Sulla panchina di un viale alberato un tizio sta fumando. Ѐ uno straccione come tanti. L'aria umida gli mette freddo e un po' di nicotina non guasta. La pelle del viso, solo quella, si gode il fresco dopo lunghe ore di sbronza nel bar lì accanto. Bar: quel container di alluminio vecchio trent'anni, simile a una trappola per topi, che puzza di liquami, illuminato da neon gialli: è una cloaca che ha toccato il fondo, un fondo che nemmeno lui ha ancora raggiunto. Il tizio ghigna e fa un tiro profondo. Si passa la lingua sulle labbra, guarda il bar come fosse la tv. Qualcuno che conosce siede ai tavoli, l'orologio bianco risalta sulla parete gialla. Segna le due, le tre, chi ci vede da così lontano. Il barista lucida un bicchiere. O lo pulisce dallo schifo. È un tipo ambiguo, magrolino, con una pettorina nera.
Il tizio sputa in terra. L'asfalto fa tutt'uno con il cielo. Ora muore di freddo. Quasi quasi rientra.
Ma ecco un brivido gli corre lungo il collo, gli blocca le braccia, lo fa ricadere sulla panchina. Gli occhi, fissi, riconoscono solo il materiale dei pantaloni: pelle. Una pressione al petto gli strozza il respiro, come ha potuto non sentire i tacchi? Ora sono talmente insistenti che gli bucano le orecchie, un tremore lo scuote. I tacchi si allontanano. Passa un minuto, ne passano due. L'aria gli riapre i polmoni. Sputa, la saliva pende a un angolo della bocca, si passa la manica sulle labbra e impreca chi cazzo era quella?!
Guarda il bar. Controluce, un passo di mora in impermeabile. All'interno, il delirio. Manate sulle spalle, dita tra le labbra, fischi. La mora entra. Il barista alza lo sguardo. Si fissano. Al rallentatore: un coltello bianco lampeggia in mano alla mora. La mora lo pianta nella spalla del barista. Il barista barcolla, arretra, le gambe gli cedono e si accascia sul bancone. Gli altri si spintonano per uscire in fretta dalla porta e quando si spalanca oddio cristo ma chi cazzo è quella, porca puttana! si sente per strada, poi solo passi affrettati sull'asfalto, secchi, veloci, in ogni direzione purché lontano da lì.
Il tizio osserva la scena, vede il barista uscire, seguito dalla mora, gli vengono incontro. Ha ancora il coltello piantato nella spalla, l'aria sofferente. Lo vede infilare le dita nel taschino, forse per fumare. E lì, colto da una stretta di panico, il tizio se la dà a gambe pure lui.
Il barista armeggia con il taschino della divisa, in cerca di una sigaretta. La accende. Dà un paio di tiri agitati.
«Avevo un lavoro qui vicino» dice lei.
«Ah, che lavoro fai?» domanda lui.
«Sicario».
«Ah, certo» tono preoccupato «E com'è andata?»
Lei alza le spalle.
«Bene».
Proseguono in silenzio.
«Dove andiamo?» fa lui.
«A casa» risponde lei secca e sorride in modo odioso «Bastavo io per prelevarti».
Il barista sbuffa. Sa che, anche se sono uno contro uno, rischia solo di farsi ammazzare quindi segue la mora verso la metropolitana, calciando una lattina appena può.
«Non preoccuparti» lo rassicura lei «ti ci porterò sano e salvo» e non nasconde un certo divertimento all'idea. Il barista tenta di sorridere, ma in realtà ha alzato un sopracciglio con aria nervosa.
Da quel giorno, da quella notte, le giornate sono bianche.
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La Guerra Bianca
AçãoIn una qualunque periferia di una qualunque città, la guerra sta per ricominciare. Costretto a fare i conti con il passato, Alexis torna nei bassifondi dove lo attendono i rimorsi e la propria identità perduta. Non ha tempo da perdere: l'assassino d...