «Bro?» domando. «Che cavolo vorrebbe dire?»

Mio fratello scuote la testa, imbarazzato per la mia performance, ma non me ne potrebbe fregare di meno. Sia benedetto l'alcol. Non sarebbe così contrariato, se sapesse cosa ho passato: ubriacarmi era l'unico modo ragionevole per sopravvivere alla serata.

***

Angolo dell'autrice: Scusate il ritardo nella pubblicazione, periodo un po' pieno al lavoro :D Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! In tal caso, ricordatevi di lasciare una stellina!

A presto

Lavinia

Prima che il tempo scorraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora