III. DUBBI

41 11 4
                                    

Una notte mi misi a sedere nel letto, insonne. Albert dormiva al mio fianco, il corpo muscoloso era rilassato, le palpebre socchiuse, le ciglia nere disegnavano ombre sulla sua pelle. Era bellissimo, mi ritrovai a pensare. Il dio greco di cui mi ero innamorata. Mi costrinsi a non sfiorare i suoi capelli neri. Non volevo svegliarlo, non volevo strapparlo da quel dolce sonno. Non mi sarei mai stancata di guardarlo dormire. E poi i lineamenti di Albert sbiadirono e vidi un altro viso che affiorava sotto il suo. Tratti aguzzi. Una carnagione olivastra. Herman. Deglutii, la gola secca. Avevo bisogno di aria. Scivolai giù dal letto e mi avvicinai alla finestra, i piedi scalzi. Herman. Era quello l'unico mio rimpianto. Che poi di vero rimpianto non si era mai potuto parlare. Era una storia nata già finita. Mi morsi le labbra e osservai il cielo scuro, trafitto dalle grandi stelle. Avevo la nausea. Herman. Il suo viso affilato, creato quasi da una spada, e quel suo modo di ammorbidire l'espressione quando era con me. Non era bello come Albert, ma aveva qualcosa di...

-Sei sveglia?-

Trasalii, ma non mi girai. -Non ho sonno- sussurrai, sperando che non si accorgesse che le parole mi tremavano, che io pensavo a un altro, che per quanto m'impegnassi ero una pessima moglie.

-Mi dispiace-

-Di cosa?- fissai il cielo scuro, le chiome innevate mosse dal vento.

-Di tutto... io dovrei pensare alla nostra famiglia, non tu- sentii un fruscio e qualche momento dopo percepii il calore del suo corpo, il suo tocco delicato.

Io... mi sentii un mostro. Avrei dovuto dirgli tutto. Sì, dire ogni cosa. Su quello che provavo per Herman, su quello che lui provava per me, su quello che ci legava. E poi sentii le labbra di Albert posarsi delicatamente sul mio collo, laddove l'arteria pulsava feroce... e mi parve di tornare ragazzina, quando il mio mondo era lui e l'unica cosa che desideravo era perdermi nei suoi occhi. Lasciai che mi avvolgesse nel suo abbraccio.

-Che ne dici di tornare a letto, Vivi?- avvicinò le labbra al mio orecchio.

-Sì- mormorai.

-Migliorerà tutto- mi sussurrò, stringendomi forte -migliorerà-

E io ci volevo credere. Ci volevo veramente credere.

Il giorno seguente feci l'unica cosa che avrei potuto fare

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Il giorno seguente feci l'unica cosa che avrei potuto fare. Mi confidai con mia cugina. Eravamo sedute in salotto, come da ragazzine. Le dissi tutto a voce bassa. In lontananza sentivo Albert giocare con i bambini, la voce alta. Si fingevano pirati, forse.

-Dovrei dirglielo- sussurrai -devo dirgli tutto-

-Non devi dirglielo!- il tono di Lotte era minaccioso -Non ci provare neppure! Non sai quanto è grave?-

No, forse non lo sapevo. -Io... vorrei essere onesta-

-L'onestà uccide- replicò mia cugina -non dirgli nulla-

E io mi sentivo inquieta. Come potevo non dirgli nulla? Eppure sapevo di non poterlo fare, avrei solo rovinato tutto.

-Lui è felice... i bambini sono felici... rovinare tutto, non ne vale la pena, credimi- strinse le labbra -fallo per la tua famiglia-

Aveva ragione Lotte, ne ero fin troppo consapevole. Eppure mi sentivo tormentata. Il cuore mi batteva all'impazzata tutto il giorno. Spesso avevo le ginocchia molli e mi sentivo quasi mancare. Temevo qualsiasi cosa potesse far comprendere a mio marito che lui non era più l'unico.

 Temevo qualsiasi cosa potesse far comprendere a mio marito che lui non era più l'unico

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

E un giorno finalmente l'occasione giunse. Era un mattino con un cielo color piombo, carico di neve. Stavo sistemando i tavoli, le mani che mi dolevano per il freddo. Rose mi aiutava, barcollando sulle sue gambette. Albert entrò ridendo.

-Vivi- corse da me, mi afferrò per la vita, mi fece volteggiare per aria più volte.

-Ehi, cosa succede?- gli chiesi, felice di quel suo cambiamento.

-Ho trovato un modo per riprendermi i miei soldi-

Più tardi, nascosti nel vano della finestra, come due amanti, Albert mi spiegò che si era messo in contatto con la famiglia materna. -Ci sono stati dei cambiamenti con la guerra... aveva ereditato tutto un mio cugino, ma a quanto pare risulta disperso... sono io l'erede-

Era felice, parlava di denaro, di case, di gioielli. Io ascoltavo senza sapere cosa dire, il cuore che mi sfarfallava nel petto. Ero felice. Tremendamente felice. Il nostro rapporto si fece nuovamente più forte. Cominciò ad accompagnarmi ovunque. Organizzò perfino una gita.

-Solo noi due, come ai primi tempi... lo sai che siamo già sposati da sei anni?-

Il pensiero mi colpì. Sei anni. Sembrava una vita. Forse per me la era davvero.

Andammo in automobile. Era un vecchio modello che mio padre aveva acquistato prima della guerra. Albert la guidò con naturalezza tra le strade innevate. Sembrava davvero essere tornato l'uomo che avevo sposato. Notai, con un pizzico di orgoglio, che il suo fascino era ritornato.

-Qua- disse, parcheggiò vicino a un alto pino.

-Sono curiosa di sapere cos'hai in mente-

Lui rise. -Oh, una cosa molto bella, che ha il sapore di passato-

Un picnic dentro una baita. Questa era la sorpresa. Sorrisi. Albert non cambiava mai. Aveva organizzato tutto. La neve scendeva, ma lui aveva installato delle stufette per poter stare al caldo. Ridemmo, parlammo, scherzammo. Il tempo si fermò e si avvolse. Mi parve di essere tornata al passato. Nella mia mente scomparve il mio abito vistoso, il rossetto rosso, la tinta bionda. Fui nuovamente la timida Viola che cede al fascino di un avventuriero come Albert. Lui brillò nuovamente della vecchia luce. Forse c'era una possibilità per noi.

-Apri la boccuccia- disse lui e io ridendo ubbidii, lasciando che Albert m'imbocasse come una bambina.

Quando la cena terminò. Ci sedemmo vicino alla grande vetrata, il cielo che si riempiva di stelle. Erano splendide. Le stesse stelle che avevo guardato con Herman. Una vita prima. Sì, era proprio una vita prima. Mi sentii malinconica.

-Lo guardi ancora il cielo e cerchi la stella più brillante?- la domanda di Albert mi sorprese, forse mi fece sentire perfino in colpa.

-Certo- mentii -la cercherò sempre-

-Io ti amo, Vivi, ti amo come mai avrei potuto credere di amare-

Sentii gli occhi bruciarmi. Perché mi diceva quelle parole? Mi faceva sentire terribilmente in colpa. Soffocai la colpa nei baci, nelle carezze, nell'amore. Se amore il nostro era ancora. Perché quando chiudevo gli occhi avrei quasi potuto credere che Albert ed Herman si fondessero diventando una sola persona. Affascinante e composto, eccentrico e stratega, dio greco ed eroe carico di disperazione. Mi abbandonai al falso pensiero che forse non erano diversi, che forse avrei potuto concedermi quei momenti in cui sognare, che non c'era bisogno di una scelta.

NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate dei nuovi eventi? La nostra Viola è ancora combattuta.

A presto!

La principessa e la cocotte III: per amore e per vendettaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora