Ero seduta davanti a quel pianoforte nero e talmente lucido da essere accecante. Lo conoscevo, quel pianoforte, molto bene.
Suonavo perché era l'unica cosa che sapevo fare, suonavo perché era l'unico modo che avevo per sentirmi libera, suonavo perché il pianoforte era da sempre la mia tortura, il mio sfogo, la mia vita.
Non toccavo un tasto da una manciata di minuti, non so cosa mi impedisse di svolgere i miei soliti esercizi. Avevo pensieri che mi ronzavano in testa e si impossessavano del mio cervello.
Erano come dei rampicanti: crescevano dove non dovevano e si infilavano dappertutto fino ad arrivare allo stomaco chiudendomi l'appetito e seccandomi la gola. Guardai l'imponente pianoforte che mi trovavo davanti.Lo suonavo da quando avevo cinque anni, otto ore al giorno, tutti i giorni, quello strumento non aveva segreti per me, come la musica. La musica era la mia essenza, quel tocco che rendeva la mia vita magica. Mi faceva sentire completa, quando suonavo il mondo circostante spariva completamente, come se non fosse mai esistito.
Mio padre aveva una vera e propria ossessione per la musica classica, in particolare per Mozart, per questo voleva che io fossi una musicista perfetta. Lo ero a trecentosessanta gradi, suonavo e componevo, proprio come voleva lui.
Mi aveva fatta istruire dai migliori musicisti newyorkesi. Per una bambina di cinque anni è difficile sostenere determinati ritmi di allenamento, ma a lui non importava.
Riteneva che io fossi molto intelligente, superiore ai
" comuni bambinetti ".La mia infanzia non è stata come quella dei miei coetanei e nemmeno la mia adolescenza. Io non uscivo il pomeriggio nè il sabato sera, non frequentavo le scuole pubbliche, mio padre diceva che non mi sarebbe servito a niente. Secondo lui la scuola non valeva più, e per una mente come la mia, sarebbe stato uno spreco... Io ero stata istruita da un insegnante privato.
Il professor Fester, Sergei Fester. Un docente universitario dalla preparazione spettacolare e la durezza tipica di un matematico che non crede in ciò che non è scientificamente provato.
Capelli bianchi, cravatta rossa, completo color crema, camicia blu scuro, occhiali rossi da vicino dalle lenti strette. Conoscevo i tratti segnati dal tempo di quell'uomo davvero bene. Una volta lo sentii lamentarsi al cellulare con quella che presumi fosse la moglie del fatto che dovesse insegnare ad una bambina di sei anni. Era la prima lezione, la prima di una lunga serie. Non passarono molti giorni prima che si accorse del mio talento naturale con la matematica. Svolgevo i calcoli a mente con una velocità disarmante, lui mi guardava sbalordito ed alla fine del primo anno io sapevo già svolgere le espressioni. Tuttavia, il professor Fester, mi insegnava anche le altre materie compresa la letteratura, la scienza, la grammatica... Mi considerava un portento, una volta lo sentii dire al telefono a colei che presumi fosse un collega, che io ero una calcolatrice umana e al tempo stesso una scrittrice dotata. Avevo circa 11 anni quando disse quelle parole. Dopo che finii il mio corso scolastico a 16 anni, non lo rividi più. Ricordo che mio padre era scettico quando il mio professore gli disse di aver finito con me. Il mio professore si aggiustò gli occhiali e disse convinto.
<< Signor Simons, io non so più che devo dirle! La ragazzina sa tutto! Potrebbe fare lezione all'università! Io la trovo una perdita di tempo per la ragazzina. Si fidi, sua figlia è un vero portento.>>
Con me non si scompose mai, fu sempre severo. Io sapevo cosa pensava di me solo perché origliavo le sue conversazioni qualche volta.Gli unici momenti di svago che io abbia mai avuto durante la mia infanzia ed adolescenza, erano quelli con Maggie e Henry.
Maggie era mia cugina, dolce, solare e intelligente; Henry era il mio migliore amico, figlio del migliore amico di mio padre, goffo, creativo e lettore accanito. Mia cugina, dopo la morte dei suoi genitori, era venuta a vivere con me. Henry ed io ci conoscemmo quando i nostri genitori organizzarono delle cene.
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LA STELLA PIÙ LUMINOSA DEL CIELO
ChickLit> è la domanda che Jason pone a sua nipote Leah quando le dice di volerle raccontare una storia. Una storia molto importante per lui, una parte della sua vita che non potrà mai e poi mai dimenticare.