La High School di St.Joseph era distante 5 ore di macchina da casa mia. Era una scuola importante e i mia madre ci teneva particolarmente alla mia buona istruzione.
Dopo aver dato i miei documenti all'autista, andai a cercare un posto in cui potermi sedere.
Era enorme: corridoio spazioso, sedili a due posti, finestrini puliti e grandi e un parquet di un blu petrolio. Sembrava uno di quei autobus che ti portano alle università importanti, come Harvard o Oxford.
Presi un posto vicino a un finestrino, nel mezzo dell' autobus più grande che avessi mai visto. Appoggiai lo zaino sul sedile rigorosamente vuoto e estrassi un paio di cuffie e il mio cellulare.
Adoravo la musica. Era il mio posto felice, come se le note potessero spezzare le catene della realtà. Mi guardai attorno: tutti parlavano con il proprio compagno di sedile.
Sembravano così contenti... io invece mi sentivo pesante come in un brutto sogno. Ero sola, no non completamente sola, con me avevo il peso sul mio cuore e il mio zaino.
Persa nei miei pensieri, come sempre, non mi accorsi che l'autobus si era fermato. Le porte si aprirono ed entrò un ragazzo a testa bassa.
La sua statura mi impressionò: era altissimo, 1.90 o forse anche di più. Aveva dei capelli scuri e lisci, e quando alzò la testa per cercare un sedile libero, due occhi verdi smeraldo vennero illuminati dalla luce del sole che filtrava dalle finestre dell'autobus.
E' carino, dai , pensai mentre il ragazzo camminava con passo sicuro in cerca di un sedile. no, rose, carino è un insulto. è stupendo. Immersa nella mia tranquillità, non mi accorsi che aveva puntato lo sguardo sul sedile al mio fianco.
nonono stiamo scherzando vero?
Ma che cazzo, non puoi sederti vicino a quello lì o al conducente? Ho capito che è un'uomo sulla sessantina ma deve essere molto simpatico, oltre che sordo.
Sorte o no, il ragazzo decise di venire nella mia direzione. Arrivato di fianco al mio zaino, mi guardò e disse «Posso?» la sua voce era bassa e graffiante, tanto che mi entrò nello stomaco e rimbombò nella cassa toracica. Ero incantata da quei occhi: come era possibile che fossero così chiari? Sembravano vetro... Quando mi risvegliai dal mio stato di trance mi accorsi che il ragazzo aveva assunto un'espressione tra il fastidio e il disagio.
Con giusta ragione, lo stai fissando, cretina.
«Sisi certo! a-aspetta...» santo cielo Rose. Mentre con movimenti impacciati spostavo lo zaino dal sedile, sentii i suoi occhi bruciarmi addosso.
che imbarazzo.
Quando finalmente il ragazzo si sedette al mio fianco, mi presi un attimo per osservarlo meglio: capelli scuri cadevano sulla fronte, gli occhi avevano una forma allungata facendolo sembrare un felino, il naso era dritto e cosparso di lentiggini, la bocca carnosa era stretta in un broncio mentre stava cercando qualcosa sul cellulare, la mandibola era definita e rigida. Al collo portava una collana d'orata, mentre le braccia e le spalle erano erano costrette in una maglia nera a mezze maniche. Le mani erano curate e le dita lunghe e affusolate, con qualche anello.
Dovevo ammettere che era molto bello, anzi, bellissimo.
Era evidente che non stava comodo in quel sedile: le lunghe gambe erano fasciate in dei jeans neri e compresse in quello spazio.
Stavo scomoda pure io nel mio metro e settantuno, non oso pensare lui.
Decisi di lasciare perdere e di concentrarmi sulla canzone che stava passando in quel momento nella mia playlist: Favorite, di Isabel LaRosa. Iniziai a canticchiare tra me e me "darling can I be your favorite?" muovendo la testa a ritmo, quando sentii un dito picchiettare sulla mia spalla.
Mi voltai, mettendo in pausa la musica e mi ritrovai quei due pezzi di vetro nei miei. «Si?» dissi con una cuffia nell'orecchio e l'altra attorcigliata nei capelli «La tua musica» disse il ragazzo con voce bassa indicando con lo sguardo il mio telefono.
Assunsi un'aria interrogativa, piegando leggermente la testa di lato come ero solita a fare. Lui sbuffò prima di di continuare «Senti, cosa, la tua stupida musica da teenager con le daddy issues mi sta urtando i nervi, potresti metterla più bassa o addirittura spegnerla? Grazie» mi fece un sorriso finto prima di girarsi e tornare a parlare con qualcuno di qualche fila più avanti.
Rimasi leggermente sbigottita, ma decisi di non abbassarla: insomma, non avevo micca messo la cassa a tutto volume, e poi era un volume normalissimo e...
Aspetta, chi ha chiamato cosa questo qua?
«A chi hai dato della "cosa"?» chiesi, attirando la sua attenzione. Dapprima mi squadrò per poi guardarmi negli occhi «A te» disse con sufficienza, prima di gettare uno sguardo ai miei capelli «Preferisci forse ricciolina?» aggiunse ridendo, ma io non stavo ridendo, per niente.
Odiavo profondamente i nomignoli o i soprannomi.
«Ho un nome, e gradirei che tu usassi quello» dissi stizzita prima di ricacciarmi la cuffietta nell'orecchio e di alzare il volume al massimo, in modo che Into It, dei Chase Atlantic rimbombasse nella mia testa e anche nelle orecchie del mio amato vicino di posto, che prontamente si girò e mi fulminò con lo sguardo. Gli feci un sorrisino falsissimo e tornai a guardare il paesaggio fuori dal finestrino, sorridendo tra me e me.
Beccati questa, coso.
Spazio autrice
Ei belli, come state? Io bene (se non fosse che fa un caldo dell'accidenti).
Fatemi sapere che ne pensate mi raccomando!
Alla prossima!!
Vi voglio bene
Ali
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Tutte le volte che non ti ho detto grazie
Romance[NON COMPLETA] Sono sempre stata una ragazza con le sue convinzioni. Avevo delle radici solide, anzi, solidissime, ma forse, dico forse, per amore quelle radici le avrei cambiate.