Nel luminoso regno delle fate era arrivata, ormai da una settimana, la primavera. Il cielo era di un azzurro purissimo; la terra era tornata verde dopo l'inverno; i fiori di campo iniziavano a sbocciare e laboriosi insetti ne approfittavano, volando di fiore in fiore, bevendo il nettare e sporcandosi di polline. Gli animali si risvegliavano dal letargo e cambiavano il pelo; gli uccelli stavano tornando dalla migrazione e, già dal mattino presto, cantavano armoniosamente. Gli alberi fiorivano e il loro odori profumavano l'aria, si avvertivano la dolce aroma del ciliegio e del pesco e il profumo zuccheroso del glicine e della magnolia.
Come la Natura si era risvegliata, così anche il popolo delle fate era tornato alla vita dopo l'inverno: i contadini si preparavano alla semina, lavorando la terra nei campi; nelle città la gente era tornata a passeggiare nei viali, perdendosi nelle bancarelle degli artigiani, parlando con amici e famigliari; i bambini correvano o fluttuavano tra le gambe dei passanti.
Tra tutte le città del regno delle fate, Domina, la capitale, era da sempre la più affollata e vivace. Fatta da case dai muri colorati e diversi gli uni dagli altri, dall'alto la città assumeva l'aspetto di una pianura d'argilla, poiché i tetti erano tutti ricoperti di tegole rosse. La pianura era solcata da strisce grigie, le strade, che dalla piazza centrale, quella del mercato, si estendevano come i rami di un albero, le cui foglie sembravano essere proprio le case. Domina, per questo motivo, era anche chiamata l'Acero, data la somiglianza con l'albero dalle foglie purpuree.
Se dalla piazza si seguiva la strada che portava verso nord, la via principale e tronco della pianta, si raggiungeva il castello del re delle fate, che rappresentava le radici dell'Acero.
Il castello, di marmo bianco e avorio, splendeva come un diamante alla luce del sole. Si sviluppava in altezza, con una moltitudine di torri e torrette, sulle cui merlature si intravedevano i luccichii delle armature delle guardie reali. Le mura esterne del palazzo si sviluppavano a forma pentagonale e, su ogni angolo, c'era un maschio, presidiato da due guardie, più altre due che facevano la spola tra una torre e l'altra.
Su tutti i lati delle mura c'era un'entrata, ma quella principale si trovava a sud, verso la città. Quest'ultima era un enorme cancello in oro battuto, plasmato in un'intricata trama di nodi e spirali, tra questi si distinguevano sagome di fiori e animali. All'incirca a tre quinti dell'altezza c'era un intarsio che rappresentava il profilo del massiccio del Roc, il rilievo più alto del regno delle fate. Nell'ultimo quinto, esattamente sopra la vetta più alta della montagna, c'era una mandorla a forma di Sole, su cui era inciso, in alto rilievo, la testa di un orso che ruggiva, simbolo della famiglia reale. Sull'occhio dell'animale era stato incastonato un rubino, che, brillando, sembrava osservare chiunque passasse per quella soglia.
Appena superate le mura, si veniva avvolti dagli intensi colori dei giardini, pieni di fontane, canali, labirinti di siepi, giardini nascosti, aiuole variopinte, alberi da fiore e da frutto. Dal cancello, si diramava una strada di roccia piastrellata, che portava direttamente all'entrata della regale dimora, questa via, però, si divideva in altri sentieri, ghiaiati o erbosi, che portavano ovunque nel parco.
L'accesso al castello era preceduto da uno spiazzo, delineato da un patio colonnato, la cui parte interna era composta da delle porte finestre che facevano intravedere il primo salone del castello, ovvero la sala del ricevimento, dove i sovrani accoglievano i loro ospiti. Da quel salone in poi, solo chi ci abitava, poteva orientarsi: era una labirintica rete di corridoi e salotti, ricolmi di decorazioni, affreschi, statue e dipinti.
Un lungo corridoio, al piano terra, conduceva alla sala del trono. L'ampio salone, seppur luminoso, era, invero, spoglio, poiché tutta l'attenzione doveva essere rivolta al trono: imponente e dorato, con lo schienale alto due metri, intarsiato in ogni singolo centimetro disponibile e imbottito di velluto rosso. Ai suoi lati ce n'erano altri due, simili ma meno maestosi del centrale, su quest'ultimi si sedevano la regina e l'erede al trono.
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Sunshine - La luce di Euridia
Fantasía"Turns out it's you who's not awake, so if there's change you wanna make, take: once upon a time she fought a dragon, once upon a time that beast was me, once upon a misspent youth. She faced herself, she spoke the truth. That's how I see my once up...