Capitolo 22: Diario di Ilaria

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Pagina 2, giorno 2.

Ricordo le vacanze di Natale, quelle trascorse in montagna con i miei.
Per me il Natale profuma di cannella e di mandarino.
Per me il Natale è come i maglioni soffici in lana.
Il Natale per me sono i nastri colorati, le luci scintillanti.

Ecco, le strade di Vipiteno profumano di cannella, le vetrine delle botteghe sono illuminate dalle luci scintillanti e le bancherelle vendono indumenti in lana pesante.
Ho sempre desiderato avere un paio di guanti e una sciarpa, ma per mia madre una bambina avrebbe dovuto avere desideri diversi.

Ma a me non mancava nulla, e lei lo sapeva.
Avevo tutti i giochi possibili del mondo, una stanza talmente piena che a momenti sarei dovuta uscire io per far posto a tutti loro.
Avrei solo desiderato quel paio di guanti e quella sciarpa per sentirmi davvero felice.

" Non sono regali da fare, quelli li. Posso comprarteli ogni giorno. "
mi diceva, ignorando il mio sguardo sognante davanti alle bancarelle.
E mi tirava via, cosi come gli altri bambini venivano tirati via davanti alle vetrine di giochi.
Avrei potuto dar loro i miei, perché io non sapevo cosa farmene.

Ricordo le battaglie di neve con papà, la lingua fuori quando cadevano i primi fiocchi, i vetri appannati della finestra dell'hotel, quando mi affacciavo per vedere le cime imbiancate.
Ricordo il vin brulè di papà, dopo cena, le sue guance rosse e mia mamma che s'arrabiava perché poi russava e non l'avrebbe fatta dormire.

Ormai sono anni che non vado più con loro.
L'anno scorso l'ho trascorso da nonna, chiusa nel suo salotto, davanti alla sua immensa libreria.
Anche a lei piace leggere, e conserva libri vecchi che ora sono quasi introvabili.
Una volta mi sono imbattuta in una storia di un cavaliere, nelle brughiere oscure del medioevo.
Sono rimasta a leggere fino alla mattina del 26 dicembre, fino a quando nonna non è comparsa sulla soglia della porta con una tazza di caffèlatte bollente tra le mani.

Non so se mi mancano quelle vacanze, non so se mi manca la me bambina.
Come al solito non so tantissime cose.
E vorrei saperne altrettante.

Sono una persona indecisa, una di quelle che non sa mai cosa vuole.
Quelle che davanti ad un menu restano fisse a guardare, mugugnando, ad occhi socchiusi, creando quei momenti di imbarazzo totale.
Sono una di quelle persone che alla domanda ' cosa facciamo? ' ' cosa vuoi ' ' che regalo ti piacerebbe avere? ' risponde perennemente ' non lo so. ' suscitando nell'altra persona un fastidio immenso.
Lo so, mi darebbe noia anche a me se mi conoscessi davvero.
Già, neanch'io mi conosco.
Non mi conoscono i miei genitori e neanche la mia vera madre, o il mio vero padre se esiste da qualche parte, nel mondo.

Non sono ne bianco ne nero, sarò sempre un punto interrogativo per me stessa e per gli altri.

Spesso quando compio un'azione non so neanch'io perché lo sto facendo.
Come in questo momento, seduta al tavolino di un bar, con un bicchiere di the al limone mezzo vuoto, e la mano che scorre tra queste righe come se qualcuno un giorno possa davvero leggerle.
Che poi non c'è nulla da raccontare, è solo un rovescio di pensieri su carta.
E chi vorrebbe mai leggere i pensieri di una qualunque diciottenne confusa?
Neanch'io vorrei.
Eppure non posso farne a meno.
Cosi come non posso fare a meno di guardarla, di nascosto, quando lei non se ne accorge.
È tanto stanca, ha due grosse occhiaie, i ciuffi biondi che sfuggono dallo chignon, ricadendo confusionariamente sulla fronte sudata.
Gli occhi stanchi, i gesti veloci di chi vuole finire al più presto per andare a casa.
Mi chiedo come sia la sua vita. Se abbia qualcuno che possa consolarla, o anche solo abbracciarla per qualche minuto.
Mi chiedo se abbia treni da aspettare, da rincorrere. Se ha mai fatto ritardo, se ne ha mai perso qualcuno.
Mi chiedo quale sia la sua stagione preferita, il suo colore preferito, cosa le piaccia mangiare e se preferisce il mare o la montagna.
Mi chiedo tante cose, ma non faccio il primo passo per avvicinarmi.
Mi piacciono le sue mani, le sue braccia.
Mi piace il suo viso tondo, paffutello.
Mi piace il colore dei suoi capelli, mi ricordano i campi di grano sotto il sole di Giugno.
Mi ricorda l'estate e il mare, il caldo, i gelati che sgocciolano e le feste a tarda notte.
Sa un po' di blu, tutte le sfumature.
Sa di cose belle, sa di profumi intensi, freschi, come il cotone appena lavato.
Sa di tante cose eppure non la conosco affatto.
Credo si chiami Azzurra, l'ho sentito da una ragazza seduta a un tavolo più in là. L'ha chiamata poco fa, invitandola ad unirsi a loro.
E lei lo fa, dopo aver avuto il consenso da quello che deduco sia il suo responsabile.

Ha un passo trascinato, anch'esso stanco.
Dalla t-shirt sbuca qualche tatuaggio che da questa distanza non riesco a studiare.
Mi incanta.
Mi incuriosisce.
Vorrei alzarmi e unirmi a loro.
Ma più di quello che ho già fatto, venire qui, trovarla come farebbe una matta in mezzo a tutta Roma, è un passo troppo lungo.
So che devo fermarmi qui e lasciare che il destino faccia il proprio corso.

Ho scritto ancora di lei, in questo secondo capitolo.
Non so neanche se sarà l'ultimo.
Però è speciale, perché l'ho scritto con lei a pochi passi da me, come il migliore degli scrittori.
E un po' mi sento fiera di me, per tutto quello che riesco a buttare su carta, per quanto io sia amante di questa biro blu, di queste pagine a cui sono totalmente devota.
E per lei, che continua a ispirare la mia mente e a farmi volare oltre le nuvole più alte, mostrandomi una realtà che non credevo potesse esistere.

Grazie Azzurra.
A te, inconsapevole ragazza dai capelli di grano e dagli occhi stanchi.

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