XIII

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*Noah*

Ero sceso per dire a Grace di rientrare visto il peggiorare del tempo.
Ero sceso con le migliori intenzioni, dopo quelle settimane in cui le feci fare di tutto senza che lei disubbidisse.
Dopo l'incidente con la scala avevo avuto una forte litigata con i ragazzi, soprattutto con Jace, il mio migliore amico. Mi aveva detto che oltre al labbro questa volta le avevo rotto anche il sopracciglio. Ero un violento, era risaputo, ma non ero solito picchiare le donne, se non in camera da letto. Lei mi accendeva quel qualcosa dentro che nemmeno io riuscivo a controllare. Mi respingeva in qualsiasi modo a priori.
Mi ero incazzato con il mio clan per aver cercato di rimproverarmi per quanto accaduto, ma ero più incazzato con me stesso per il senso di colpa che mi era nato dopo quella notte.
Ero Noah Silva, nessuno poteva permettersi di dirmi cosa fare. Tantomeno una ricca ragazzina bionda.
Avevo deciso che starle lontano sarebbe stato meglio, per me soprattutto.
Scesi velocemente le scale per andare a richiamarla, ma proprio quando arrivai vicino alla porta sentii...risate?
C'era una musica, orrenda, stupida.
"Jace piano scivolo". Disse lei ad alta voce tra una risata e un'altra.
Ero curioso, cosa cazzo stava combinando invece che lavorare?
Mi spostai nella stanza accanto, scostai la tenda della grande finestra che dava direttamente sul vialetto appena fuori casa dove si trovava Grace.
Sotto la pioggia dirompente Jace e la ragazzina stavano ballando.
Mi bloccai a vedere la scena. Lui la stava toccando, le teneva strette le mani e lei non sembrava infastidita da quella situazione.
Avevo capito che nelle ultime settimane si era legata parecchio ai ragazzi, soprattutto al biondo, ma non credevo che avesse raggiunto questo grado di confidenza da lasciare che le si avvicinasse così tanto.
Forse la sua era stata solo una tattica per raggirarci. Forse era più furba di quanto noi pensassimo.
Sicuramente era bella da far invidia ad una dea. La guardavo dal vetro rigato dalle gocce di pioggia. Era sulle punte, ondeggiava a destra e sinistra. Era goffa, come se non avesse mai ballato prima, ma teneva il tempo in qualche modo. I lunghi capelli biondi erano completamente bagnati, le si erano appiccicati al viso. Le incorniciavano perfettamente quel sorriso che mai le avevo visto indossare prima.
Jace le fece fare una piroetta. Rideva, di gusto.
Girò ancora ed ancora una volta. Poi lui la trascinò verso la porta d'ingresso.
Mi ero goduto la scena come uno spettatore al cinema, quasi geloso del ruolo che aveva avuto il mio socio, ma ora era arrivato il momento di far tornare tutti alla realtà.
Lei non era un' ospite. Lei non era una amica. Lei non doveva essere niente, ne per me, ne per loro.
Era ora di rimettere le cose in chiaro.

"Spero tu abbia finito il tuo lavoro." Asserii serio alle sue spalle.
"Sta piovendo troppo Noah, per oggi basta così". Rispose Jace al suo posto, continuando a tirarle giù la cerniera della felpa.
Perché gli permetteva di toccarla? Stava cercando di raggirarlo per farsi salvare da tutto questo?
La piccola bionda non era poi così stupida come avevo inizialmente pensato.
"Mi sembrava di essere stato chiaro quando ho detto che qua dentro l'unico a dare ordini sono IO." Rimarcai bene l'ultima parola e mi avvicinai di un passo verso il mio amico, zuppo anche lui come l'altra.
"Piove a dirotto ed è fradicia, rischia di ammalarsi di nuovo. Ha appena finito l'antibiotico." Ma era serio? Era diventata la sua infermierina personale.
Colui che avevo visto freddare chiunque io gli dicessi ora era davanti a me pronto a fronteggiarmi per una...una donna.
Iniziai a pensare che forse Jace non si sentiva solo in colpa per come erano andate le cose quella sera, forse...forse nutriva qualche sentimento per Grace. Mi incazzai tremendamente.
"Ah ora fai anche l'infermiera? Se do un ordine è quello, non provare a sfidarmi Jace, soprattutto per una così!" Dissi lanciando un'occhiata alla biondina che nel mentre teneva la testa bassa e si nascondeva dietro Jace.
Mi si parò davanti e mi guardò dritto in faccia. Aveva deciso di sfidarmi davvero l'incosciente.
"Sai che non è giusto." Mi disse.
Che fosse giusto o meno era una mia decisione.
Ci guardammo dritti negli occhi, nessuno dei due aveva intenzione di abbandonare la propria linea. Non avevo mai avuto conflitti con lui, era la persona a cui tenevo di più e mi venne ancora più rabbia a pensare che per colpa di una persona insignificante ora fossimo naso a naso pronti a rovinare un'amicizia che durava da sempre.
"È...è colpa mia. Ho detto io a Jace che non ce la facevo più." Aveva ritrovato la voce.
Si stava abbracciando da sola, era evidente la paura che le era salita negli ultimi minuti. La ragazza col sorriso perfetto che avevo visto ballare con il mio amico era scomparsa per lasciar spazio alla piccola ragazzina indifesa e impaurita a causa mia.
"Non è colpa di Jace, signore." Aggiunse.
Lo stava difendendo. Sapeva che Jace non mi avrebbe mai aggredito ne si sarebbe difeso se lo avessi colpito, ed era pronta a prendersi la mia ira al suo posto. Questo accrebbe ancora di più la mia rabbia.
Jace si girò verso di lei, i miei occhi si incastrarono nei suoi. Ogni volta che li incontravo, raramente perché non mi guardava quasi mai in faccia, era dolore quello che sentivo.
Rivedevo in lei quello che non avevo avuto io.
Eppure erano sempre tristi, lei non aveva provato la sofferenza, eppure non aveva gli occhi felici. Era un'irriconoscente.
"Grace smettila." Le disse Jace. Lei non staccava gli occhi dai miei. Aveva paura per se stessa, lo vedevo, eppure non voleva che altri pagassero al suo posto.
"Vai a farti una doccia". Le dissi serio, interrompendo quel gioco di sguardi. Lei finalmente tornò a respirare, sorpassò sia me che il mio amico e si lancio sulle scale.
"Dopo scendi ad asciugare il casino che avete fatto qua." Le dissi riferito alla pozzanghera che lei e Jace avevano lasciato appena dopo l'ingresso.
"Si, scusi."
La osservai salire. Credeva davvero di averla passata liscia?
Non era tanto per il lavoro lasciato a metà, no, a farmi ammontare il nervoso era il fatto che stava mettendo i miei stessi soci contro di me.
"Devi smetterla Noah, avevi promesso che l'avresti lasciata respirare."
"Jace, lascia che ti ricordi una cosa, io posso fare ciò che voglio. Vedi di mettertelo in testa, prima che te la spacchi io stesso." Mi girai e salii nel mio studio.
Dovevo sfogarmi, dovevo chiamare quella troia di Heidi.

Be like Snow: beautiful but cold.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora