Parte XIII - Adam

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È più forte di me. Non riesco a comportarmi bene. L'ho dovuta baciare. Forse non voleva. No, voleva, l'ho sentito. Ho sentito il suo corpo esile aderire al mio. Ho sentito le sue mani delicate scivolare sulla mia schiena, le sue unghie insinuarsi sotto la mia pelle.
Mi sento un coglione perché prima o poi ci ritroveremo insieme in camera e so che lei si sentirà a disagio.
Di donne ne ho avute fin troppe, di alcune pensavo addirittura di essere innamorato, ma con il tempo mi è stato chiaro di non avere mai provato quel sentimento. Erano solo emozioni. Quelle ragazze bellissime ognuna a modo proprio, eppure tutte cosí simili, erano le peggiori sanguisughe. Viaggi, cene, regali. Finché si vive così va sempre tutto bene, vero? Ma erano ragazze superficiali, inconcludenti, spesso stupide. La loro ambizione era fare la bella vita con i miei soldi. Estetista, parrucchiera, massaggi... e poi vestiti, borse, viaggi, ma non può ridursi tutto solo a questo. Fra una striscia di polvere bianca e l'altra non c'era bisogno di parlare, di conoscersi veramente. Per questo a volte ho creduto di essermi innamorato. Vivevamo di notte, di feste, di sesso. Ma quando mi fermavo, quando decidevo che era troppo, non rimaneva più nulla. Solo a quel punto si scoperchiava il vaso di Pandora e la loro vera natura si propagava fuori dai corpi perfetti senza che potessero più impedirmi di vedere. Anche se per me non valevano più niente, rimanevano sempre, fingendo che fosse per amore.
Beatrice non mi ha cercato. È capitata in questa situazione. Da quando siamo arrivati non ha mai provato a conquistarmi, non ha neanche pensato a quella che in molte avrebbero visto come una scorciatoia, un'occasione da prendere al volo, da succhiare fino al midollo con le labbra truccate. Questo la rende una creatura nobile, pura. In questo paio di giorni sento di potermi fidare più di lei che di tutte quelle ragazze che mi sono state accanto per anni come parassiti.
Quando eravamo al congresso, Beatrice dava l'impressione di combattere per la compagnia come se fosse sua, pur essendo una delle mille stagiste sottopagate spedita da mio padre a Tokyo per obbligarmi a partecipare a questo circo di ricconi. D'altra parte, un West è sempre un West.
Respiro una boccata d' aria fresca quando sento un'auto sgommare nella via dell'hotel ad alta velocità. Una raffica di proiettili mi vengono sparati contro, ma riesco a buttarmi a terra dietro ad un cartello turistico. Che cazzo sta succedendo? Sento grida e urla in giapponese intorno a me, persone che corrono e si calpestano, ma dal finestrino dell'auto l'arma sta mirando unicamente verso di me. Sono a terra, il cuore a mille, la bocca secca, le ginocchia insanguinate doloranti, ma mi sforzo di alzarmi quel poco per riuscire a guardare. E lo vedo, il tatuaggio del dragone verde che prende il collo e la mano dell'uomo che sta cercando di uccidermi. Uno yakuza. Non distinguo il volto, è tutto troppo veloce, noto solo che porta gli occhiali da sole, gli altri finestrini sono oscurati. Si sentono in lontananza le sirene della polizia, ma in un attimo l'auto è già dietro l'angolo.

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