.2.

1.2K 60 7
                                    

*Grace*

"Grace andiamo quanto ci vuole per scegliere un colore?" Biascicò esausto Jace al mio fianco.
Erano quasi più di due ore che giravamo per market alla ricerca delle ultime cose per finire la stanza.
"Sono indecisa tra questi due!" Risposi sollevando i due cartellini con le macchie di colore.
Lui si avvicinò sgranando gli occhi.
"Sei indecisa tra rosa e rosa?" Esplose esausto, sollevando le mani alla testa.
La recita mi fece ridere, non avevo nessuna intenzione di mettermi fretta, volevo fosse tutto perfetto.
"Questo è rosa pastello, questo rosa cipria, sono diversi!" Gli dissi picchiettandogli uno dei due cartellini sul naso.
"A me sembrano proprio uguali." Sospirò lui, ormai quasi rassegnato al suo triste destino.
"Beh non lo sono, smettila di sbuffare!" Gli risposi sempre sorridendo.
Lui si passò una mano fra i capelli ricci.
"Siamo in giro da stamattina, non hai ancora mangiato niente. Dovresti riposare...lo sai anche tu." Mi richiamò, stavolta senza ironizzare.
Aveva ragione, ero stanchissima.
Sentivo le gambe gonfie e la schiena piena di piccoli spilli che pungevano fino al midollo.
Ma non volevo ammetterlo, ero troppo entusiasta di prendere tutto l'occorrente.
"Jace, sto bene, devo solo capire quale colore le piacerà di più." Risposi portando lo sguardo sui due cartoncini colorati.
"Grace non è ancora nata e già pensi ai suoi gusti?!" Mi disse.
Mi portai una mano sulla pancia, che ormai era un pancione, sorridendo.
Cercavo di immaginare già tutto della mia bambina.
D'improvviso un leggero movimento mi scosse la mano destra, nella quale c'era il color rosa cipria.
Mi emozionai all'istante suscitando l'interesse, o forse più preoccupazione, di Jace.
"Stai bene? Qualcosa non va? Devi sederti?" Non riuscivo a rispondergli.
Era qualche giorno che sentivo piccoli movimenti, la ginecologa aveva detto che era normale iniziare a sentirli muovere verso i cinque mesi.
Presi repentina la mano di Jace e me la poggiai sulla pancia.
"La senti?" Dissi alzando lo sguardo su di lui, con gli occhi brillanti e il sorriso.
"Ciao piccola peste..." iniziò a dire il biondo davanti a me, chinandosi con la faccia vicino alla mia pancia.
"Sono lo zio Jace." A quelle parole una piccola lacrima riuscì a scappare dai miei occhi.
Era tutta emozione e miscuglio di ormoni da donna incinta, continuavo a dire a tutti.
Ma c'era una piccola realtà che faticavo ad accettare...

Non era stato facile all'inizio, ancora prima di scoprire di essere incinta e di portare in grembo il frutto di un amore impossibile.
Subito dopo la fuga, quella notte, io e Jace eravamo partiti per un viaggio della speranza.
Avevo scoperto parti di lui che non avrei mai pensato potesse avere.
Avevamo attraversato gli Stati in auto, trovando ogni tot una sosta, dove Jace prontamente cambiava targhe o addirittura il mezzo di trasporto.
Lo scoprii un abile programmatore, gli avevo chiesto di coprire le mie tracce, di non farmi trovare, e lui ce la stava mettendo tutta.
Era stato un viaggio stancante e snervante. Avevo dato la colpa dei miei malori proprio alla condizione di questa fuga.
Il mio umore non era dei migliori. Avevo versato più lacrime di quante ne avessi in corpo.
Ero distrutta, fisicamente ed emotivamente.
Ero grata al mio amico che cercava in ogni modo di tenermi su il morale, ma non era facile sorridere col cuore grondante di sangue.
Eravamo poi arrivati in una piccola cittadina del Montana.
"È il mio posto del cuore Grace, tutti ne abbiamo uno." Mi aveva detto Jace.
Mi aveva poi raccontato che quando l'avevano tolto ai genitori era stato mandato proprio in questa fattori, di cui ora era diventato proprietario.
Aveva vissuto i momenti migliori della sua infanzia, cercando di colmare i buchi neri che il suo passato gli aveva causato.
L'avevo ascoltato in silenzio durante la sua memoria, rispettosa dei suoi silenzio e delle omissioni su alcuni passaggi.
Non era ancora pronto a raccontare tutta la sua verità, ma a me andava bene così, ci sarei stata quando ne avrebbe avuto bisogno.

A differenza di ciò che avevo pensato della piccola cittadina, paurosa di trovarmi in un luogo di bigotti, Hedley era davvero un luogo magico.
I cittadini della piccola città erano formavano una comunità unita e solare.
Erano sempre pronti ad aiutare il prossimo, gentili e cortesi anche con noi due, estranei a loro.
Io e Jace ci eravamo presentati come fratello e sorella, fuggiti dalla grande città alla ricerca di pace e tranquillità.
Eravamo stati accolti fin da subito con calore e cortesia.
Quella positività mi diedero una spinta a ben sperare per il mio futuro.
Inoltre la fattoria di Jace era esattamente ciò che sognavo da sempre.
Aveva ereditato con l'acquisto tutto ciò che la tenuta ospitava.
Per arrivare alla grande casa in legno dovevi percorrere un lungo viale alberato, costeggiato da grandi paddock delimitati da staccionate in legno grezzo.
La casa non era di certo la villa Silva, ma a me non importava. Era rustica, ben tenuta, sentiva di vissuto.
Il mio pezzo preferito, oltre che il verde che ci circondava, era la piccola scuderia.
Ci ritrovammo a doverci prendere cura di cinque cavalli da lavoro e di una piccola mandria di mucche col pelo lungo, di cui ancora adesso non riesco a ricordare il nome.
Il cuore continuava a farmi male, ma l'aria di quel posto stava cercando di sanare almeno i graffi sulla pelle.
Ero finalmente arrivata a pensare che ce l'avrei fatta, avrei avuto finalmente la mia possibilità.
Poi una mattina, mentre facevamo la spesa, l'ennesimo svenimento.
La signora Carter aveva insistito che la figlia, l'unica dottoressa in città, mi desse una controllata.
Avevo cercato di spiegare che mi capitava spesso e che non c'era da preoccuparsi, ma non mi avevano dato retta e, alleata con Jace, preoccupato anche lui per i miei continui malesseri, mi avevano trascinata nel suo studio.

Be like Snow: beautiful but cold.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora