Portava sotto la giacca di pelle, strette dalla cerniera, due lame nere e affilate che, coi manici, gli premevano sui fianchi e, con le punte, gli grattavano le clavicole. Possederle completamente, cioè essere pronto a usarle, lo faceva sentire già morto.
Le cose andavano male, a tutti, da troppo tempo. Non c'erano più suoni, echi, colori per le strade dei bassifondi. La varietà di sfumature che rendeva allegra la povertà era marcita e con essa l'anima, o qualunque cosa ci fosse a reggere il corpo. In nome di questo qualcosa, o sperando che vada affanculo pure quello, il giovane barista avanzava.
La finestra era illuminata, luce sotto la porta. I locali non mancavano, nei bassifondi. Smerciavano droga, tagliata di merda, e alcol, raramente industriale. I boss erano lì, a sbevazzare roba meno peggiore di quella destinata ai tutti, accordandosi a minacce per dividersi i traffici: zone dove far battere, banche da rapinare, malati cui vendere gli organi, quando ci ha abbandonato la religione?
Il barista (nostro) bevve un bicchiere automaticamente. Si sedette per reggere la botta, che salì al naso, scese nei polmoni e piombò nello stomaco. Si sentiva un po' più lento e un po' più reattivo. Ascoltava distrattamente. Non aveva niente su cui fingere di riflettere, si sentiva fuori luogo e sotto i riflettori fin dall'inizio. Eppure niente cambia, nessuno lo nota, nessuno lo caccia, nessuno lo pugnala. Se ne sta lì beato a sfondarsi il fegato un pezzo per volta, aspettando il momento buono di agire.
La potenza di questo pensiero lo colpì e fissò il muro, sbalordito: agire? Cos'è che gli scorre nelle vene, all'improvviso, oltre la merda che gli hanno rifilato? Agire. Non aveva mai agito. Non ricorda nemmeno una volta, in modo distinto, di aver deciso di "agire" scegliendo consapevolmente un'azione al posto di un'altra, valutandone i pregi e i difetti, a confronto di un'eventualità diversa. Di solito la questione si risolve così: mangio, dormo, cago, spero di arrivare fino a domani. Sorpreso dalla rivelazione avvertì un'altra trasformazione: il cuore palpitava con più forza nel petto magro, rimandandogli a più velocità l'alcol nel cervello. Agire, agire, agire: si fissa le mani, le mani fissano lui, guarda i piedi, anche i piedi lo guardano e tutti insieme gli gridano "esatto, noi siamo qui per agire, per scegliere dove andare, che coltello usare, chi ammazzare! Siamo stanchi di pendere sul bordo di un'esistenza in cui strisciamo soltanto!". All'improvviso prova pietà, il barista (nostro). La testa gli penzola indietro come una giuntura lussata, gli occhi sguazzano nelle prime lacrime. Conta le assi del soffitto e pensa: mi sveglio dal coma dopo tutti questi anni?
Gli scappò un singhiozzo. Tutto intorno si fece silenzio. Un singhiozzo, che cosa insolita. I capi erano scioccati, poi uno si alza e gli si fa incontro:
«Ragazzo, che cazzo piangi? Vattene fuori» e gli piantò un pugno nei reni, a mo' di cortese sollecitazione.
Il barista (nostro) vide un bagliore di luce, sparata dal cervello agli occhi, sentì il silenzio che li circondava e il freddo delle lame sul petto. Provò a spostarsi, ma il coltello gli premeva sul fianco e lo fece sporgere sullo sgabello. Allora nota, per la prima volta, che digrigna i denti, dalla gola gli sale un ruggito, simile a tosse ma che diventa più lungo, vibrante. Gli occhi si sgranano con dolore, vede molto di più di quello che osserva. Sente la mano che cinge il manico di una delle lame, sente i muscoli del braccio che si flettono per estrarla, sente la ragione farsi sempre più minuscola e portarsi dietro la possibilità reale di essere ammazzato. Sente che sta per non sentire più niente. Poi l'adrenalina si liberò nelle vene, la rabbia irruppe.
Tra i presenti scese il silenzio, la luce illuminò quello che nessuno credeva di vedere. E invece la testa del boss è rotolata a terra, schizzando sangue dappertutto, come una secchiata di vernice. Il barista (nostro) ne ha sporca solo una mano, ma i presenti lo hanno in volto, tra le labbra, colato sui vestiti e ne impastano altro sotto i piedi.
Al ragazzo resta ancora il ruggito in bocca, fuoriesce col respiro, gli trema il polso. Fissa a uno a uno gli uomini presenti senza ricordarsene nessuno, eppure gli legge sui volti che di lui, be', si ricorderanno a lungo.
Il barista si sveglia, con il rimpianto aggrappato al collo e il dispiacere che gli sia stata tolta, quella rabbia stupenda. Niente di buono è rimasto in quel mondo, lui lo sa meglio di chiunque altro. Cosa potrebbe dare lui, a quelle persone? La guerra, rispondono le voci.
La legge del più forte, in fin dei conti, non è mai morta. Ripensa ai colletti bianchi che la mattina correvano a prendere il caffè, poi via in ufficio. Là fuori, c'è chi gli crede. Ma la violenza è elegante quando è ben eseguita, non quando è ben vestita. Nessuno può saperlo meglio di lui.
La porta è rimasta aperta. Anche se per lui un passo fuori è un passo indietro, e quel passo gli pesa come un cazzo di blocco di cemento appeso al collo, si alza. Stringe forte tra i denti una sigaretta che gli ha lasciato il Doc. Tremando, si avvicina all'uscita. Osserva il rettangolo della porta con spasmodiche occhiate, se gli si chiudesse attorno come una bocca non sarebbe preso alla sprovvista e, alzando le mani, esce.
La mora bestemmia, il biondo impreca, il Doc ghigna. Le voci zittiscono, escono dall'ombra e guardano il giovane affacciato sulle scale.
È tornata la Guerra Bianca, sussurra uno, ma il boato esplose subito dopo.

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La Guerra Bianca
ActionIn una qualunque periferia di una qualunque città, la guerra sta per ricominciare. Costretto a fare i conti con il passato, Alexis torna nei bassifondi dove lo attendono i rimorsi e la propria identità perduta. Non ha tempo da perdere: l'assassino d...